Articolo della Repubblica del 15 settembre 2001
LINEA DI CONFINE
Onorare i reduci prima che muoiano
di MARIO PIRANI
Dopo le stragi di questi giorni quelle del passato possono apparire ancora più
remote. Se, però, conserviamo la consapevolezza del legame che unisce la lotta
per la libertà e la democrazia, che fu alla base della seconda guerra mondiale,
con la sopravvivenza della civiltà liberale, in gioco contro il terrorismo
fondamentalista, allora riusciremo a conservare una memoria coerente tra passato
e presente. Questa riflessione mi è venuta alla mente in occasione della
rievocazione, apparsa su «Repubblica» di ieri, della battaglia di Barletta e
mi è tornata fra le mani la copiosissima corrispondenza che seguì un mio
articolo su Cefalonia di due anni orsono. Tante testimonianze di cui non avevo
potuto dar conto. Ancor più grave, però, la dimenticanza delle istituzioni
(dalle Forze armate alle scuole) e della storiografia. Una aperta amarezza
percorre, del resto, tutta questa corrispondenza, queste voci uscite dal
silenzio, con la speranza, quasi sempre frustrata, che «memoria sia fatta».
Certo, il presidente della Repubblica ha operato moltissimo per ricostruire la
nostra storia e, ad un tempo, calarla in quella europea.
Dobbiamo, però, riconoscere che non basta e che alcuni atti non sono stati
compiuti. Anche Ciampi deve saperlo. Prima di elencarli vorrei, però, citare
almeno qualcuna di quelle lettere. La prima è della signora Maria Trionfi, che
scrive: «Mio padre, gen. Alberto Trionfi, durante la seconda guerra mondiale,
comandava la base di Navarino (Pylos) nel Peloponneso. Caduto prigioniero dopo
l'8 settembre fu deportato in Polonia e, poiché rifiutava di tradire il
giuramento unendosi a quelli di Salò, fu chiuso nel lager 64Z. Durante una
marcia di trasferimento, dovuta all'avanzare delle truppe sovietiche, fu
trucidato dai tedeschi con un colpo di pistola alla nuca insieme ad altri cinque
generali: Spatocco, Balbo Bertone, Vaccaneo, Andreoli e Ferrero. Negli anni
‘70 mi sono battuta fino all'inverosimile, con l'aiuto di Simon Wiesenthal ma
senza alcun appoggio da parte delle autorità italiane, per individuare il
colpevole della strage. Non sono approdata a nulla». Un'altra lettera è
dell'ing. Francesco Musio, classe 1922, che narra le vicende di 5000 allievi
ufficiali di complemento, acquartierati in Puglia, entrati a far parte del
ricostituito esercito «badogliano» dopo l'8 settembre e la proclamazione della
dichiarazione di guerra alla Germania e della «cobelligeranza» a fianco degli
Alleati: «Questi proposero di costituire con questi giovani alcuni battaglioni
di bersaglieri con armamento inglese. I tedeschi si erano attestati in forze
sulla linea Gustav, tra Termoli e il Garigliano e occorsero sei mesi - dal
novembre ‘43 al maggio ‘44 - per smantellarla. Aspre battaglie furono
combattute nel Salernitano e nel Beneventano, culminate nella distruzione di
Montecassino. Il nostro battaglione fu impegnato in una serie di scontri
sanguinosissimi a 12 km da Cassino. Oggi quella località è nota come Sacrario
militare di Montelungo e raccoglie le salme di oltre la metà di quegli eroici
miei compagni, allievi ufficiali di complemento della classe 1922. Avevano 21
anni. Durante la loro adolescenza avevano cantato gli inni di Mussolini e
studiato a scuola «Mistica fascista». Ma poi erano morti in battaglia nella
Guerra di Liberazione. Di loro nessuno parla più». La terza lettera è di
Lando Mannucci, presidente della Associazione veterani della Divisione
Garibaldi, di circa ventimila uomini, costituita in Montenegro (con i resti
delle due Divisioni Venezia e Taurinense) che all'armistizio rifiutarono di
arrendersi ai tedeschi e seguitarono a combattere assieme ai partigiani
jugoslavi, ma pur sempre dipendendo dallo Stato maggiore italiano di Brindisi.
La pubblicazione che Mannucci mi ha inviato comprende l'elenco dei 3469 caduti
(ma mancano i nomi di molti dispersi) nei combattimenti che si protrassero per
18 mesi, durante i quali la Garibaldi seppe dimostrare «quanto potesse l'amor
di Patria e la fedeltà al giuramento prestato». Ho ricordato questi esempi,
tra i tanti che se ne potrebbero fare, per ribadire una richiesta che quando
riemerse la vicenda di Cefalonia l'allora ministro della Difesa, Scognamiglio,
prese a cuore, ma di cui non si parla già più: la concessione di una medaglia
al merito a tutti quei militari che combatterono dopo l'8 settembre o
resistettero nei lager. Se per la Guerra ‘15'18 venne istituito l'ordine dei
Cavalieri di Vittorio Veneto, per l'ultima si potrebbe varare l'ordine dei
Cavalieri di Cefalonia. Ma bisognerebbe farlo prima che siano tutti scomparsi.
|