Le quattro Italie del ’45
di Claudio Sommaruga
<Ma non sapevamo, Signore, quanto è
difficile essere liberi!>. Così si esprimeva padre Davide
Maria Turoldo nel commovente “Salmo dei deportati”.
Avevamo lasciato nel ’43 un’Italia monarchica e da poco
ex fascista e tornavamo dai Lager, due anni dopo, illusi ed euforici
per la conquistata libertà. Ci accolse un’Italia in
macerie, tutta da rifare, con 28 milioni d’italiani sopra
i 17 anni, repubblicani, monarchici e agnostici, di quattro Italie,
tutte da amalgamare.
Al Sud, un’Italia di nove milioni di monarchici istituzionali,
di tradizione sabaudo borbonica, che le “quattro giornate
di Napoli” e gli Alleati avevano presto liberato dall’invasore
tedesco, con una giunta di 650.000 ex prigionieri, cooperatori e
non, degli Alleati.
Al Nord, due Italie frammiste, ognuna d’un milione e mezzo
di repubblicani di opposte fazioni di una ”lotta di liberazione”
dall’invasore tedesco, poi degenerata in una ”guerra
civile” parallela tra fascisti e antifascisti. Una era l’Italia
perdente dei ”repubblichini” di Salò, fatta di
militari volontari e obbligati, lavoratori precettati militarizzati,
fascisti nostalgici, fanatici ed opportunisti, con una giunta di
ex optanti “altoatesini / sudtirolesi”, rimpatriati
e filo tedeschi. L’altra Italia era quella ribelle e clandestina,
vincente, dei ”resistenti” antitedeschi e antifascisti:
partigiani, gapisti, patrioti, simpatizzanti, superstiti dei Lager,
delle stragi, rappresaglie e di 17 repubbliche autonome partigiane
transitorie.
Ma al Nord c’era, soprattutto, una quarta Italia trasversale
di una schiacciante maggioranza amorfa, silenziosa, passiva, di
sedici milioni di “attendisti acquiescenti” agnostici
o timorosi o speculatori, congiunti e amici di repubblichini e resistenti
in Italia e nei Lager e perplessi o indifferenti tra monarchia e
repubblica: erano i superstiti della moltitudine degli italiani
acquiescenti del ventennio” fascista. Non erano complici né
dei fascisti né dei tedeschi, non erano coinvolti nella Resistenza
ma, stanchi più della guerra e dei bombardamenti che della
mancanza della libertà, simpatizzavano in segreto per lo
più per gli antifascisti e soprattutto attendevano ansiosi,
alla finestra, i tanto sospirati “liberatori” americani!
Tornavamo dai lager, nel ’45, nel riunificato Regno d’Italia,
ma molti con idee repubblicane maturate dopo l’”8 settembre”
e gli italiani ci accolsero diffidenti, preoccupati, indifferenti
o ostili: eravamo troppi, concorrenti in cerca di lavoro, testimoni
imbarazzanti del pasticcio sabaudo dell’“8 settembre”,
ex combattenti delle ”guerre fasciste”, repubblicani
per i monarchici, traditori per i fascisti (ma già falsamente
presentati dai repubblichini, per propaganda, come “collaboratori”!).
Per i meno numerosi partigiani egemoni, noi eravamo quelli della
”altra resistenza” (di “serie B”!) e per
i mass media e l’opinione pubblica, non facevano notizia:
i nostri Lager non erano programmati allo sterminio… ma solo
alla schiavitù e al lavoro forzato! La nostra “scelta”
e comportamento responsabili, dopo l’“8 settembre”,
instillavano complessi d’mferiorità nella moltitudine
passiva degli “attendisti”, che perciò ci fraintesero,
minimizzarono e ignorarono e gli italiani non volevano più
sentir parlare di guerre e di tristezze! C’era, per giunta,
la guerra fredda tra Occidente e Russia, iniziata ancor prima della
resa del Reich: ora la Germania non era più nostra nemica,
ma partner, in Europa e nella Nato e meta d’emigranti: guai
a rivangarne i crimini!
Stando così le cose, già traumatizzati dalla prigionia
ed ora anche delusi, offesi e magari irrisi per non essere scesi
a compromessi, gli ex internati (e per sensi di colpa anche gli
optanti e i lavoratori volontari) si ammutolirono con la gente,
i colleghi, gli amici, i figli e, in nove su dieci, rimossero la
memoria del Lager come se quella scelta fosse stata inutile o sbagliata!
Quasi ignorati dallo Stato, dagli italiani, dai media e dalla scuola,
i reduci si chiusero in se stessi, avulsi dalla politica e ghettizzati
nelle loro associazioni: così finirono per non parlare e
gli altri non vollero sapere! Ma anche molti collaboratori e “attendisti”
sorvolarono coi figli su cosa avessero fatto, o non fatto, dopo
l’ “8 settembre”!
Fu così che l’Italia, con un colpo di spugna, affossò
la nostra storia, come tante altre storie di guerra e ignorò
colpevolmente i martiri della “Acqui” di Cefalonia e
Corfù, quelli di Lero e dell’Egeo, i nostri partigiani
nei Balcani e gli invitti, dall’ “8 settembre”,
della Regia div. ”Garibaldi”, gli sfortunati valorosi
della “Folgore” a El Alamein, le seconde prolungate
prigionie, sotto Stalin e Tito, dei nostri ex prigionieri dei tedeschi,
dell’ARMIR e delle foibe e tante, tante, altre pagine di storia
patria eroiche e dolorose
Dopo 60 anni, quasi senza archivi e testimoni viventi, gli Istituti
di Storia Contemporanea universitari e del Movimenti di Liberazione,
tentano finalmente di salvare quel poco, ancora salvabile, della
”storia dei nonni”, per consegnarla ai loro pronipoti.
Meglio tardi che mai perché, se la storia è il seme
del futuro, i nonni e gli storici hanno il dovere di tramandare
e i nipoti hanno il diritto irrinunciabile di sapere.
|