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Articolo apparso su "La Stampa" di mercoledì 21 Febbraio 2001

Partigiani in divisa.
Ritrovate 364 mila schede dei militari italiani internati nei Lager dopo l'8 settembre. Storia dell'altra Resistenza

di Alberto Papuzzi

364.000 vite di soldati italiani internati nel Terzo Reich giacciono dimenticate alla Deutsche Dienststelle, archivio di Berlino dello Stato tedesco. Si è scoperto uno schedario con 715 cassetti. Ogni cassetto conta 500 schede. Ogni scheda riassume la storia di un soldato italiano catturato dai tedeschi dopo l'8 settembre e inviato in un Lager: dati personali, reparti di provenienza, circostanze della cattura, condizioni di salute, trasferimenti nei campi di lavoro, eventuali cause di morte. Questa enorme massa di documenti potrà finalmente fare luce sulla tragedia degli internati militari che è ancora un punto oscuro dell'ultima guerra. Potrà anche essere usata per avviare cause di risarcimento contro le ditte tedesche presso le quali gli internati furono costretti a lavorare. L'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (intitolato alla memoria di Ferruccio Parri, con sede a Milano in piazza del Duomo) ha inviato una nota al ministro della difesa (nonché a quello dei beni culturali) perché ci si occupi di questa giacenza, dietro la quale vengono a galla problemi che riguardano sia la conoscenza di una vicenda storica rimasta nell'ombra, sia i destini di persone due volte vittime: prima della guerra poi del silenzio. "Abbiamo chiesto di avviare ricerche su questi giacimenti - dichiara la presidente Laurana Lajolo - offrendo la collaborazione di specialisti come Enzo Collotti, Giorgio Rochat, Carlo Gentile e Lutz Klinkhammer".
L'Ambasciata italiana a Berlino ha appena chiesto le schede, in base a una norma della Convenzione di Ginevra. Quello degli internati militari è un gigantesco caso di rimozione. Si calcola approssimativamente che furono seicentomila i soldati italiani che, nel caos in cui il re e Badoglio lasciarono l'esercito dopo l'8 settembre, vennero fatti prigionieri e inviati nei Lager della Germania. Qui furono invitati ad aderire alla Repubblica Sociale: nonostante le martellanti pressioni dei fascisti, accettarono circa il 30 per cento degli ufficiali (cioè 7.500-8.000) e il 10 per cento dei soldati (qualche decina di migliaia). Su esplicito ordine di Hitler gli fu perciò negato lo status di prigionieri di guerra: non potevano appellarsi alla Convenzione di Ginevra e non avevano l'assistenza della Croce Rossa, con conseguenze devastanti sulle condizioni di prigionia. Soltanto negli anni ottanta si comincia a edificare una memoria dei lager militari.
In Germania le ricerche si incrociano con il dibattito sui crimini di Wehrmacht e Gestapo: nel 1982 il giornalista Erich Kuby spezza il silenzio con Il tradimento tedesco, dall'esplicito sottotitolo "Come il Reich rovinò l'Italia". Nel 1990 Gerhard Schreiber pubblica Verraten Verachtet Vergessen (Traditi, disprezzati, dimenticati), una ricerca sugli internati militari italiani che è stata tradotta dall'Ufficio storico dello Stato maggiore del nostro esercito. Altri spiragli sono aperti dalle ricerche dello storico Lutz Klinkhammer, noto per l'opera L'occupazione tedesca in Italia (Bollati Boringhieri 1993) e ricercatore presso l'Istituto storico germanico di Roma. La questione più aspra è quella del lavoro coatto. Presso quasi tutti gli Stalag (campi di prigionia) erano stati istituiti gli Arbeitskommandos (distaccamenti lavorativi), messi a disposizione soprattutto di fabbriche, come mano d'opera praticamente a costo zero: gli internati erano pagati con moneta valida soltanto nei loro campi, che al di fuori non aveva potere d'acquisto. L'orario di lavoro era spesso di dodici ore, il vitto era molto povero, se ci si rifiutava di collaborare fioccavano le punizioni. Nonostante la censura, le lettere ai famigliari documentano le condizioni di vita degli internati: "Da nove mesi non facciamo altro che bere al posto di mangiare. Bere acqua calda con un pezzo di carota o di rapa fradicia" (Stalag di Dortmund). "Forse non mi riconosceranno più... Sono irriconoscibile da quanto sono magro, solo le ossa e lo spirito mi sono rimasti (Stalag di Hemer).
Ma il 20 luglio 1944 si decise la cosiddetta civilizzazione, per ottenere più produttività: gli internati furono congedati d'autorità e acquisirono lo status di lavoratori civili, con una retribuzione minima. Le loro condizioni in parte migliorarono, pur restando sempre peggiori di quelle dei soldati americani e francesi, che godevano dello status di prigionieri di guerra. Un punto cruciale sono i risarcimenti, per gli schiavi del lavoro italiani (e non solo). Proprio nella prima settimana di febbraio la fondazione tedesca per le rivendicazioni degli ex deportati ha stabilito un tariffario: 15 milioni di lire per il lavoro nei Lager, 5 milioni per quello nelle imprese, 2 milioni per quello in agricoltura. I risarcimenti dovrebbero essere erogati dal governo tedesco con il contributo di tutto il mondo industriale, aggirando il problema delle singole e specifiche responsabilità delle ditte. "La questione dei risarcimenti è anche etica e riguarda il problema della colpa collettiva - spiega Klinkhammer -. Numerose ditte non vogliono pagare perché non vogliono essere messe sullo stesso piano morale di giganti dell'industria come la Mercedes e la Volkswagen. Piccole aziende o aziende sorte dopo la guerra protestano di non avere niente a che fare con lo sfruttamento degli internati.
Lo spoglio delle schede della Deutsche Dienstelle è probabile fornisca un elenco inoppugnabile delle singole responsabilità". Per capire quanto sia importante lo schedario inesplorato, basta dire che non si sa esattamente quanti internati morirono nei Lager (un vecchio dato diceva ventimila, ma oggi sembra troppo basso). Queste schede possono coprire molti vuoti nella storia del nostro esercito, nell'albo d'oro dei caduti, nelle memorie locali e in quelle famigliari. Per ricostruire vite perdute nel marasma della guerra. Per ritrovare pezzi di storia militare, compresi i sopravvissuti della strage di Cefalonia, per la quale oggi si chiedono pubbliche scuse alla Germania.
Nella "Biblioteca dell'Istituto storico germanico di Roma" è imminente la pubblicazione di un voluminoso studio di Gabriele Hammermann, ricercatrice presso il Museo di Dachau: una radiografia delle condizioni dei nostri prigionieri nei campi nazisti (impieghi, rancio, punizioni, salute), frutto di 10 anni di lavoro in 46 archivi. Quella degli internati militari è una pagina che si comincia a leggere soltanto ora.

 

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