Articolo della Repubblica del 9 Ottobre 2002
"Facevamo affari con i nazisti"
La casa editrice Bertelsmann: in passato abbiamo mentito.
di Vanna Vannuccini
BERLINO Gli americani saranno sorpresi che
questo gigante di origine tedesca diventato il primo editore degli
Stati Uniti e il quinto impero mediatico del mondo, debba ora fare
i conti con il proprio passato.
E' accaduto ad altre grandi aziende tedesche, ma la differenza è
che Bertelsmann aveva sempre vantato un passato antinazista.
I conti col passato sono cominciati, paradossalmente, proprio da
un discorso in cui l'allora presidente della società Thomas
Middelhoff, in occasione di un premio nel 1998, affermò con
orgoglio a New York che il vecchio editore di Guetersloh, C. Bertelsmann
Verlag, era stato «una delle poche case editrici tedesche
non appartenenti a ebrei chiusa dai nazisti perché pubblicava
libri sovversivi».
La replica non si fece aspettare. Sul settimanale svizzero Die Woche
e sull'americano the Nation uno storico, Hersch Fischler, sostenne
che la verità era un'altra e che Bertelsmann si era fabbricata
un passato inesistente.
Fu a partire da quelle critiche che la casa editrice decise di affidare
ad una "commissione storica indipendente" le ricerche
sulla propria storia durante il Terzo Reich. I due aggettivi, storica
e indipendente, corrispondono alle condizioni poste a Bertelsmann
dallo storico Saul Friedlaender per assumere la guida della commissione.
Insieme a Freidlaender hanno lavorato uno storico, un teologo, un
esperto di storia editoriale e sette assistenti. Per cinque anni
hanno scandagliato più di cinquanta archivi in mezza Europa,
dalla Lituania a Londra. Ne è venuto fuori un libro di quasi
800 pagine, "Bertelsmann nel Terzo Reich", che è
stato presentato due giorni fa a Monaco.
E' l'investigazione più approfondita che un gruppo industriale
tedesco abbia mai fatto della propria storia.
Bertelsmann «accetta senza riserve le conclusioni della commissione»,
ha detto il nuovo presidente della società Gunther Thielen,
che ha ringraziato Fischler per le sue iniziali rivelazioni. «Esprimo
il mio rincrescimento ha detto per gli errori e le
inesattezze che la commissione ha scoperto nelle versioni precedenti
della storia dell'azienda».
La storia rivelata dalla commissione è certo molto diversa
da quella che figurava nel libro con cui nel 1985 Bertelsmann celebrò
il 50esimo anniversario. Che la casa editrice fosse stata messa
all'indice e addirittura chiusa nel 1944 dai nazisti perché
"sovversiva" è una leggenda, fabbricata subito
dopo la guerra da Heinrich Mohn per riavere dagli Alleati il permesso
di riprendere le pubblicazioni.
In realtà la piccola casa editrice di provincia, che alla
fine dell'800 era passata alla famiglia Mohn per mancanza di eredi
maschi e che era originalmente specializzata nella pubblicazione
di testi teologici, durante gli anni del nazismo aveva fatto una
fortuna con la produzione di romanzi che facevano da accompagnamento
all'ideologia del sangue e della guerra propagata da Hitler.
Lo stesso Mohn, pur non essendo iscritto al partito nazista, apparteneva
a un gruppo di sostenitori e finanziatori delle SS. Nazional- conservatore,
esponente del protestantesimo più autoritario, era un partner
naturale per i nazisti, come molti tedeschi in quell'epoca: «Per
il costume e l'essere tedesco, per la fede e l'etnicità:
per questo stiamo» aveva scritto.
Ma più dell'ideologia lo guidava il desiderio di profitto:
per questo fu chiusa la Bertelsmann nel '44 dai nazisti, perché
si era accaparrata illegalmente grandi quantità di carta
per far fuori la concorrenza. La bugia fu scoperta e poi dimenticata,
quando Heinrich passò la guida dell'azienda al figlio Reinhard,
creatore dell'attuale impero.
Dai libri di teologia Mohn passò negli anni '30 alla pubblicazione
di una collana di novelle perragazzi sotto lo slogan: «Il
Tedesco, attaccato alla sua zolla, si volge nella felicità
e nel dolore verso i valori eterni». Poi fu la volta dei romanzi
di guerra, che fecero esplodere i profitti. Bertelsmann diventò
il maggiore produttore per la Wehrmacht di romanzi "da campo"
come li chiamavano i soldati, che ne erano avidi lettori, dai titoli
«Giorno e Notte contro il Nemico», o «Coi bombardieri
sulla Polonia». Nella Vilnius occupata dai nazisti, dove Mohn
aveva preso diverse tipografie per trasferirvi il lavoro di stampa
e risparmiare così sui costi, Bertelsmann impiegò
soprattutto lavoro coatto.
Su questo il gruppo aveva già riconosciuto di avere delle
responsabilità e si era associato a 6000 aziende tedesche
che di recente hanno concordato risarcimenti ai sopravvissuti dei
lavori forzati.
|