Lo "status" dei militari italiani deportati nel contesto
dell’uscita dalla guerra dell’Italia nei campi di prigionia e nei
campi di concentramento della Germania nazista.
A
cura di Gehrard Schreiber
Dal diario di
guerra del Comando Supremo della Wehrmacht risulta che già il 28
luglio 1943 – nell’ambito della preparazione delle contromisure
tedesche per l’eventualità dell’uscita dalla guerra dell’Italia –
era previsto il disarmo e l’internamento degli appartenenti alle Forze
Armate italiane e alla Milizia fascista [Kriegstagebuch des
Oberkommandos der Wehrmacht (Wehrmachtführungsstab), Band III: 1. Januar
1943 – 31 Dezember 1943. Zusammengestellt und erlautert von Walther
Hubatsch, Zweiter halbband, Bernard und Graefe Verlag fur Wehrwesen,
Frankfurt am Main 1963, p.850].
Ancora
l’8 settembre 1943 si può leggere in un ordine del Comando Supremo
della Wehrmacht riguardante il contegno da assumere nei confronti
degli italiani nel quadro del "disposto dissolvimento" delle
Forze Armate del Paese: i "militari italiani saranno internati, sino
a quando non si deciderà il loro rilascio [Archivio dell’Istituto di
Storia contemporanea di Monaco, MA 240, 55518735-737: OKW/WFSt/Qu Nr.
662242/43 g.kdos. Chefs., F.H.Qu., den 8.9.1943].
Però il giorno
dopo lo stesso Comando Supremo emanò una direttiva, sul trattamento dei
soldati italiani che si trovavano nelle zone controllate dai tedeschi, che
stabiliva: i "soldati italiani che non siano disposti a continuare la
lotta al fianco dei tedeschi devono essere disarmati e considerati quali
prigionieri di guerra" [Archivio Federale – Archivio Militare di
Friburgo, RW 4/v. 902: OKW/WFSt/Qu 2 (S) Nr. 005117/43 g.kdos., 9.9.2943].
Ciò significava
che il Comando Supremo della Wehrmacht cambiò il 9 settembre la
terminologia, fino allora ufficiale; e di conseguenza, nelle sue
"direttive di massima per il trattamento degli appartenenti alle
forze armate e alla milizia" del 15 settembe, questo Comando ordinò
in modo vincolante che tutti gli italiani disarmati e non disposti a
continuare la lotta al fianco dei tedeschi venissero considerati
"prigionieri di guerra" [Archivio Federale – Archivio
Militare di friburgo, RW 4/v. 508 a: Oberkommando der Wehrmacht WFSt/Qu 2
(S) Nr. 005282/43 g.kdos., F.H.Qu., den 15.9.1943].
Ma soltanto
cinque giorni dopo vi fu un cambiamento perchè Hitler dispose che i
"prigionieri di guerra italiani" dovevano essere denominati
"internati militari italiani". Le direttive di massima del 15
settembre andavano corrette in tal senso [Archivio Federale –
Archivio Militare di Friburgo, RW 4/v. 508 a: Oberkommando der Wehrmacht
Nr. 005282/43 g.kdos/WFSt/Qu 2 (S) II. Ang., F.H.Qu., den 20.9.1943];
nel testo originale si può leggere: " Per ordine del Führer e con
effetto immediato, i prigionieri di guerra italiani non devono essere più
indicati come tali, bensì con il termine di ‘internati militari
italiani’. Nell’ordine di riferimento le parole ‘prigionieri di
guerra’ devono pertanto essere sostituite con la suddetta nuova
denominazione."].
In seguito fu
incaricato l’Ambasciatore Rahn "di avvisare con la dovuta forma il
Duce per ordine del Führer, i prigionieri di guerra italiani non
sarebbero stati più denominati prigionieri, bensì internati militari
" [Archivio Politico del Ministero degli Esteri di Berlino, Büro
Staatssekretar, Akten betr. Italien, vol. 17: 1.10.1943, Sonderzug, Nr.
1564, BRAM 420/R/43].
Il termine
scelto da Hitler si riferiva ad una categoria di militari, riconosciuta
dal diritto internazionale ma non considerate dalla Convenzione di Ginevra
sul trattamento dei prigionieri di guerra (27 luglio 1929). I membri di
questa categoria, in determinate circostanze, venivano trattati secondo
direttive particolari. Questo non poteva però essere valido per gli
italiani catturati dai tedeschi, dato il fatto che tali direttive erano
previste soltanto per i casi di internamento di militari di uno stato
combattente in un paese neutrale: e la Germania di Hitler non era certo un
paese neutrale [cfr. Roberto Socini Leyendecker, Aspetti giuridici
dell’internamento, in: I militari italiani internati dai tedeschi dopo
l’8 settembre 1943, a cura di Nicola Della Santa, Giunti Marzocco,
Firenze, 1986, pp.130-135].
Stabilire con
certezza quali siano stati i motivi del provvedimento di Hitler del 20
settembre non è possibile. E’ invece indubbio quali siano state le
conseguenze derivanti da tale denominazione: gli internati militari
italiani non erano tutelati dagli accordi internazionali sui prigionieri
di guerra. Infatti durante una discussione tra rappresentanti del comitato
della croce Rossa Internazionale e del Ministero degli Affari esteri
(19./20.11.43) sullo "statuto" degli italiani catturati il Prof.
Burckardt insiste sulla questione se "gli italiani venivano davvero
– dal punto di vista giuridico – trattati come prigionieri di
guerra". La risposta tedesca fu chiara: "gli italiani non erano
considerati prigionieri di guerra" [Archivio Politico del
Ministero degli esteri di Berlino, R 41031, Volkerrecht, Kriegsrecht,
vol.1: Aufzeichnung über die Beprechung mit den Delegierten des IRK Dr.
Marti und Dr. Bachmann unter Leitung von VLR Dr. Roediger und in
Anwesenheit von Gen. Hauptfuhrer Hartmann, Staatsanwalt Bertram, ass.
scholl und dem Unterzeichneten, Berlin, 20. November 1943].
Ed ancora in
luglio 1944, quando, durante un colloquio al ministero degli esteri
l’ing. Spaniol, come rappresentante del Servizio Assistenza Internati,
si lamentò presso il Dr. Hendler "dell’obbligo di lavoro dei
sottufficiali", quest’ultimo constatò "che gli Internati
Militari sottufficiali devono lavorare e che esiste in proposito un ordine
speciale; la Convenzione di Ginevra – art.27 – non è applicabile
perché gli Internati Militari non sono prigionieri" [Archivio
privato G.Schreiber: Ambasciata d’Italia, servizio assistenza Internati,
gabinetto, diario, 6.7.44].
L’articolo 27
della convenzione di Ginevra stabilisce: "I belligeranti potranno
impiegare come lavoratori prigionieri validi, a seconda del grado e delle
attitudini, ad eccezione degli ufficiali. I sottufficiali potranno essere
costretti al lavoro di sorveglianza, a meno che siano loro stessi a
domandare d’essere adibiti a lavori remunerativi" [Lino
Monchieri, la Convenzione di Ginevra e la realtà dei lager, Edizione
della Sezione A.N.E.I., Brescia 1992, p.24].
Se si
verificarono casi in cui i suddetti accordi furono applicati, ciò accadde
senza che lo si potesse in qualche modo esigere. Tutto sommato risultò
dallo status degli internati militari non meglio definito una profonda
incertezza giuridica. Pertanto, in ultima analisi, gli internati militari
restarono alla mercé dell’arbitrio dei tedeschi, essi dipesero
totalmente dalla benevolenza tedesca. L’ente di assistenza della
cosiddetta Repubblica Sociale Italiana, in funzione dall’inizio del
1944, non era in grado di ottenere niente contro la volontà del Comando
Supremo della Wehrmacht.
E di conseguenza
sarebbe più esatto non parlare degli internati militari italiani ma
parlare degli schiavi militari italiani.
Infatti
il trattamento dei militari italiani deportati nei campi tedeschi comporta
che l’occuparsi della loro sorte si risolve inevitabilmente in una
documentazione della mancanza di umanità, del disprezzo per i propri
simili, delle umiliazioni, portate a sempre nuovi eccessi da una sadica
fantasia, delle vessazioni fisiche e psichiche, nonché dello sfruttamento
spietato. Caratterizzare la vita in prigionia di questi deportati militari
significa parlare dei maltrattamenti inflitti loro dai guardiani e
sorveglianti; raccontare di luoghi dove si volevano distruggere gli uomini
con le privazione del cibo, l’isolamento, le punizioni corporali, la
mancanza di assistenza sanitaria ed il vedersi rifiutata quella
spirituale; narrare dell’odio dimostrato nei loro confronti dalla
maggior parte della popolazione tedesca, sempre nella misura in cui
avevano contatti con questa; illustrare le conseguenze avute dalle
malattie e dalla debilitazione fisica e psichica; e offrire una
testimonianza degli innumerevoli decessi avvenuti per cause naturali,
anche se certo non normali, nonché di quelli provocati violentemente [cfr.
per la documentazione e per i dettagli Gerhard Schreiber, I militari
italiani internati nei campi di concentramento del terzo Reich 1943-1945.
Traditi – Disprezzati – Dimenticati. Ufficio storico dell’esercito
SME, Roma 1997, passim].
Nell’insieme
questo gruppo particolare di schiavi militari, deportati e non tutelati
dalla convenzione di Ginevra, visse – a prescindere da certe eccezioni e
diversità – il periodo dell’internamento letteralmente come un
inferno.
Gerhard Schreiber, agosto
2000
Dr.
Gerhard Schreiber
Ex
Capitano di Fregata della Bundesmarine (marine federale tedesca) e
collaboratore scientifico del Militärgeschichtliches Forschungsamt
(ufficio storico dell’esercito tedesco) di Friburgo.
Consulente
tecnico al processo contro Priebke (Fosse Ardeatine), perito al processo
contro Lehnig-Emden (eccidio di Caiazzo).
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in: La divisione Acqui, pp. 125-191.
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in: Der gerechte Krieg - Der Krieg als Unrecht, a cura del presidente
della Dieta regionale dello Schleswig-Holstein, Kiel, 1999, pp. 97-110.
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Rolle des Mittelmeerraumes in der deutschen Strategie 1940/1,
in: Vannie 41, la mondialisation du conflit, pp. 39-51.
"Due
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in: L’ltalia in guerra 1940-1943, pp. 95-127.
Dall’alleato
incerto al "traditore badogliano" all'"amico
sottomesso": aspetti dell’immagine tedesca dell’Italia 1939-1945,
in: Storia e memoria, n. 5,1996, 1, pp. 45-53.
Gli
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in: Una storia di tutti, pp. 125-160.
Gli
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in: L’Italia in guerra il 4° anno, pp. 525-555.
Gli
internati militari italiani ed i tedeschi (1943-1945),
in: Fra sterminio e sfruttamento, pp. 31-62.
Gli
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in: I Prigionieri e gli Internati, pp. 39-49.
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Die
italienischen Militärinternierten. Militärische und politische Aspekte,
in: Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento 19 (1993),
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I
seicentomila militari nei lager di prigionia in Germania 1943-1945: perché
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In: Per non dimenticare, pp. 13-33.
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II
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Beiträge aus der Veranstaltungsreihe zur Ausstellung Vernichtungskrieg.
Verbrechen der Wehrmacht 1941-1944, a cura della Geschichtswerkstatt
Hannover e.V., Hannover, 1999.
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