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Articolo tratto dalla Repubblica del 26.05.2001

"Mia madre moriva nel lager, le Ss ballavano a casa nostra"

La testimonianza

"La mia mamma aveva una pensione a Firenze, sette camere da letto, in centro. Fu deportata. Come me, mio padre, mia nonna, mio fratello, mia cognata... Di dieci membri della mia famiglia arrestati e mandati nei lager, sono tornato soltanto io. Ho poi saputo che in quelle sette stanze una signora organizzava festini per i nazisti".

Nedo Fiano porta impressa sul braccio una matricola, nel cuore e nella mente un dolore che non si può cancellare. È uno delle migliaia di ebrei italiani perseguitati, espropriati, deportati. Uno di quelli di cui si è occupata la Commissione Anselmi. Uno di quelli a cui lo Stato ancora deve un risarcimento. Di tutto ciò che la sua famiglia possedeva è riuscito a recuperare soltanto uno scrittoio. Al rientro dal campo, non è andato a caccia dei suoi beni, perché la poca energia che gli era rimasta l'ha dovuta spendere "per tentare di riprendersi la vita" e l'unica cosa che in tutti questi anni ha continuato a cercare "è stato il volto della mamma, nei sogni". Oggi dice che quanti stanno tentando di appurare la verità sulle persecuzioni e le spoliazioni antiebraiche in Italia "fanno un lavoro santo", ma spiega di "non avere fiducia" nel fatto che davvero riparazioni e restituzioni arriveranno.

La fiducia nello Stato Fiano l'ha persa il 6 febbraio del '44 quando un suo concittadino, un agente in borghese, lo avvicinò in una strada di Firenze con una pistola in pugno: "Tu sei Nedo Fiano, sei ebreo disse Seguimi o sparo". Fu portato a Fossoli e da lì cominciò un'odissea nei campi di concentramento da Auschwitz a Buchenwald dove fu liberato l'11 aprile del '45 dall'Armata Rossa.

"Prima la stessa sorte era toccata a mio fratello, poco dopo a mia madre e mio padre. Mia nonna la andarono a prelevare in ospizio, aveva 83 anni. La riconobbi tra gli altri deportati quando arrivò anche lei ad Auschwitz, volevo andare ad abbracciarla, ma svenni. Fu subito uccisa".

"Dopo la liberazione, fui portato all'Accademia di Modena, insieme agli altri ex internati. Me ne stavo con la testa tra le mani. A chi mi rivolgeva la parola rispondevo solo con qualche monosillabo in tedesco". "Una famiglia ebbe pietà di me. Mi offrì un vestito, un alloggio". "Mi fermai da loro tre settimane. Poi cercai di tornare alla vita. Il lavoro è stato la medicina che mi ha guarito".

"I beni di famiglia? Allora non avevo neanche la testa per mettermi a cercare quello che mi avevano preso. A Firenze non sono voluto tornare, ad ogni angolo di strada mi sembrava di vedere i visi di mamma e papà". "Certo, più tardi ho provato a presentare delle domande di indennizzo, ma senza risultato. Tutto quello che ho dallo Stato è un abbonamento annuale alla metropolitana e un vitalizio di 750 mila lire al mese".

 

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