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Articolo della Stampa del 7 marzo 2001

Rigoni Stern ricorda vita e morte dei soldati italiani nei Lager.

Noi internati, schiavi del Reich
Mario Rigoni Stern

Da qualche mese si risente parlare degli ex Imi, ossia degli Italiani Militari Internati in Germania, e di una legge del Parlamento tedesco entrata in vigore il 16 febbraio del 1999 che tratta in merito al «Risarcimento dei danni subiti dai cittadini europei occidentali deportati in Germania durante la Seconda guerra mondiale e sottoposti a lavoro coatto»; a questa legge era stato anche destinato il finanziamento di un bel mucchio di marchi. Ma era anche previsto che al risarcimento avrebbero avuto diritto solo i deportati civili, escludendo quindi i militari. In questi giorni si sta discutendo a livello di organizzazioni internazionali e nelle commissioni su cosa erano gli Imi.
Ma noi cosa eravamo?
Non ci consideravano prigionieri di guerra, e dalla Croce Rossa non si ebbe alcun aiuto; non ci consideravano nemmeno deportati e per i tedeschi eravamo solo traditori e badogliani.
Nell’ordine del «trattamento» venivamo considerati, dopo i giudei gli zingari e gli anormali, alla pari dei prigionieri sovietici.
Quante volte ci siamo sentiti dire che saremmo stati a lavorare per il Grande Reich fino alla fine dei nostri giorni, che per noi l’Italia era da dimenticare e che per loro sarebbe diventata terra di vacanze.
Eravamo stati catturati dopo l’8 settembre 1943, molti sulla via del ritorno a casa, altri in territori lontani: Jugoslavia,Grecia, Albania, isole dell’Egeo e dello Jonio, Francia. Quelli che avevano tentato di resistere,anche se abbandonati dai Comandi superiori, venivano fucilati come a Cefalonia, in Albania,nelle isole; o anche semplicemente uccisi per non voler buttare un’arma come capitò al cuciniere della mia compagnia che stava preparando il caffè per la mattina del 9 ( Che’l vulquel tugnì? E il tedesco gli sparò).
Per volontà di Mussolini e di Hitler non fummo né prigionieri di guerra né internati politici e quando ci diedero la possibilità di scegliere optando per i tedeschi o i fascisti più del 98% disse di no.
Finimmo deportati in lager anche molto lontani.
Subimmo sorti diverse ma pochi ebbero la fortuna di andare nei distaccamenti che lavoravano presso le grandi fattorie.
Fu molto duro battere la ghiaia sotto le traversine delle ferrovie verso l’Est dove infuriava la guerra, più duro ancora scavare fosse anticarro nel terreno gelato o difese campali sul fronte russo dove molti morirono anche fucilati prima delle «ritirate strategiche» della Wehrmacht sotto l’incalzare dell’Armata Rossa; morirono negli scavi sotterranei dove si dovevano fabbricare le V1 e le V2 che avrebbero bombardato l’Inghilterra; nello sgombero delle macerie delle città bombardate.
Un ricordo che non si cancella è quello di un gruppo di nostri italiani che incontrammo in un maledetto lager della Slesia polacca: erano appena usciti dalle miniere di carbone; magrissimi,neri di polvere, gli occhi di un bianco di morte. Capimmo dalle divise che erano nostri fratelli di sventura perché non avevano nemmeno il fiato di dire un breve saluto.
Li portarono a fare la doccia e andammo poi a raccoglierli cadaveri. Erano leggerissimi. Li seppellimmo nelle grandi fosse comuni dove in quei giorni della ventosa primavera del 1944 altri nostri compagni li raggiunsero.
Questo nel lager XVIII A, a Lamsdorf.550.000 eravamo nei lager di Germania e Polonia, altri 100.000 in quelli dei Balcani; sempre come «internati» in quanto sudditi, secondo la legge, della repubblica di Salò. Insomma potevamo sentirci traditi dal regime fascista e dalla monarchia e dal governo Badoglio; dai generali che non avevano saputo reagire alla crisi dell’armistizio. Quanta rabbia in corpo sentivo in quei primi mesi. Poi la fame...
Circa settantamila nostri compagni pagarono con la vita quella resistenza.
Ma queste cifre sono approssimative perché a distanza di cinquantasei anni non è ancora possibile fare i conti.Oggi siamo rimasti circa 25.000 e se dovesse venire accolta la richiesta di «deportati» a ognuno toccherebbero come «risarcimento» cinque milioni di lire.
Personalmente li rifiuto ma a qualche vecchio potrebbero fare molto comodo.
«Tornavamo dai lager / come torrenti in piena/ verso la terra del sole. // ... Un nembo solo di cenere avvolgeva morti e vivi / in cammino sulle strade d’Europa. // Non sapevamo, Signore, / quanto è terribile / essere liberi». (David Maria Turoldo, Salmo dei deportati ).

 

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