Avvenimenti: Mostre
Il riconoscimento mancato: l'ennesima occasione
persa per un'Europa dei popoli e non dei capitali
Nel dicembre 1999 Lazzero Ricciotti, storico e presidente
dell'Istituto di storia contemporanea Pier Amato Perretta
di Como, convocò una conferenza stampa a favore degli
"schiavi di Hitler. In quell'occasione chiese al nostro
Governo di tutelare davanti alla Repubblica Federale Tedesca
e alla storia europea il diritto al riconoscimento del dramma
vissuto da migliaia di civili e militari italiani, deportati
e internati dopo l'otto settembre '43 nella Germania nazista.
In quel periodo era allo studio in Germania una proposta
di legge che per la prima volta riconosceva il diritto al
risarcimento per lavoro forzato e schiavistico estorto a milioni
di persone dal Terzo Reich.
Questa rivendicazione prese il via nei tribunali americani
alla fine degli anni '90. Alcune organizzazioni ebraiche promossero
cause collettive contro banche e assicurazioni (principalmente
svizzere) per il recupero dei beni sottratti durante la II
guerra mondiale e contro le industrie tedesche per il riconoscimento
dello sfruttamento lavorativo.
Si arrivò alla firma di un trattato tra i Presidenti
americano e tedesco che finalmente affermò la necessità
di un atto di giustizia.
Nell'agosto 2000, il Parlamento tedesco approvò una
legge che istituì la Fondazione "Memoria, Responsabilità
e Futuro" per sovrintendere alla attuazione della legge
di risarcimento.
Alla costituzione del fondo di 10 mila miliardi di vecchie
lire italiane (somma insufficiente per gli aventi diritto),
destinato ai cittadini di tutte le nazionalità coinvolte
dalla guerra nazista, hanno partecipato sia il Governo tedesco
sia le ditte responsabili dello sfruttamento degli schiavi
di Hitler.
E' indiscutibile che l'industria e la società tedesca
usufruirono di manodopera gratuita deportata da tutta Europa,
costretta con turni massacranti a produrre in tutti i settori
dell'economia per sostituire i lavoratori tedeschi mandati
al fronte.
Sono le stesse ditte che nel dopoguerra sostennero il boom
della ricostruzione, le stesse imprese che ancora oggi dettano
legge nella economia della globalizzazione.
Si trattò di uno sfruttamento bestiale, programmato
nei piani di guerra e dominio. Senza i milioni di lavoratori
schiavi la Germania nazista non avrebbe potuto continuare
la sua criminale guerra di aggressione.
La legge stabilì come risarcibili le persone in grado
di dimostrare:
- di aver subito trattamenti discriminatori per motivi razziali,
politici o
religiosi
- di essere stati costrette al lavoro forzato o in schiavitù;
- di aver subito danni fisici e materiali;
- di essere ancora in vita alla data del 16 febbraio 1999.
Risultarono "non eleggibili al diritto" i morti
nei lager, compresi i 50.000 italiani, e tutti i deceduti
prima della promulgazione della legge. Neppure un ricordo,
un riconoscimento!
In seguito all'intervento di Ricciotti Lazzero, l'Istituto
di Como divenne un centro nevralgico per fornire informazioni
utili alla raccolta del materiale a sostegno della rivendicazione
degli "schiavi di Hitler".
Dopo l'approvazione della legge, nell'agosto del 2001, con
una perizia "di parte", commissionata dal governo
tedesco al professor Tomuschat, gli Internati Militari Italiani
(I.M.I.) vennero parificati ai prigionieri di guerra, escludendoli
dal risarcimento dovuto. Questo nonostante l'accordo fra Hitler
e Mussolini dell'estate del 1944, in seguito al quale ai militari
italiani venne chiesto, e poi imposto, lo status di "lavoratori
civili".
Occorre sottolineare che lo status di I.M.I. (voluto da Hitler)
sottrasse i militari italiani alla tutela della Convenzione
di Ginevra per sottoporre i "traditori Badogliani"
a condizioni di vita e di lavoro estremamente dure.
Inoltre gli I.M.I. non furono assistiti dalla Croce Rossa
Internazionale e vennero costretti a lavorare nell'industria
bellica.
L'esclusione degli italiani è stata arbitraria e
contro i principi della legge stessa. La decisione del governo
tedesco è stata di natura economica e politica. Solo
così è possibile spiegare il motivo per cui
i prigionieri polacchi, che erano nella stessa posizione degli
italiani (prima prigionieri di guerra e poi trasformati in
lavoratori civili), hanno ottenuto l'indennizzo dalla Fondazione.
La perizia commissionata al Professor Tomuschat ha suscitato
lo sdegno delle vittime, degli stessi storici tedeschi e di
tutti coloro che sostengono questa causa.
Anche ai deportati civili italiani, come a quelli del resto
dell'Europa occidentale, è stato negato il diritto.
Non sono state quindi tenuti in considerazione la costrizione,
lo sfruttamento e le penose condizioni a cui furono sottoposti.
Dall'autunno '43 alla primavera '44, alto fu il numero dei
deceduti nei lager per deperimento, malattie, violenze. Anche
dopo l'attribuzione del nuovo status di lavoratori civili
le condizioni di vita non registrarono sostanziali miglioramenti.
I decessi per fame, epidemie, bombardamenti continuarono fino
alla fine della guerra e successivamente al rientro in patria
per i postumi del lager.
Le domande presentate dagli italiani sono state circa 130.000.
Solo poche migliaia di sopravvissuti ai campi di sterminio,
ai lager di educazione al lavoro, ai campi di punizione, hanno
ottenuto l'indennizzo.
Quale memoria, responsabilità e futuro per i popoli
d'Europa?
Le stesse procedure per accedere ai benefici della legge
tedesca hanno costituito un'ennesima offesa alla dignità
degli individui.
I superstiti sono stati costretti a penose ricerche per dimostrare
il torto subito, il lavoro schiavistico, le estreme condizioni
della vita nel lager.
Era evidente che a distanza di così tanti anni, si
trattava di un'impresa quasi impossibile per la dispersione
degli archivi italiani e l'inaccessibilità di quelli
tedeschi.
Il Governo tedesco di oggi non è certo colpevole
dei crimini nazisti, però è responsabile di
aver creato aspettative e di aver sbattuto la porta in faccia
agli italiani, ai russi e ai civili di tanti paesi occidentali,
con una decisione iniqua e scandalosa.
Si trattava di riconoscere un diritto, ben documentato negli
archivi tedeschi e sovranazionali, quali quelli del Waste
e della Croce Rossa internazionale.
.
E' quanto meno doveroso un riconoscimento simbolico a tutti.
Sappiamo che non si possono risarcire le vittime dei massacri
con del denaro. Sappiamo che la sofferenza vissuta da milioni
di uomini e donne non può essere sanata. Il lavoro
da schiavi, il lavoro coatto non significano soltanto il mancato
pagamento di un giusto compenso, ma significano privazione
di qualsiasi diritto e trattamento brutale della dignità
umana.
Gli stessi interessati hanno affermato che nessuna cifra li
avrebbe mai ripagati del furto di giovinezza e di vita, dello
sfruttamento e delle sofferenze patite.
Tutti si aspettavano una lettera di riconoscimento per le
sofferenze patite. Invece hanno soltanto ricevuto una comunicazione
da parte dell'O.I.M. (Organizzazione Internazionale per le
Emigrazioni), incaricata dalla Fondazione delle pratiche di
risarcimento, che ha respinto le richieste con una motivazione
che non ha bisogno di commenti: "Le condizioni in cui
è stato tenuto non sono state estremamente dure
."
Anche i ricorsi avverso questa decisione non hanno ottenuto
alcun risultato.
Non sono stati rispettati i sentimenti più profondi
di queste persone; non si è tenuto in considerazione
che nel ricordare si riaprono ferite mai del tutto rimarginate.
Dai racconti e dalle memorie dei protagonisti riemergono
episodi indelebili che spesso hanno segnato la vita anche
dei familiari.
Ancora oggi c'è chi sussulta al rumore di un tuono,
chi raccoglie le briciole di pane, chi trova insopportabile
vedere immagini di guerra
.
Raccontano con parole semplici, con forte intensità
emotiva, senza risentimento o odio, come se tutti questi anni
fossero serviti a rielaborare le angherie e le atrocità
subite. A volte il filo del discorso si interrompe, ci si
sente intrusi, allora si sceglie di lasciare nell'intimità
del loro cuore il "non detto".
Altre volte a telecamere spente il racconto prosegue, quasi
una confessione, uno sfogo lasciato a persone perché
si è creata empatia, un messaggio da non diffondere
a tutti.
I protagonisti di queste vicende ci trasmettono una grande
lezione di vita e di dignità. Per molti ricordare nasce
da una necessità, un dovere morale, che li spinge a
parlare del loro vissuto ai giovani, affinché
la conoscenza serva da monito.
Vogliono lasciare un testamento spirituale. Ancora oggi di
fronte alla guerra, alle distruzioni, allo sfruttamento del
lavoro molti reagiscono con una condanna netta e forte.
La mostra e il catalogo, risultato della selezione di 450
memorie, sono dedicati agli "schiavi di Hitler"
Abbiamo ripercorso con le loro parole - dal momento della
cattura al rientro in Italia - il calvario della prigionia
e lo sfruttamento schiavistico del lavoro.
I sopravvissuti al lager raccontano l'estrema indigenza, la
fame, il freddo, lo scoramento e la speranza, compagni inseparabili
della prigionia. E poi il ritorno in patria a volte rocambolesco,
e di nuovo l'abbandono da parte delle istituzioni, l'arte
di arrangiarsi e la rimozione per poter ricominciare. Dimenticati
subito al loro rientro, scomodi come lo sono sempre tutti
i reduci, non considerati come resistenti, quando sarebbe
stato "un diritto inequivocabile".
La storia degli I.M.I. è da sottolineare: solo ai militari
dell'esercito italiano è stata offerta la libertà
in cambio di un SI' ai nazisti e alla repubblica di Salò.
Cosa sarebbe successo se gli oltre settecentomila militari
fossero ritornati a combattere a fianco dei nazifascisti?
Il lager è stata la scelta consapevole di una generazione
educata alla guerra sui banchi di scuola. La loro è
stata una vera e propria "Altra Resistenza" come
l'ha definita Alessandro Natta nel suo libro di memorie.
Il nostro impegno per approfondire la conoscenza storica
della deportazione degli italiani e in difesa del diritto
calpestato, ci ha portato ad un contatto quotidiano con decine
di reduci e famigliari, alla sensibilizzazione e coinvolgimento
delle Istituzioni e dell'opinione pubblica, alla promozione
e partecipazione ai lavori del Coordinamento delle associazioni
nazionali dei reduci, dei patronati, dei sindacati, dei pensionati,
a incontri ufficiali in Italia e Germania.
Questa intensa attività è proseguita anche dopo
la morte di Ricciotti Lazzero, avvenuta alla fine del 2002.
Il Centro "Schiavi di Hitler, nato nel 2003 a Cernobbio,
raccoglie:
- tutto il materiale relativo alla campagna di rivendicazione
degli
Internati e deportati italiani
- il fondo "Claudio Sommaruga" (testimone e storico
dell'internamento)
- l'archivio del G.U.I.S.Co (Gruppo ufficiali italiani Straflager
Colonia)
- interviste fatte ai testimoni che hanno permesso la realizzazione
dei
video: "Sessant'anni fa i militari italiani e l'armistizio".
"6 marzo
1944. ore 10. Scioperi e deportazione dei lavoratori del Comasco
e
del Lecchese.
"Una parte del lavoro è pubblicata sul sito www.schiavidihitler.it"
Grande è l'arricchimento umano derivato dall'incontro
con questa generazione così fortemente provata, così
determinata nel trasmettere l'amore per la vita. Mi scuso
se a volte, per motivi strettamente organizzativi o per stanchezza,
non ho avuto il tempo e la disponibilità
necessarie per ascoltare chi, spesso per la prima volta, trovava
l'occasione di raccontarsi.
Come si disse all'inizio di questa campagna: "Abbiamo
aperto una porta e dietro c'è il mare".
Non solo la Germania è debitrice verso queste persone,
lo è anche l'Italia che non ha fatto nulla nei loro
confronti.
Da tre anni giace abbandonata una tardiva proposta di legge
per un riconoscimento simbolico che non ha ancora ottenuto
copertura economica.
Rimane la delusione per l'occasione persa, che vivo anche
personalmente. E' mancato il coraggio della verità
e intanto si sprecano parole in nome della "memoria,
giustizia, verità storica".
Anche nel nostro Istituto, morto Lazzero, si sono sprecate
energie per spiegare, a chi non solo non capiva ma non voleva
comprendere, l'importanza di questa battaglia per sanare ferite
aperte da sessant'anni, per riconoscere il carattere di crimine
ad uno sfruttamento schiavistico degli individui che riappare
sotto varie forme anche nel nostro presente.
Il nostro lavoro e quello di chi ha creduto nel diritto
è una goccia, solo una piccola goccia che non ha saputo
creare il fiume, non ha saputo corrodere il granitico muro
della real politik.
Personalmente ho scoperto un'intera generazione, quella
di mio padre che nei caldi anni '70 non volevo neppure ascoltare
e a cui devo il presente. Ho conosciuto persone che, come
noi, lavorano con grande impegno in Italia e in Germania perché
la verità non venga cancellata, sarebbe troppo lungo
citarli tutti.
Un ricordo particolare a Ricciotti Lazzero che, se pur ammalato,
ha profuso cuore e intelligenza in questa battaglia. Purtroppo
ci ha lasciati troppo presto ma ci spinge a continuare affinché
i Presidenti della Repubblica Italiana e Tedesca si inginocchino
insieme in un cimitero italiano in Germania.
Per continuare a perseguire un principio: "mai più
dittature, mai più guerre, mai più reticolati
nel mondo"
Maura Sala
(Ricercatrice, Responsabile documentazione Centro di Ricerca
"Schiavi di Hitler/archivio IMI Claudio Sommaruga)
Indietro
|