Memorandum
Si è dunque arrivati alla fase
della raccolta delle domande per il risarcimento.
Quando cominciammo 14 mesi fa ad
occuparci della questione pensavamo che il nostro compito primo fosse
quello di mobilitare la coscienza di questo paese per favorire una
rivendicazione legittima creando attorno ad essa un tessuto di solidarietà
in grado di riscattare 50 anni di silenzio e abbandono.
In questo senso la memoria delle
persone, spesso l'unica prova documentale in loro possesso di quanto era
accaduto, andava considerata uno strumento forte da buttare sul tavolo del
negoziato da una parte, dall'altra una leva potente per riscattare un
debole senso comune storico.
Ci è sembrato che il fatto che
al centro ci fosse lo sfruttamento del lavoro coatto, permettesse di dare
un senso più preciso alla guerra nazista, che un suo riconoscimento
potesse essere la base di una catarsi individuale e delle nazioni, un
viatico per la ricostruzione di valori condivisi.
Dobbiamo dire che non è andata
proprio così:
ci siamo trovati di fronte alla
"timidezza" costituzionale, alla superficialità dei mass media,
all'assenza di un dibattito culturale oltre che storico.
Eppure il nostro appello alle
persone perché giocassero la memoria come strumento dentro questa partita
ha funzionato, ha percorso per canali sotterranei il paese, il tam tam ha
raggiunto decine di migliaia di persone, ha coinvolto i figli e i nipoti.
A pochi giorni dalla
celebrazione della "giornata della memoria" non possiamo
nasconderci che ci saremmo aspettati qualcosa di più ancora una volta
dalle istituzioni, dai mass media, pronti a celebrare, meno a elaborare
una memoria viva e ancora fortemente presente negli interstizi di questo
paese.
E' con questo senso di disagio,
nella consapevolezza che viene da migliaia di contatti di essere nel
giusto, di essere dentro nel nostro compito educativo di rielaborazione
della memoria e dall'altra parte della sensazione che ci accomuna a queste
persone di essere abbandonati alle nostre ostinazioni e risentimenti che
ci troviamo qui oggi.
E' stato un percorso
interessante che si è retto sul filo di tante solidarietà disperse e
difficili da raccordare con i pochi mezzi a disposizione, alimentato dal
lavoro volontario e dalla passione di pochi.
Eppure le definizione di questa
questione continua a sembrarci importante per questo paese, per il suo
comune senso storico, una possibilità concreta di fare della memoria un
vero processo di crescita civile.
Non vogliamo nasconderci i
problemi che ancora ci stanno davanti:
se da una parte è cresciuta la
forza di questa rivendicazione dall'altra parte la rivendicazione dei
processi, l'avvio della fase come quello della compilazione della domanda,
ci troviamo ad un punto che è ancora quello di partenza sul piano
concreto, ancora lontana ci appare una soluzione dignitosa.
Oggi credo dobbiamo cogliere
l'opportunità di una visibilità pubblica per lanciare un appello al
paese, per mobilitare la coscienza civile.
Tutte le carte sono sul tavolo.
1) la
Fondazione “memoria, responsabilità, futuro”, operazione
fondamentalmente politico-diplomatica, creata per tamponare centinaia di
cause collettive, non è in grado di risarcire pienamente il furto di
vita, di tempo, di lavoro, ma dimostra comunque un segnale di buone volontà
con cui misurarsi nel presente. La sua parzialità è evidente, dichiarata
la sua impossibilità di risarcire che non è sopravvissuto. Pur nella
parzialità abbiamo accettato di confrontarci con essa perché rispondeva
alla richiesta che ci siamo sentiti ripetere innumerevoli volte: al di là
del risarcimento monetario è importante perché dà un riconoscimento di
responsabilità storica, perché strappa la memoria della sofferenza
dall’oblio individuale.
2) L’organo
di governo della fondazione, il Kuratorium, mostra nella sua composizione
il carattere politico diplomatico dell’operazione e certifica attraverso
i suoi organi dirigenti la centralità responsabile dell’apparato
produttivo tedesco come elemento portante della guerra nazista.
3) I
ritardi operativi della fondazione, la ritrosia delle imprese tedesche a
partecipare al fondo, testimoniano le difficoltà di avviare un processo
complesso e doloroso per tutti., per chi ha subito e per chi vuole fare
ammenda. Tali difficoltà devono comunque misurarsi con la significatività
profonda di un processo che vuole valorizzare la memoria di un Europa che
guarda avanti. Atteggiamenti burocratici e semplificazioni contabili in
questo senso mal si accordano con lo spirito di una legge con i cui limiti
i popoli d’ Europa, che il nazismo hanno subito, sono disposti a
confrontarsi.
4) In
questo senso la considerazione dell’internamento e della deportazione
degli Italiani, il loro riconoscimento diventa vitale non solo e non tanto
per gli interessati, per il senso storico di due nazioni che sempre più
hanno destini comuni, diventa la cartina al tornasole per misurare il senso stesso della legge tedesca.
5) Diviene
così inaccettabile, non un passo avanti, ma addirittura due indietro, una
interpretazione come quella austriaca che offende la storia e calpesta gli
individui, valorizzando il “diritto” nazista. L’esclusione degli IMI
è un affronto nella sua formulazione, costituisce un precedente con il
quale occorre misurarsi subito e con determinazione perché l’assenza di
risposta non costituisca un alibi per la stessa Germania.
6) Le
notizie che filtrano dalla Fondazione parlano di una sbadata, superficiale
analisi storica che non ha conteggiato gli Italiani, di una propensione a
risolvere la “questione italiana” con una forma altrettanto offensiva
per gli IMI.
7) Lo
IOM Italia, la sede di Ginevra hanno assunto la posizione delle
Associazioni storiche italiane, la decisione è stata affidata al Board of
Director della Fondazione (gli organi dirigenti). Anche il governo tedesco
interpellato dalla nostra diplomazia, ha rimandato al Board of Director la
decisione sull’ammissibilità degli IMI.
8) Tale
ammissibilità è palese dal nostro punto di vista e da quello dei
maggiori storici tedeschi, trova riscontro nella stessa politica di
risarcimento intrapresa autonomamente dalla Siemens che risarcisce i
lavoratori schiavi al di la che siano stati IMI o meno.
9) E'
lo sfruttamento del lavoro coatto e schiavistico che oggi chiede di essere
risarcito. Gli equilibrismi contabili e della Realpolitik non si possono
applicare tout-court in una questione che pretende di valorizzare la
memoria e di aprirsi a percorsi condivisi.
10) La
complessità della domanda di risarcimento, il suo carattere burocratico,
la sua pretesa di chiedere alla vittime di dimostrare il danno subito a
cinquant'anni di distanza, la poca disponibilità tedesca ad aprire gli
archivi, pesano ulteriormente su questa vicenda.
11) L'avvio
della fase di compilazione delle domande in questa situazione rischia di
essere l'ennesima brutale offesa alle vittime della guerra e del nazismo.
La fondazione "Memoria responsabilità futuro" rischia di
nascere coni piedi d'argilla, di scrivere l'ennesima pagina di una storia
che calpesta gli individui, che banalizza il passato, un
boomerang verso la stessa Germania e l'idea di Europa.
12) Noi
crediamo che sia indispensabile a questo punto, prima di cominciare una
defatigante, umiliante processione fra i distretti militari, archivi di
stato, uffici comunali riottosi e impreparati, cercare di definire una
volta per tutte quale senso vuole dare la Germania della suo legge nei
confronti dei deportati e degli internati italiani.
13) In
questo senso rivolgiamo un appello ai mass media, agli uomini di cultura,
a chi ancora ha fiducia nella capacità della memoria di orientare il
presente, perché dedichino a questa
pagina
della nostra storia l'attenzione che le spetta di diritto.
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