Presa di posizione sulla questione del risarcimento agli Internati Militari Italiani
che furono ridotti allo stato di lavoratori civili coatti
1. La situazione storica
Dopo la caduta di Mussolini e la rottura da parte dell'Italia del patto con la Germania, nel
luglio 1943, le unità tedesche disarmarono, in poche settimane, le 18 divisioni italiane che si trovavano nell'Italia del nord e le 38 che erano ripartite tra l'Italia del nord e i Balcani.
I soldati italiani, che non si dichiararono disposti a continuare a combattere dalla parte dei tedeschi - e furono la gran maggioranza - furono deportati in Germania, dove vennero internati in campi per prigionieri di guerra, registrati dagli uffici per la manodopera e dislocati in posti di lavoro.
l numero degli "IMI", i cosiddetti Internati Militari Italiani, in Germania nell'autunno del 1943 era di circa 370.000.
Il trattamento ricevuto da questo gruppo di lavoro nel "Reich" era caratterizzato soprattutto dal fatto che venivano considerati dei "traditori" e il cibo che ricevevano dalle autorità
tedesche era particolarmente insufficiente. Gli italiani incontrarono però anche nella popolazione odio e desiderio di vendetta.
Come testimonia una relazione dei servizi segreti di politica interna del regime, della SD, il 28 dicembre del 1943, ovunque "questi italiani sono rifiutati e disprezzati dalla popolazione tedesca. La chiusura dei tedeschi nei confronti di questi italiani non è stata mai tanto chiara e netta come adesso … . Quindi dalla popolazione stessa viene spontaneamente espresso il desiderio di non trattare questi 'traditori badogliani' secondo le norme giuridiche formali, bensì di sfruttare la loro forza lavoro in modo conseguente allo smacco che hanno fatto subire al popolo tedesco".
Dall'inizio del 1944 gli italiani vennero quindi impiegati, in tutto il Reich, come "sostegno per le prestazioni".
Il Comando Supremo della Wehrmacht, divisione prigionieri di guerra, ordinò il 28.2.1944: "Solo una prestazione soddisfacente dà diritto a razioni giornaliere di
cibo. La razione giornaliera deve essere quindi differenziata secondo la prestazione, in caso di una prestazione insoddisfacente deve essere ridotta per tutta l'unità di lavoro senza tenere in considerazione il singolo volenteroso. Il capo del Comando Supremo della Wehrmacht chie-derà ragione a ogni superiore che non agirà con conseguente severità di fronte a una scarsa prestazione lavorativa e disciplina degli Inter. Mil. Ital."
Come c'era da aspettarsi già dopo poche settimane molti degli italiani internati si trovavano in pessime condizioni. Da Krupp a Rheinhausen già nella primavera del 1944 circa un quarto degli Internati Militari Italiani era morto per denutrizione. La perdita di peso in media corrispondeva a 9 kg in tre mesi.Il
numero di morti e ammalati degli internati italiani era, insieme a quello dei prigionieri di guerra
sovietici, il più alto tra i diciannove gruppi di diversa nazionalità nelle mani della Wehrmacht.
Le autorità del lavoro e le aziende stesse quasi subito fecero pressione affinché la loro alimen-tazione fosse migliorata, per migliorare anche il livello delle loro prestazioni. Mussolini che, vicino al Lago di Garda, era alla guida di un ministato sotto la sorveglianza tedesca, si era già rivolto più volte a Hitler in merito alla catastrofica situazione degli internati. Eppure non si mosse nulla.
Dall'estate del 1944 in poi, però, aumentarono gli sforzi per togliere gli internati militari dalle mani della Wehrmacht e farli rientrare nei rapporti di lavoro come civili.
In tal senso fu decisivo che, a causa della situazione militare sempre peggiore della Germania, la Wehrmacht non aveva a disposizione forze di sorveglianza a sufficienza. Oltretutto, l'incaricato generale per l'impiego di manodopera, Sauckel, si aspettava con il trasferimento degli italiani, "che al momento stanno morendo di fame", un miglioramento nel trattamento e nel
vettovagliamento.
Dopo aver ricevuto l'approvazione di Hitler, gli internati italiani furono privati, nel luglio del 1944, secondo il modello dei prigionieri polacchi, dello status di prigionieri di guerra. Prima dovevano firmare che si dichiaravano pronti "a lavorare in Germania, alle condizioni valide per la forza lavoro assunta in Italia, fino alla fine della guerra". In seguito furono regi-strati come lavoratori coatti civili, trasportati dai campi per prigionieri di guerra nei campi di lavoro e sorvegliati da forze civili.
Da questo momento in poi per loro furono valide le norme di trattamento e punizione dei lavoratori italiani civili, come anche le loro razioni di vettova-gliamento. Nella condizione sociale degli italiani però cambiava ben poco. Fino alla fine della guerra rimase uno dei gruppi trattati e nutriti nel modo peggiore. In merito a questo giudizio sulla situazione degli italiani la ricerca storica internazionale è di parere
univoco.
Durante il congresso internazionale degli storici a Buchenwald nell'estate del 1999, che
serviva a preparare le trattative sul risarcimento ai lavoratori forzati, era opinione ampiamente condivisa da tutti i partecipanti che tra gli ex lavoratori forzati dell'Europa occidentale gli
Internati Militari Italiani furono, dopo gli ebrei e gli internati dei campi di concentramento, quelli che ebbero in sorte il destino più terribile, il loro risarcimento fu valutato come
particolarmente urgente..
2. Rispetto al giudizio legale
Il regime nazista violò, in modi diversi, le norme del diritto internazionale nei confronti delle persone che caddero nelle sue mani nei territori occupati. Questo riguardò l'impiego di pri-gionieri di guerra per la produzione d'armamenti, la deportazione di civili per il lavoro
forzato, l'assassinio dei prigionieri di guerra lasciandoli morire di fame e molto altro.
Anche il cambiamento di status obbligatorio dei prigionieri di guerra polacchi in civili, duran-te l'anno 1940, rappresentava una violazione simile delle norme del diritto internazionale.
Questi polacchi dovettero lavorare per anni in Germania in qualità di lavoratori forzati civili.
Secondo gli accordi internazionali, il risarcimento per l'impiego di prigionieri di guerra nel lavoro forzato non deve essere pagato. Questo riguarda soprattutto i milioni di ex prigionieri di guerra sovietici caduti in mano tedesca, la maggior parte di loro morì e i sopravvissuti do-vettero lavorare in condizioni miserabili. Non hanno ricevuto denaro dal fondo per i
risarcimenti.
Mentre i prigionieri di guerra polacchi, costretti dalle autorità naziste a lavorare come civili in regime coatto, saranno risarciti in seguito ad un accordo con la parte polacca: non si sarebbe potuto giustificare perché questi lavoratori forzati polacchi, che erano caduti in mano tedesca come prigionieri di guerra, avrebbero dovuto ricevere un trattamento diverso dai civili polac-chi che prima non erano stati prigionieri di guerra.
Con la perizia dell'esperto di diritto internazionale, Christian Tomuschat, si presenta alla
discussione una nuova figura storico-giuridica, per cui proprio uno dei gruppi che è sempre
stato al centro delle riflessioni in merito al risarcimento dei lavoratori forzati, deve andarsene a mani vuote . Il perito scrive che se è vero che gli Internati Militari Italiani effettivamente
furono impiegati in un rapporto di lavoro coatto come civili, quest'azione dei nazisti venne però realizzata in violazione del diritto internazionale, e quindi gli italiani non possono ricevere il risarcimento, proprio perché rimasti prigionieri di guerra.
Fino ad ora non era mai stata usata un'argomentazione simile.
Se prendesse piede, ne conseguirebbe che tutte quelle misure del regime nazista, che oggi devono essere classificate in violazione del diritto internazionale,
sarebbero da considerare come non valide, per cui il diritto al risarcimento cadrebbe.
Un'argomentazione del genere serve apertamente a legittimare giuridicamente la volontà del Ministero delle finanze di escludere gli italiani dai pagamenti del fondo, giacché il loro
numero, relativamente alto, supererebbe la somma prevista nel fondo per i risarcimenti dei lavora-tori forzati dell'Europa occidentale.
È in palese contraddizione con gli accordi con la parte polacca, secondo i quali i prigionieri di guerra polacchi trasportati nello status di civili nel rapporto di lavoro coatto usufruiranno del risarcimento.
3. Conclusioni
Quest'argomentazione è palesemente insostenibile e anche troppo scorretta perché sia presa come base di una seria discussione.
Il vero punto di partenza è un altro: già nella prima fase delle trattative sulla realizzazione di un fondo per i risarcimenti per i lavoratori coatti si è tornati più volte sul fatto che la spartizione delle somme riassunte sotto la voce "resto del mondo", comprendesse, in modo insufficiente, la grande componente dei lavoratori coatti dell'Europa occidentale.
Quindi, quando, secondo la relazione dell'International Migration Office a Ginevra, che amministra la di-stribuzione di questa parte del fondo, divenne chiaro che il numero degli aventi diritto tra gli ex Internati Militari Italiani sarebbe stato così alto che la somma totale prevista per tutti i lavoratori coatti dell'Europa occidentale sarebbe stata ampiamente superata, è stata disposta questa perizia, il cui obiettivo è quello di offrire una motivazione che suoni in qualche modo legale per escludere gli italiani dagli aventi diritto.
È prevedibile che rispetto al numero fino ad ora accertato di aventi diritto tra gli ex lavoratori
coatti dell'Europa orientale, la somma messa a disposizione non sarà sufficiente.
Quindi bisogna tenere conto che argomentazioni simili seguiranno presto per escludere dagli aventi diritto anche
altri ex lavoratori forzati.
In tutta la questione non è tanto da criticare che la somma totale concordata di dieci miliardi di marchi, anche per i rigorosi limiti di definizione della legge per l'istituzione di una fondazione "Memoria, responsabilità e futuro", non è sufficiente per il previsto risarcimento dei lavoratori forzati. Quello che è più in contraddizione con l'obiettivo annunciato dalla legge e dalla
fondazione nel loro insieme è se la volontà politica, di non volere dare risarcimenti una volta superata la somma concordata, deve essere nascosta da argomentazioni apparentemente legali.
Friburgo, 8 ottobre 2001
Prof. Dr. Ulrich Herbert
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