Articolo tratto dal Manifesto del 12 ottobre 2001
Lavoro coatto, a Berlino non cade il muro
Ennesimo rifiuto di indennizzo agli internati italiani da parte della "Fondazione" tedesca
GUIDO AMBROSINO - BERLINO
La Fondazione "memoria, responsabilità, futuro", istituita
per indennizzare i sopravvissuti al lavoro coatto nella Germania nazista,
insiste nel negare ogni risarcimento agli internati militari italiani:
i "traditori badogliani" che rifiutarono di arruolarsi nelle truppe di
Salò, puniti con un trattamento che li relegava nei gironi più bassi dell'inferno
concentrazionario.
Il consiglio di amministrazione della Fondazione non si è nemmeno preso
la briga di replicare ai fondatissimi argomenti esposti da una patrocinatrice
d'eccezione delle ragioni degli "Imi", la professoressa Maria Rita Saulle,
ordinaria di diritto internazionale alla sapienza di Roma. Si è limitato
a togliersi pilatescamente d'impaccio, rinviando a "insuperabili" vincoli
politici: "Ci dispiace tanto, ma la fondazione è sottoposta alla supervisione
giuridica del ministero delle finanze: dal ministero ci è venuta la direttiva
di escludere gli Imi, non possiamo farci niente".
Questo discorsetto ha almeno il pregio di fare chiarezza sulla natura
della Fondazione: il governo e le industrie tedesche dispongono della
maggioranza dei 27 seggi del Kuratorium, il consiglio di amministrazione.
Maria Rita Saulle, nel suo breve intervento, ha constatato che è perlomeno
insolito decidere in modo unilaterale un problema di dimensioni così rilevanti
come quello degli internati militari italiani: delle 90.000 domande di
indennizzo pervenute alla sede di Roma dell'Organizzazione internazionale
per la migrazione, la maggior parte vengono appunto dagli Imi.
E ha proposto di far riesaminare la questione da una commissione di tre
giuristi, un tedesco, un italiano e una terza personalità neutrale. Ma
a favore di una "moratoria", in attesa del parere di una commissione di
esperti, si sono pronunciati solo sei curatori: Lothar Evers, la deputata
del partito del socialismo democratico Ulla Jelpke, e quattro rappresentanti
di fondazioni dell'Europa centro-orientale.
Dunque niente da fare. Il governo tedesco, e la sua filiale denominata
"Fondazione memoria, responsabilità, futuro", continuano a aggrapparsi
al salvagente messo a disposizione dal professore Christian Tomuschat,
ordinario di diritto internazionale all'università Humboldt di Berlino.
In un suo parere giuridico Tomuschat conclude che gli Imi furono, sin
dalla loro cattura e fino alla loro liberazione, "prigionieri di guerra",
sebbene per disposizione di Hitler questa denominazione gli venne negata
a partire dal 20 settembre '43, insieme alle tutele previste dalle convenzioni
internazionali, e nonostante a partire dall'estate del '44 si sia continuato
a sfruttarli come "lavoratori civili". Come prigionieri di guerra andrebbero
esclusi dagli indennizzi, perché la Germania non è disposta a aprire un
capitolo di compensazioni su questo terreno. Con la professoressa Saulle
era venuta a Berlino una piccola delegazione del Comitato italiano di
coordinamento per il risarcimento delle vittime del nazismo, guidata dall'instancabile
Enzo Orlanducci. Ne facevano parte Valter Merazzi, dell'istituto per la
storia della resistenza di Como, e due Imi reduci da terribili "campi
di punizione": l'81enne Raimondo Finati e l'80enne Michele Montagano.
Finati, in una conferenza stampa tenuta a Berlino il 9 ottobre, ha pregato
i giornalisti presenti di portare a Tomuschat i suoi ringraziamenti "per
l'inattesa promozione al rango di prigioniero militare". "Peccato - ha
proseguito Finati - che questo riconoscimento arrivi con 58 anni di ritardo". |