Mercoledì 17 Ottobre 2001
"Berlino non vuole risarcire gli italiani schiavi di Hitler"
Novantamila internati che furono costretti a lavorare per il Terzo Reich
Emanuele Novazio
ROMA "Il governo tedesco ha deciso di escludere 90 mila
italiani dall’indennizzo per il lavoro forzato svolto durante il nazismo",
denunciano. E "per ristabilire la verità storica" e "sanare una ferita
che rischia di farci entrare nella nuova Europa con il piede sbagliato",
gli ex "schiavi di Hitler" rappresentati dall’"Associazione nazionale
reduci e prigionieri di guerra" si appellano a Carlo Azeglio Ciampi, che
il 19 novembre sarà in visita a Berlino: Enzo Orlanducci, segretario generale
dell’"Anrp", chiede al presidente della Repubblica di "far pressioni sulle
autorità tedesche affinché il diritto al risarcimento venga riconosciuto
a tutti gli internati nei lager, ai civili e ai militari".
Il problema riguarda soprattutto questi ultimi, la stragrande maggioranza
dei sopravvissuti: in Italia il 90 per cento dei potenziali aventi diritto
agli indennizzi, le ultime decine di migliaia di persone rimaste su un
totale di 700 mila, è infatti rappresentato da militari deportati in Germania
dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e impiegati a forza nell’industria
di guerra del Reich. Il regime nazista li etichettò come "Imi" - internati
militari italiani - e non come prigionieri di guerra, privandoli così
delle garanzie previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929 e dell’assistenza
della Croce Rossa. Ma la loro situazione viene assimilata oggi alla condizione
di prigionieri di guerra, che la legge tedesca esclude dagli indennizzi
previsti per i lavoratori forzati. "Un clamoroso falso giuridico e storico
contraddetto dalle conclusioni unanimi degli studiosi della Repubblica
federale, che considerano il contributo degli "Imi" alle fabbriche del
Terzo Reich secondo soltanto a quello degli ebrei", denuncia Orlanducci.
"La differenza è chiara: gli internati erano privi di tutele internazionali
e obbligati arbitrariamente e unilateralmente al lavoro in campi di punizione".
Il segretario dell’"Associazione reduci e prigionieri di guerra" è appena
rientrato dalla Germania dopo aver depositato alla Corte Costituzionale
tedesca un ricorso contro la legge istitutiva della "Fondazione Memoria
Responsabilità e Futuro", che ha l’incarico di gestire i 10 mila miliardi
di lire versati da banche, grandi aziende e governo tedeschi per indennizzare
le vittime del lavoro forzato: "E’ indispensabile che il governo italiano
assuma una posizione chiara e intervenga perché sia ristabilita la verità
e si assicuri un giusto riconoscimento a tutti gli ex lavoratori forzati
ancora in vita", insiste Orlanducci. Se "in primo piano" deve restare
"la verità storica" e se prima di tutto va riconosciuto il contributo
che gli internati italiani hanno dato "alla ricostruzione di un’Europa
libera" - avverte il segretario dell’Anrp - "è altrettanto chiaro che
gli indennizzi devono essere pagati a chi ha lavorato nelle fabbriche
naziste".
L’impressione di Orlanducci è che il governo tedesco "abbia frenato perché
ha sbagliato i conti e non se la sente di ripresentare una legge che preveda
maggiori oneri di spesa". La somma raccolta dalla Fondazione - pari a
10 mila miliardi di lire - deve coprire gli indennizzi per tutti gli ex
"schiavi di Hitler", la maggior parte dei quali vive oggi nell’Est europeo:
per gli occidentali sono previsti soltanto 540 miliardi di lire. Una somma
del tutto insufficiente, secondo Orlanducci: "Siccome mancano i soldi,
si cominciano a escludere le categorie maggiori: nel nostro caso gli internati
militari, che sono quasi il 90 per cento dei reduci italiani". Se la situazione
non si sbloccherà, l’Associazione è decisa ad avviare migliaia di cause
civili in Germania e a rivolgersi al tribunale internazionale dell’Aja.
Per ottenere gli indennizzi e - nei casi in cui le imprese tedesche pagarono,
paradossalmente , i contributi su un lavoro coatto e non retribuito -
"per ottenere il ricongiungimento di quei versamenti ai contributi accumulati
successivamente dai reduci". Accanto a una denuncia di dimensioni dai
vasti contorni storico-morali si annuncia, forse, anche una causa di lavoro. |