Milano, 3 novembre 2003
Intervista al sig. E. Donato, Castello di Cisterna (Na), 1921.
Ufficiale di prima nomina di Fanteria, IMI,
Catturato a Roma, deportato a Meppen, Bjala Podlaska, Sandbostel, Wietzendorf.

Ci dà un quadro generale della sua vita?

Sono nato in provincia di Napoli a Castello di Cisterna, ho vissuto a Marigliano in provincia di Napoli. Da studente dovevo andare avanti e indietro da Napoli; finito gli studi delle medie mi sono iscritto all’università. All’università sono stato chiamato a militare. Ci hanno reclutati come volontari universitari, che volontari non eravamo.
Sono andato come recluta a Piacenza, dove ho fatto quelle esperienze, la prima esperienza è stata fatta in Italia durante il fascismo. Nel corso di Allievi Ufficiali, anziché farlo durare sei mesi, siam partiti dalla gavetta ed è durato un anno. Abbiamo fatto tutta la trafila: da soldato a caporale a sergente e poi da sergente sono andato al corso di Allievi Ufficiali che io ho fatto a Ravenna, forse l’unico corso di Allievi Ufficiali che è stato fatto a Ravenna. Dopodiché come ufficiale di prima nomina sono stato mandato a Casteltesino a Strigno, dopodiché i vari passaggi: sono stato a Trento, da Trento mi hanno mandato poi a Genova, che era molto bombardata e ci avevano mandato col mio reparto allo sgombero coi miei soldati, allo sgombero delle macerie di Genova.
Da Genova ci hanno trasferito poi a Roma, alla difesa di Roma. Ero in un caposaldo nella campagna romana.
All’otto settembre io ero proprio in questo caposaldo, quando è successo l’armistizio che io ho appreso di ritorno da una ricognizione che avevo fatto con due miei soldati. Una ricognizione che avevo fatto a Roma, e di ritorno avevamo sentito delle urla che annunciarono che era stato firmato l’armistizio. Io non ero tranquillo nonostante l’euforia dei soldati e della gente, non ero tranquillo perché ho avuto un’intuizione su quello che avrebbero fatto i tedeschi.
Dunque dicevo, ho appreso e ho cercato di sapere qualche cosa sulle intenzioni dei tedeschi. Allora mi sono fermato a un’osteria, un’osteria di .… dove sapevo che era frequentata però dai tedeschi, e c’era … l’oste che era amico di questi tedeschi. Mi sono fermato lì per sapere qualcosa, ma i tedeschi non si sono sbottonati, ma io volevo sapere qualcosa e… ho chiesto all’oste, il quale si rifiutava di rispondermi. Allora l’ho preso, scusi faccio una parentesi, ovvero l’ho preso, l’ho trascinato nel retrobottega, ho tirato fuori la pistola, gli ho puntato la pistola in fronte e ho detto: “ O parli o sparo”. La moglie è svenuta e lui m’ha detto quello che i tedeschi avevano intenzione di fare, cioè disarmare tutti gli italiani e imbottigliarli. Saputo questo, ho abbandonato la cosa e poi coi miei soldati sono uscito per ritornare al caposaldo.
Come sono uscito dall’osteria poco… poco distante c’era già un posto di blocco, che era stato occupato dai tedeschi e disarmato i nostri soldati.
Hanno tentato di fermarmi, ma io ho caricato le armi e con la violenza sono riuscito a passare. Così durante il tragitto anche qualche ronda che ho poi incontrato. Sono arrivato al caposaldo, ho incontrato il capitano che comandava una batteria di artiglieria posta alla difesa del caposaldo, e l’ho messo al corrente: “Capitano succede che i tedeschi verranno qui per disarmarci”. Il capitano ha detto: “Qui non c’è nessuno”. Allora io ho detto: “Capitano, che cosa facciamo?” . Dice: “Guardi, lei è ufficiale di Fanteria dunque è lei che prenderà il comando del caposaldo”; anche se in sottordine perché ero appena sottotenente di prima nomina. “Io sono ai suoi ordini… mi dica lei…”. Rientro nel caposaldo, non c’era nessuno perché era scomparso il comandante, il vicecomandante, erano scomparsi tutti, e ho telefonato al comando di reggimento che era, non mi ricordo più dov’era, in ogni modo ho telefonato, mi risponde un ufficiale, non mi ricordo più se un maggiore o un tenente colonnello e dico: “Qua succede questo e questo. Cosa dobbiamo fare?”. Dice: “Guardi, qui non c’è nessuno, sono scappati tutti!” “Ma, datemi degli ordini!”. Dice: “Guardi, ordini non so cosa dirle perché ho detto… come dire… non c’è nessuno. Faccia lei, si regoli lei”. E mi sono regolato io. Ho fatto il giro di tutto il caposaldo ordinando a tutti, a tutti, di armarsi per opporre resistenza ai tedeschi.
Mi sono ritirato in una postazione dove io comandavo un plotone mitraglieri. Mi sono ritirato nel retro del caposaldo che era completamente sguarnito, mi sono messo in una postazione con la mitragliatrice puntata verso il retro e verso mezzanotte, più o meno, arrivano i tedeschi. Naturalmente i miei cominciano a sparare. I tedeschi hanno cominciato a implorare ovvero di non sparare: “Camerade!…” A un certo momento sento qualcuno che grida: “Non sparate! Non sparate!” dicevano “…… la trattativa con i tedeschi”, eccetera, eccetera… Era il comandante, che era tornato, un capitano che era comandante interinale. Ci ha fatto smettere di sparare, i tedeschi sono piombati nel campo, nel caposaldo e naturalmente ci hanno disarmati tutti. Quindi ci hanno portato a una stazione dei carabinieri, da lì ci hanno caricato sui camion e ci hanno portato attraverso la… la tenuta reale, che l’hanno portata a Ostia, e ci hanno accantonati in una caserma della guar… una caserma, di allievi della Guardia di Finanza dove siamo stati fino quando poi siam partiti per la Germania. Questa è la prima fase del famigerato otto settembre.
La prima tappa che abbiamo fatto quando siamo andati in Germania, abbiamo fatto un viaggio bello perché ho viaggiato in seconda classe e… facendo… passando da Tarvisio, abbiamo attraversato tutta l’Assia, la Svizzera e siamo andati a finire sul Reno, e abbiamo fatto tutto il Reno, fino a Meppen. A Meppen siamo stati fermi qualche giorno perché era un campo di smistamento e di là ci hanno poi trasferiti a… . Non credo che siano andati tutti a Bjala Podlaska, un certo numero siamo andati a Bjala Podlaska dove siamo arrivati mi pare, il ventotto ottobre. Naturalmente faceva freddo, e noi non eravamo equipaggiati. Naturalmente siamo arrivati là dopo qualche giorno e si cominciava a soffrire veramente il freddo.
Le varie vicende poco piacevoli sono successe e le abbiamo superate per fortuna. Fino alla famigerata “frana” che è successa poi a Bjala Podlaska. Io fra l’altro mi sono preso anche i pidocchi, stando lì… l’unica volta. Eravamo nel dicembre, primi di gennaio, mi trovai i pidocchi e mi sono sottoposto a una prova che per fortuna è andata bene per me! Mi sono fatto le frizioni, eravamo a trenta gradi sotto zero. Mi sono fatto le frizioni col ghiaccio da tutte le parti infette, è vero, e per fortuna loro sono morti e io sono qui a raccontare. C’è stata… ci sono state varie visite dei gerarchi fascisti, con i tedeschi che venivano naturalmente per farci aderire alla neo Repubblica Sociale Italiana.
Unico caso, Bjala Podlaska come accennavo poc’anzi, in quel campo eravamo 1600 ufficiali. Su 1600 ufficiali siamo rimasti a non optare per la Repubblica Sociale soltanto in 147. Naturalmente ci hanno separati, ci hanno riuniti in due baracche, mentre gli optanti li hanno messi in baracche con trattamento particolare, trattamento alimentare migliore e noi abbiamo affrontato quest’incognita delle rivalse naturalmente dei tedeschi che certamente non ci vedevano di buon occhio. Siamo rimasti fino a marzo del ‘44 in queste condizioni. A marzo del ‘44 ci hanno trasferito al campo di Bjala Podlaska, con un freddo… un freddo incredibile, eravamo sui trenta, trentacinque gradi. Nevicava e nevicavano ghiaccioli che sembravano… ghiaccioli che erano cristalli. Questi cristalli erano bellissimi perché sembravano… quando si guarda al caleidoscopio! Si vedono tutte queste forme perfette… erano quei ghiaccioli… quelle… erano identici. Fatti di una forma bellissima che si fermavano sulle mani cioè, e stentavano a sciogliersi dal freddo che c’era! In quelle condizioni alla stazione ci hanno fatto togliere la cintura dei pantaloni e le scarpe e ci hanno fatto salire naturalmente nei carri bestiame trascinandoci dietro in tutto il viaggio la neve che eravamo lì. E’ stato un viaggio allucinante perché c’è stato qualcuno che ha dato segni di pazzia. Naturalmente, con l’umido…… e abbiamo fatto un viaggio, non mi ricordo più, sei, sette, otto giorni per arrivare a Sandbostel. Un altro campo malfamato dove abbiamo trovato un comandante di quel campo, il capitano Pinkel che era veramente un mastino. Non conosceva umanità! Era tremendo! Tant’è vero che quando poi siamo stati liberati abbiamo saputo…….da dei russi che erano restati lì, che questo capitano ha fatto una brutta fine: l’hanno preso, l’hanno legato al carro M. Io non so il carro M era il carro… degli escrementi, è vero, che si trasportava da una parte all’altra e lo trascinavano generalmente i russi. I russi hanno fatto una vitaccia! … e l’hanno legato a un carro del genere e l’hanno fatto girare per tutto il campo. Dopodiché l’hanno legato, l’hanno calato nel pozzo nero, calato… l’hanno tirato su, calato, l’hanno tirato su, finché l’hanno impiccato. Questa è la fine che ha fatto il capitano Pinkel. L’abbiamo saputo dopo e se lo meritava!
Siamo arrivati da Sandbostel trasferiti a Wietzendorf che è stato il campo… il maggior campo di raccolta degli ufficiali. Dove siamo rimasti poi praticamente fino alla liberazione.
Ecco: questa a volo d’uccello un po’ tutta la……

 

Dopo la liberazione cosa è successo?

Mah, dopo la liberazione ci hanno portato a… ci hanno fatto sgomberare il campo e hanno chiesto una tregua agli alleati e ci hanno fatto andare a Bergen, a Bergen Belsen. Hanno fatto sgomberare il paese dalla popolazione civile e l’hanno raccolta nel campo di Belsen per accogliere noi. Dovevamo partire per… in aereo c’era… avevano già fatto degli scaglioni ufficiali con il numero dell’aereo assegnato a ogni scaglione per partire. Prima per il Belgio e poi rientrare in Italia in aereo. Invece le cose poi sono precipitate, tanto che a maggio poi c’è stato… è finita la guerra e ci hanno fatto ritornare nel campo di Wietzendorf, in attesa per il rimpatrio, e lì siamo rimasti fino a che siamo stati rimpatriati a scaglioni, e un po’ alla volta, ovvero da maggio e siamo ritornati a ….. Io son partito da Wietzendorf ad agosto, a fine agosto del ‘45.

 

E’ rientrato in Italia e poi?

Sono rientrato in Italia e poi ho ripreso gli studi…

 

Ripreso gli studi, cosa è successo, come si è reintegrato nella società?

La preoccupazione principale era quella di cercare di riprendere un po’ la vita civile perché, dopo cinque anni di avere divise addosso, si stentava un po’. L’abbiamo trovato, soprattutto almeno io, ho trovato nell’ambiente universitario una disposizione molto favorevole, affettuosa. Dopodiché poi, dopo tutte queste vicende, ho cercato di lavorare e mi sono inserito nel campo del lavoro, successivamente, andando al tribunale di Imperia, prima come funzionario, e dopo trasferito a Milano, dove ho completato tutta la mia carriera lavorativa, come funzionario dirigente. Dirigevo ultimamente il tribunale per i minorenni di Milano.

 

Da parte sua c’è stata un’ attenzione rinnovata al fenomeno della deportazione: lei ha costituito un piccolo gruppo?

Beh guardi, questo è successo successivamente. Ho detto molto in ritardo perché per tutto il tempo lavorativo non c’ho pensato più. Era un ricordo così, ogni tanto affiorava, ma… Finché sono andato in pensione, in quel periodo c’erano delle ricerche di testimoni sugli eccidi di Leopoli, non so se lei ha sentito questa cosa, e naturalmente cercavano questi reduci per sapere qualcosa circa Leopoli. Sono stato chiamato anch’io dai carabinieri varie volte.
Ci trovavamo appunto con Cusina, Sommaruga nell’ufficio del Cusina, allora faceva il consulente, e mi hanno chiesto di scrivere qualcosa su sta benedetta Bjala Podlaska. Che io poi ho… scritto un breve resoconto e scrivendo questo ho cercato nelle mie carte e ho trovato degli appunti. Degli appunti di diario, così molto stringati, e ho trovato anche un quaderno dove io avevo annotato tutti i miei compagni della mia baracca, che erano in dieci, quindici, venti insomma e così. E ho trovato questi e allora mi è venuta la bislacca idea, pazzesca, dico: “Ma eravamo pochi qui, c’ho gli indirizzi di allora; perché non li cerco!”. E me so avventurato ovvero in questa impresa, di cercare questi vecchi compagni. E son partito da questi miei, proprio compagni di stanza diciamo così. Con i vecchi indirizzi ho incominciato a scrivere, su carta intestata dell’associazione, a scrivere a tutti i comuni chiedendo notizie di queste persone che abitavano allora a quegli indirizzi. E mano a mano che trovavo qualcuno, qualcuno aveva qualche altro nominativo che mi forniva. E’ stata una catena di Sant’ Antonio e siamo riusciti a metterci insieme un bel numero. Tanto che adesso sono cent… su centoquarantasette ne avrò un centotrenta… centotrentacinque trovati. Trovati morti e vivi.
Di quelli viventi, io poi non mi limitavo soltanto a scrivere così, ma quando li trovavo coi loro recapiti, io telefonavo, mi informavo sul numero di telefono e telefonavo. Pigliavo contatto diretto. Così, quando ne ho trovato un bel numero, era una quarantina più o meno, li ho convocati : “ Vediamoci”. E questo succedeva nel 1989 perché per cercare questi qui ho impiegato due anni. Dal principio dell’87 fino all’89 quando ho fissato quest’incontro, ci siamo riuniti a Tavernella di Pesa dove uno dei primi che ha risposto all’appello, che è morto poverino, era il nostro decano. E’ morto che aveva novantun’anni, di recente, un’anno fa è morto.
Ci siamo riuniti in questo paesino e c’è stata una bella affluenza, ovvero molti non ne hanno voluto sapere. Si vede hanno cancellato proprio dalla memoria queste vicende, compreso Gianrico Tedeschi, il quale non ne ha mai voluto sapere, l’attore.
E ci siamo riuniti nel 1989 la prima volta. E’ stata una cosa commoventissima. C’è stato perfino uno, che… nella mia stanza dormiva vicino a me, che era vicequestore a Como. Abbiamo saputo dopo quando ci siamo parlati, diceva: “Eravamo vicini e non ci siamo visti!” Siccome era conciatino, insomma stava più a letto che in piedi. A quel primo incontro ha obbligato il figlio, che insegnava non so che cosa, a partire da Siracusa perché ha detto: “Tu devi andare, non ci posso andare io, devi andare tu”. Ha mandato il figlio.
E’ stata una cosa molto bella! Ci siamo ritrovati, alcuni ci conoscevamo, ma sa… i ricordi si erano molto affievoliti. Quelli che c’avevano…… anni di più come Oreste D’Agostino! Perché eravamo in contatto e lui era qui. Ma gli altri poi sa, coi ricordi poi si risvegliano!
Da allora, abbiamo poi stabilito tutti di concerto di vederci spesso, di vederci una volta all’anno. E dal 1989 noi, tutti gli anni ci riuniamo, ovvero questi superstiti naturalmente che sono sempre di meno. Adesso siamo ridotti a un piccolo numero. Ci siamo visti in qualche località, adesso ci vediamo sempre a Montecatini dove ormai l’abbiamo… ci siamo assuefatti lì e nell’albergo dove andiamo sono molto carini, affettuosi i proprietari. Ci siamo trovati bene e ci vediamo sempre a Montecatini.
Questo naturalmente è un gruppo che non si è costituito come un’associazione. E’ un gruppo di amici che si sono ritrovati, e una volta all’anno si rivedono, ovvero per stare un momento insieme. Dunque non è un gruppo associato. Questa è un po’ la panoramica……

 

Lei ha detto che è nato in provincia di Napoli, in che anno?

27 gennaio 1921. 27 gennaio, giornata della memoria come è stato stabilito adesso.

 

La famiglia?

La famiglia è… era di lì.

 

Cosa facevano i suoi? Cosa faceva suo padre?

Mio padre era nella vigilanza urbana e mia mamma era casalinga.

 

Lei era l’unico figlio?

No, c’era una sorella che è ancora vivente per fortuna.

 

Studi elementari, medie e più avanti l’università. Si ricorda qualcosa del periodo degli studi inferiori? Qualche cosa di particolare, qualche episodio?

Ma guardi, di particolare niente perché io ero in un paese di 15.000 abitanti, dunque molto ristretto come…… e di particolare niente. Si faceva la vita che è imposta naturalmente dal regime, quindi con la divisa quando si doveva mettere la divisa, le adunate quando si doveva andare a fare l’adunata, quando parlava il Duce, e… quelle cose lì, insomma. Quelle cose spicciole, ma di particolare, come fatto saliente, niente di particolare.

 

Com’era l’atteggiamento della sua famiglia riguardo al regime?

Mah, la mia famiglia le dirò, e qui bisogna fare un po’… la dietrologia, ed è una materia che naturalmente non sta a me, sta più a lei magari criticare queste cose. Eravamo nel 1921- ’22, giornata del ‘21, mio padre era come tutti gli altri vero, preso da questo movimento, e mio padre era fascista. Era fascista come quasi tutti insomma, c’era un plebiscito. Le ragioni di questo fascismo sono ormai note. Io adesso sto leggendo un libro che è molto interessante, del professore, e questo professore era della Cattolica, che parla proprio, l’ho incominciato adesso questo libro, è molto interessante, appunto sulle ragioni per cui sorgono a un certo momento queste dittature, il fascismo come il nazismo. Perché poggia su delle esigenze… delle esigenze immediate: quelle di un popolo, c’è poco da fare, altrimenti non attecchirebbe. Naturalmente …… e mio padre era fascista; fascista della prima ora: del ‘22.
Naturalmente io sono nato, vissuto in questo clima, in questo regime e mi sono dovuto adeguare, naturalmente!

 

A cosa si era iscritto all’università?

Io non dico mai di laurette o cose così perché mi vergogno. Io sono figlio del fascismo, è vero, e naturalmente la laurea a cui… era una laurea fascista: Scienze Coloniali. Se io vado a dire laurea in Scienze Coloniali mi ridono in faccia, per cui non dico mai niente. Adesso lei me l’ha chiesto mi obbliga a dirlo, va bene? Ma se io vado a dire laurea in Scienze Coloniali: “E cos’è… e cos’è?“. Allora era una laurea che valeva. Perché c’erano i coloni e allora era destinata alla carriera diplomatica nelle colonie. Invece……

 

Qual’era il piano di studi di Scienze Coloniali?

Era un piano abbastanza oneroso, perché prima di tutto c’erano lingue… lingue molto ostiche: dall’arabo al berbero, all’indiano, all’urdu, i dialetti arabi perché appunto le colonie erano arabe. Poi c’erano le lingue naturalmente internazionali, diciamo così: inglese e francese, e le lingue facevano parte della struttura principale del… perché bisognava sapere parlare quelle lingue.
Oltre a questo, l’altra materia vero che era importante, era il diritto. E infatti abbiamo fatto parecchio diritto. Poi c’erano altre materie complementari che erano utili, non so se era indispensabile non l’ho potuto sperimentare, fra cui: medicina indigena, etnografia, geografia politica; beh insomma ce n’erano parecchie di queste cose lì. Erano studi che avevano un indirizzo preciso, mirato.

 

C’era l’idea della vita coloniale?

La vita coloniale, ma il mio destino era in Africa e invece son qui.

 

Invece viene chiamato a questo corso Allievi Ufficiali e poi inviato a Genova per sgombero macerie quando finisce il corso.

Sì, sono andato prima… ho raggiunto il…

 

Mi spiega questo meccanismo dei volontari universitari chiamati in guerra?

Allora si dava molta importanza… beh, uno degli aspetti diciamo positivi del fascismo era quello di curare molto la gioventù. Ecco e su quello nessuno vi può dire niente perché… non possiamo collimare le nostre idee. Infatti noi abbiamo avuto un’educazione, una disciplina che se ci fosse oggi, tante cose si sarebbero evitate. E naturalmente il fascismo ci ha educato in un certo modo. La domanda precisa qual’era?

 

Sul meccanismo per cui venivano chiamati i volontari.

Ah, ecco, ecco. Naturalmente il fascismo a un certo momento quando ha dovuto fare una certa mobilitazione si fidava molto sulla gioventù. E naturalmente quando hanno chiamato me non era il mio turno di partenza. Infatti chi c’è stato, Sommaruga è del ’20, e io sono del ‘21, è partito dopo di me. Non so perché ha chiamato questi studenti universitari. Ha fatto questo reclutamento nelle università pensando forse che erano giovani su cui poteva contare. Una certa preparazione, una certa disciplina eccetera, e così e c’han mandati, chiamandoci poi volontari universitari. Infatti c’era poi un piccolo contrassegno, un filo d’oro messo sul bavero. Adesso non mi ricordo precisamente. Mi pare che c’era un filo d’oro messo sul bavero della divisa per distinguerci come volontari universitari. Però ci hanno mobilitati, una bella cartolina rosa……

 

Ma era stata una vostra scelta?

No, no, no! Siamo stati chiamati! Siamo stati chiamati in leva diciamo. Anche se non era il nostro periodo perché doveva partire il ‘20, invece ha chiamato il ‘21 dopo che ha chiamato il ’20.

 

Quindi, questo corso Allievi ufficiali particolare, che dura un anno, poi a Genova allo sgombero di macerie, poi viene destinato a Roma.

Sì, da Genova poi siam partiti per Roma……

 

In che periodo siamo quando viene destinato a Roma per la prima volta?

Eh… è ‘na parola!

 

La domanda verte sulla questione del 25 luglio.

Deve essere stato maggio o giugno del ‘43. Perché quando è successo il 25 luglio ero a Roma. Ero lì alla resa di Roma.

 

Mi dice qualcosa sul 25 luglio, sul crollo del fascismo?

Più che altro veniva a mancare qualcosa a quelli che facevano parte della struttura fascista. Perché gli altri hanno continuato la loro vita, soltanto che noi… soprattutto noi militari le cose le sapevamo un po’ in ritardo. Perché… dietro le cose, lo svolgimento politico di quello che succedeva in Italia, ci stava ben poco… perché noi avevamo ben altro a cui pensare come militari. E noi l’abbiamo saputo, abbiamo avuto un calcio, mi ricordo perché l’hanno detto alla radio, l’hanno detto le voci. Io ero vicino a Roma, nei Castelli romani, quando è successa ‘sta faccenda qui. I nomi dei paesi non me li ricordo. E ho saputo che era caduto il fascismo, che era allo sfascio; tutti… tutte le camicie nere, i fascisti, gli ufficiali della milizia eccetera, tanto che io uscito poi in paese, e si vedevano quelli che cercavano di scappare, si vedevano questi poveri cristi giovani anche loro, che facevano….Erano ufficiali della milizia eccetera, cercavano, quando vedevano noi, di cercare di nascondersi e io qualcuno l’ho preso, l’ho infilato sul tram e l’ho mandato a casa. Anch’io personalmente perché mi facevano pena, erano tutti terrorizzati! E abbiamo saputo insomma di questo 25 luglio. Poi… tutto il resto……

 

Non ci sono state delle reazioni particolari? Avevate un’idea di come stava andando la guerra?

Sì, quello sì, quello ormai era si sapeva. Arrivavano notizie, poi c’erano quelli che tornavano dal fronte e ci raccontavano. Si sapeva che le cose non andavano bene. Infatti quando è successo poi… quando è successo l’otto settembre era una notizia non dico già attesa e già scontata, però accettata come…..come una soluzione logica alla situazione. Almeno l’Italia si tirasse fuori! Avevamo già avuto sentore dei comportamenti dei tedeschi perché sa, delle cose si vedevano. Per cui c’è stato poi il fatto di Bjala Podlaska, perché poi… io almeno li ho sentiti.

 

Durante il periodo badogliano siete stati impiegati in qualche operazione di ordine pubblico piuttosto che di semplice presidio?

No, no… ma ci hanno bloccato subito: l’otto settembre,… il nove settembre ci hanno……

 

Nel periodo dal 25 luglio all’otto settembre siete rimasti nella vostra posizione?

Sì, sì, sì: siamo rimasti tranquillamente a fare il nostro mestiere. Nel momento in attesa… Noi eravamo sempre in mobilitazione. Dall’oggi al domani si poteva essere scaraventati su un fronte. Al momento si faceva quello, ma il domani non si conosceva.

 

Dopo l’otto settembre ha detto che voi ufficiali venite raccolti ad Ostia in questa caserma della Finanza dove rimanete quasi un mese. In questo periodo, in questa scuola, vengono rinchiusi anche altri ufficiali?

Eh sì, hanno raccolto in tutta la zona. Oreste D’Agostino che era in Artiglieria, io ero in Fanteria e lui era in Artiglieria; io non sapevo di lui e lui non sapeva di me. E quando il… c’han portato ad Ostia, in questa caserma, la mattina dopo, abbiamo dormicchiato; così, la mattina dopo mi sono alzato, esco nel corridoio e incontro Oreste D’Agostino che io non sapevo dove fosse, e figuriamoci, ci siamo messi a piangere tutti e due. Venivano da tutte le parti perché prima c’era la posta militare. Non si sapeva dove si era dislocati. E abbiamo saputo dopo che eravamo alla Sesta Divisione: lui era in Artiglieria e io ero in Fanteria. Dunque, si raccoglieva da zona a zona e le raccolte venivano concentrate poi in questa caserma da dove poi si è partiti per la Germania.

 

Anche gli altri soldati che hanno difeso Roma li hanno concentrati lì?

Sì eh! Poi lì… quelli attorno a me erano tutti ufficiali. I soldati non lo so.



Già a Meppen eravate divisi?

Eravamo già… isolati, diciamo come ufficiali.

 

Ha parlato di un viaggio a Meppen in carrozze normali del treno.

Sì, erano carrozze normali.

 

In treno, eravate sempre controllati dai tedeschi,?

Sì, sì, sì.



A Meppen: fotografie, documenti, avete cominciato a vedere che cos’era la prigionia. C’era qualcuno che era già stato prigioniero?

Mi pare che c’era un vecchio capitano che accennava alla Prima Guerra Mondiale, mi pare, non vorrei ricordare male, non vorrei che fosse stato dopo, qualcuno che mi abbia raccontato….

 

Meppen è stata una cosa abbastanza veloce. Era un punto di raccolta?

E sì, di qualche giorno.

 

Il vero rapporto con la prigionia e con l’internamento l’avete vissuto in Polonia?

Beh sì sono già avute le prime schermaglie lì a Meppen. Si vedeva già che aria spirava, ovvero come eravamo sistemati eccetera. Poi a Bjala Podlaska c’è stato l’impatto.

 

Si ricorda ancora qualcosa del trasferimento da Meppen a Bjala Podlaska? Ha visto qualcosa? Viaggiava attraverso un territorio che era già stato attraversato dalla guerra.

Naturalmente per la Germania del nord e poi la Polonia. La Polonia ne abbiamo attraversato un bel pezzo. Ricordo particolarmente la popolazione polacca, che mi ha impressionato e mi è rimasta nel cuore, adesso non so se le cose sono cambiate, perché hanno sfidato qualche fucilata per gettarci qualche pezzo di pane attraverso i finestrini del vagone bestiame. Questi polacchi venivano alla stazione e cercavano di farci avere un pezzo di pane. Io poi ho avuto una piccola disavventura: mentre arrivavamo a Bjala Podlaska, ho detto in mezzo alle cose, noi rubavamo legna e carbone per cercare… C’era una stufa al centro di questo vagone bestiame, abbiamo acceso e… era rovente. Col tubo che andava fuori, con uno scossone del treno sono andato a poggiare la mano vicino al tubo incandescente, ho sentito friggere la mano. Per fortuna, io avevo esperienze precedenti per consigli di queste scottature. Ho chiesto ai miei colleghi e c’era uno che aveva del grasso per le scarpe; sai, noi avevamo gli scarponi e naturalmente si ungevano col grasso per tenere l’acqua, e con questo grasso delle scarpe mi sono spalmato tutta la mano e stropicciato con un fazzoletto. Ho ancora le mani così… me le son salvate in quella maniera! Ed è stata una donna tedesca al mio paese, che si era scottata mia madre e aveva consigliato olio e farina: Mia madre ha salvato la pelle con olio e farina, molta farina. “Quest’olio spalmare così” e io ricordando quello dicevo: “Grazie… olio e farina non ce li ho qui… almeno il grasso…“. Ho spalmato questo grasso e ho salvato la mano e ho passato ‘sto brutto quarto d’ora perché pensavo di essermi rovinato la mano invece mi sono salvato in quella maniera lì!

 

Uno dei problemi della prigionia è che di colpo ci si trova ad arrangiarsi senza avere nulla o poco a disposizione. Ha qualche altro piccolo esempio di modo di sopravvivere in prigionia?

Mah… il modo di sopravvivere, qui… tutti i testimoni che lei può interrogare per i campi di concentramento le diranno le stesse cose. Espedienti trovati: uno dei principali era quello del fornello per cercare di scaldare l’acqua e cuocere qualche cosa o scaldare qualche cosa. E c’erano dei fornelli, che erano dei capolavori. Ma il fornello più comune era fatto con un barattolo dei… un barattolo del pomodoro, tagliato da una parte fatto come una specie di fornelletto, di sopra ritagliato in un’altra maniera facendo dei buchi, si metteva dentro il fuoco e riusciva a fare una specie di fornello con dei pezzettini di legna, erano pezzettini piccolissimi e pochi. Si riusciva a far bollire un pentolino d’acqua. Questo era l’espediente più comune e che hanno adottato tutti i prigionieri.
Ecco per esempio la bilancia. Siccome le razioni che ci davano erano limitatissime e allora bisognava cercare di dividerle in… con una equità assoluta. Senza dare neanche un decigrammo o un milligrammo di più a uno e di meno ad un altro. Allora si erano formati ‘sti bilancini, è vero, con dei mezzi di fortuna: tipo della latta, pezzi di spago eccetera, per cercare di pesare le dosi per ognuno, per dare la stessa quantità a tutti i concorrenti della……
Senza parlare poi della radio. Dei … un po’ tecnici, vero, hanno creato e hanno fabbricato, hanno costruito una radio con mezzi incredibili! Io adesso non sono un tecnico……

 

Qui non stiamo parlando del periodo di Bjala Podlaska, giusto?

No, è già a Sandbostel, mi pare. Mi pare che già a Sandbostel che l’hanno fatta, se non erro. Questa radio, la radio Caterina era conosciuta da tutti i prigionieri. L’hanno fatta fregando una dinamo alla bicicletta di un tedesco. Poi con l’aceto dei cetriolini sottaceto han fatto altre cose; con uno stagno di qui e un po’ di rame dall’altra parte hanno costruito una radio a galena, noi avevamo le notizie in tempo reale di quello che succedeva. Cose che non conoscevano i tedeschi con questa radio. E i tedeschi hanno cercato e non sono riusciti a trovarla.

 

Torniamo un’attimo a Bjala Podlaska, qui sono raccolti soltanto ufficiali italiani?

Sì.

 

Il controllo era a cura della Wehrmacht?

Sì.



Ha detto che più volte sia tedeschi che gerarchi si son fatti vivi per chiedervi l’adesione. Cosa vuol dire più volte? Chi veniva?

Veniva un’ufficiale italiano accompagnato da un’ufficiale tedesco e veniva lì a fare propaganda e a cercare di avere queste opzioni.



Cosa succedeva quando venivano a far propaganda? Vi radunavano in cortile? Come funzionava?

Sì, sì, sì ci radunavano e incominciavano prima a ingiuriarci davvero coi “badogliani” eccetera così, cercando di avere questa adesione per salvare la patria, tutti questi idealismi naturalmente a modo loro! Ma io ho avuto questi approcci fin da Roma. Quando eravamo alla caserma della Guardia di Finanza ad Ostia, è venuto, mi pare che era Ricci… Ricci, che era un gerarca fascista con delle cose, e lui ci ha… ci ha raccolti sul terrazzo di questa caserma e naturalmente è partito male perché come c’ha visto ci guardava così, con aria di superiorità e diceva: “Assomigliate proprio a chi vi comanda”.
Naturalmente si è dato la zappa sui piedi facendo gli osanna alla Repubblica Sociale, e a Mussolini eccetera, ha chiesto di aderire alla neoRepubblica Sociale Italiana. Non ha avuto neanche un’adesione. Fin da Roma hanno incominciato.

 

Poi anche a Meppen?

A Meppen no.



Riprendono quindi queste richieste a Bjala Podlaska. Ha detto che 1600 Ufficiali aderiscono. Ma è un’adesione unica o un po’ alla volta?

Beh, è stata un po’ alla spicciolata. C’è stata diciamo un’emorragia in un giorno ai primi di gennaio, mi pare, che è stata la maggior parte degli ufficiali che hanno aderito. Ma poi un po’ alla spicciolata e c’era chi aderiva, qualcuno ha rinunciato poi……

 

Qual’erano le promesse per l’adesione?

Eh,… le promesse di tornare a casa, di tornare in Italia.

 

E quali sono state secondo lei le motivazioni?

Mah, le motivazioni io le ho scritte, anche………. non si possono controllare queste cose. Queste sensazioni personali non… io penso che è stato un po’ di terrore di fronte a questa incognita, perché di fronte al freddo che c’era, era notevole! Le prospettive alimentari erano quelle che erano, si faceva la fame. Non eravamo equipaggiati per affrontare il freddo. Infatti noi siamo stati fino a settembre a Roma e faceva caldo, faceva caldo da tutte le parti; naturalmente non avevamo neanche equipaggiamento da poter affrontare un inverno rigido così! Sono state un po’ tutte queste concause secondo me che hanno influito, e anche la speranza di tornare a casa. Io penso che sia così, però non posso……

 

La disciplina, gli appelli, le perquisizioni, era pesante la pressione dei tedeschi a Bjala Podlaska?

Beh, gli appelli erano sempre traumatizzanti perché si stava ore e ore nel… con qualunque tempo: sia che piovesse, che facesse freddo, che ci fosse il sole con un caldo canicolare, sempre lì, piantati lì, ore. Da dentro e conta e riconta, alle volte non tornavano i conti e ricomincia da capo; ed era veramente estenuante questa… quest’appello che facevano tutti i santi giorni. Abbiamo avuto soltanto un periodo di tregua in cui c’era un’euforia da una parte del campo, nel campo di Sandbostel, perché è scoppiato il tifo petecchiale. Per quaranta giorni abbiamo avuto la paura del tifo, però non c’avevamo i tedeschi fra i piedi. Abbiamo preferito affrontare il tifo petecchiale pur di non aver i tedeschi fra i piedi. Per quaranta giorni si stava benissimo.

 

A Bjala Podlaska c’era qualcuno che ha trascinato gli altri nella firma, o sono state delle scelte individuali?

Mah, ci sono state parecchie discussioni. Cioè discussioni animatissime. “E’ vero qui, è vero lì, sul governo quello legale è quello fascista, quello legale è quell’altro, qui non c’è più questo governo e è…”. Insomma ci sono state discussioni molto animate e trascinate… trascinate naturalmente, sempre per convinzione perché nessuno è stato obbligato ovvero coattivamente a dire: “no, tu devi aderire”. Sa, tutta una cosa spontanea.

 

Erano presenti tutte le armi?

E beh, sì.

 

Lei ha detto di no insieme ad altri 146, quindi in 147 avete detto “no!” Lei si sentiva fedele al giuramento? Quali sono state le sue motivazioni di fondo?

Avevo già dovuto affrontare un’altra volta un altro episodio strano per come è successo. Motivazioni di fronte al futuro: più che il momento corrente, vero, io pensavo: “Sti tedeschi hanno scatenato una guerra, ma io devo andare a collaborare con loro in una guerra totale… totale che stanno invadendo tutto il mondo?”. Io non me la son sentita. Avendo poi un po’ conosciuto i tedeschi che a me, almeno personalmente non davano nessun affidamento, non me la son sentita di appoggiare questa… questa campagna ovvero così…… assolutamente!

 

A seguito di questo vostro rifiuto, siete stati separati dagli altri?

Sì.

 

Continuava il dialogo tra di voi, sia al vostro interno e sia con chi aveva aderito? E’ cambiato qualcosa?

Mah ormai era superato quel momento di discussione era superato, perché basta: non avevamo aderito e basta! C’è stato qualcuno che successivamente così isolatamente ha aderito. Qualcuno spinto da noi; c’era qualcuno che era in cattiva salute! E uno del mio paese l’ho spinto io ad aderire per cercare di non farlo crepare lì di tubercolosi o di qualcosa di peggio. Ma… quelli che sono rimasti ormai erano rimasti. Non ci sono state discussioni, ripensamenti, assolutamente!

 

Eravate tranquilli?

Sì.

 

Sereni?

Sereni perché tanto ormai la nostra scelta era fatta, naturalmente.

 

Continuava comunque qualche rapporto con quelli che avevano optato?

Sì, sì, perché c’erano degli amici anche da quell’altra parte. E poi uno che era più amico di Oreste D’Agostino ed era del suo paese. Successivamente Oreste gli ha scritto e dice: “ mandami... ma cosa mi hai combinato?”. E lui ha mandato per iscritto quello che aveva fatto, insomma racccontando un po’ quello nella lettera e niente altro di più. E quando si incontravano i nostri amici va beh……

 

Comunque la vostra decisione è stata rispettata. Non siete stati minacciati ulteriormente?

Noo,… no… ma non minacciati. I tedeschi non minacciavano, i tedeschi se non andavi bene ti ammazzavano! Non è che ti facevano… contrattiamo un pochettino… noo… se c’era un testimone lo facevano fuori, dunque……

 

Ha parlato di malattie. C’era un’infermeria? C’era un’assistenza sanitaria?

Sì… perché c’erano degli ufficiali medici a cui ricorrevamo quando c’era bisogno. Però allora non avevano mezzi. C’era una specie di infermeria, ma se uno aveva bisogno di un cachet per la testa non ce l’avevano. Tanto per dire un esempio.

 

A fine marzo ’44 finalmente abbandonate Bjala Podlaska. L’abbandonate presumibilmente anche perché il fronte si comincia ad avvicinare.

C’era anche quella storia, però è rimasto il campo di Bjala Podlaska; adesso quando l’hanno liberato, io non lo so. E’ diventato campo Graziani. L’han chiamato Graziani, l’hanno chiamato!

 

Quindi gli optanti sono rimasti lì?

Gli optanti sono rimasti… almeno noi li abbiamo lasciati lì; poi dopo che fine abbiano fatto…Non era possibile avere notizie, ovvero non c’era una radio che ci potesse comunicare notizie di questo genere.

 

Nel periodo di Bjala Podlaska gli unici rapporti li avete avuti con gli italiani e con i tedeschi?

Sì.



Con i polacchi?

No, no, no., non era possibile.



Vi caricano di nuovo su di un treno, su una tradotta, voi 147 ,e vi portano a Sandbostel. Anche questo era un viaggio blindato, non vedete nulla?

Sì, sì. Sempre chiusi dentro.

 

Il viaggio dura qualche giorno e arrivate a Sandbostel dove trovate un grande campo. C’erano soltanto italiani?

Non c’erano soltanto italiani. Infatti mentre eravamo in quarantena, quando c’è stato il tifo petecchiale, sono arrivati i francesi. Abbiamo visto arrivare anche dei polacchi, dei giovani polacchi che erano stati rastrellati in Polonia, e… io li ho ammirati… non soltanto perché ho detto che hanno tentato di darci qualche tozzo di pane quando abbiamo attraversato la Polonia, ma anche a vedere questi giovani; ma erano di un… non so come dirlo, erano alteri, erano dignitosi, arrivavano in campo di concentramento con una dignità incredibile! E io li ammiravo per questo. E c’erano questi polacchi, poi c’erano dei soldati francesi dall’altra parte del filo spinato……

 

Quanti erano gli italiani quando è arrivato lei?

Eh i numeri, eran tanti, tanti. C’erano tante baracche. C’era, lì a Sandbostel c’era anche quello di Peppone.

 

Guareschi?

Guareschi! Guareschi e Coppola. Dormivano vicino a me eravamo…..io stavo qui e lui stava lì con Coppola e io stavo qui con D’Agostino, e lì c’era Guareschi e Coppola.

 

Lei è sempre con D’Agostino?

Sempre appiccicato.

 

Lei mi ha parlato del Capitano Pinkel che poi ha fatto una brutta fine e ha detto che se l’è meritata. Mi dice qualcosa del capitano Pinkel?

Ma cosa dire. Il modo di condurre il campo, ci trattavano come bestie non ci trattavano come uomini!

 

Solo gli italiani o anche gli altri?

Ma, gli altri… gli altri non lo possiamo sapere… gli italiani erano lì. Queste ardunate interminabili, ogni tanto magari qualche scudisciata a qualcuno, questa sfrontatezza, e insomma... era una figura, una figura sporca.

 

C’è stato qualche episodio di insubordinazione? Qualcuno che ha perso la testa?

Eh… no. Perché si sapeva già la fine che si faceva. Lei pensi che proprio a Sandbostel, ma questo è un episodio che ormai è diventato storico per noi prigionieri, c’era il Tenente Romeo che lì si faceva come si poteva, c’era una fontana là in mezzo al campo, si andava lì, si prendeva un po’ d’acqua per cercare di pulirsi un po’. E allora questo Tenente Romeo ha pigliato un po’ d’acqua e si stava pulendo vicino al filo spinato, diciamo lì. Infatti si stava pulendo, ha appoggiato l’asciugamano sul filo spinato, s’è pigliato una fucilata, ovvero, che l’ha fatto secco. E nessuno s’è potuto accostare a ‘sto povero disgraziato! Questo per dire un episodio.

 

Voi ufficiali eravate esentati dal lavoro, però a molti ufficiali è stato imposto di lavorare.

Sì, perché ad un certo momento hanno cercato di prendere anche noi; e c’è stato qualcuno che……

 

Qui parliamo di Sandbostel. In che periodo?

Sia a Sandbostel che a Wietzendorf.

 

E cosa succedeva?

Questo non lo so…

 

Hanno provato anche con voi?

A me no, personalmente no. Ho saputo perché c’era qualcuno che era andato a lavorare e così allora, volontario o non volontario questo non glielo so dire.

 

Comunque, non avete avuto richieste ufficiali?

No, richieste ufficiali almeno personalmente non……

 

C’è stato qualche altro tentativo successivamente a Bjala Podlaska di richiesta di adesione alla Repubblica Sociale?

No, ormai...

 

Stavamo dicendo del capitano Pinkel, era un ufficiale della Wehrmacht?

Sì era un ufficiale della Wehrmacht di una certa età, ed erano andati in questi campi perché ormai come forza combattente non erano in grado. E infatti in questi campi mandavano anche quelli che venivano dal fronte un po’ acciaccati eccetera. Li mandavano in questi campi di concentramento e vedevano le somiglianze, e vedevano……

 

Come era organizzata la vostra vita a Sandbostel? Era un po’ meglio rispetto a Bjala Podlaska?
C’erano delle differenze?

Mmm,… differenze no perché la vita è sempre quella monotona vero, è quella che….per cui si è cercato di creare qualche cosa per impegnarci a fare qualche cosa. Infatti c’erano seminari di vario genere. C’era chessò io, il professore universitario che era… non so ingegnere, che magari riuniva chi voleva andare e parlava della sua materia. Si è fatto il teatro con Gianrico Tedeschi. Si faceva la messa, insomma si creavano queste cose per impegnare il tempo… se no alla mattina ci tiravano giù dal letto, ed era ‘sta benedetta adunata, ovvero che erano due volte al giorno, mattina e pomeriggio.

 

A che ora era l’alzata alla mattina?

Mah, intorno alle nove più o meno. Più o meno insomma. Più o meno, adesso non mi ricordo precisamente. Delle cose così spicciole non me le ricordo. Dopo le cose ognuno faceva quello che gli pareva: chi leggeva…. ho letto tutta la biblioteca del campo e si usciva; chi stava, chi giocava a carte. Ho imparato a giocare a bridge, si facevano grandi partite a bridge… per fare qualcosa.

 

Come avete affrontato l’epidemia di tifo petecchiale?

Guardi, c’è stata un po’ di euforia per il semplice fatto che noi ci avevano radunati. I tedeschi ci avevano chiusi dentro e non si facevano vedere perché avevano paura, e noi lì ce la siam goduta per quaranta giorni con tutto il pericolo del tifo petecchiale. Ne sono morti mi pare due o tre, si è limitato anche il numero dei morti.

 

Avete preso delle contromisure?

Contromisure specifiche no, perché non potevamo fare niente. Più che aspettare…di sopravvivere o di crepare. Niente, se il tifo petecchiale non ci fosse stato sarebbe… ce lo saremmo presi per come ci siamo comportati. Perché eravamo tutti fuori con le coperte… cose così, a sbattere queste coperte perché se c’era qualche pidocchio dentro a queste coperte girava per tutto il campo. Cose che si facevano così, insomma senza pensare alle conseguenze.

Da Sandbostel a Wietzendorf lei in tutto questo tempo non ha nessuna notizia dall’Italia perché siete a sud del fronte, quindi nè lei nè D’Agostino riuscite a comunicare. I vostri non sanno nulla?

Soprattutto per noi che eravamo nel meridione, insomma a Napoli. C’erano quelli del nord Italia, qualche cosa arrivava: qualche pacco ovvero di generi alimentari, … la posta qualcuno riceve eh… Oreste però qualche lettera l’ha ricevuta da qualche parte, non mi ricordo da dove e anch’io mi pare di aver ricevuto una lettera o due, non mi ricordo più da chi. Ma comunicazioni con la famiglia zero, perché non era possibile.

 

Il passaggio da Sandbostel a Wietzendorf che cosa comporta, che cosa modifica?

Niente, solo il campo.

 

Comunque l’atteggiamento dei tedeschi è diverso, non c’è più questo Comandante……

No, no, no, è sempre lo stesso. Va beh, non c’era quel… quel figlio di buona madre di Pinkel, però insomma i tedeschi erano tutti uguali. A Wietzendorf c’era quello lì che poi è stato impiccato, Capitano Lohse, ma anche lui doveva fare il suo dovere. Lui s’era rifiutato di farci fuori, lui l’hanno ammazzato per quello. Lui quando gli è arrivato l’ordine che… di sterminarci, lui s’è rifiutato, non l’ha fatto. Aveva incominciato, ho detto, a radunare in mezzo a lì che dovevano farci fuori, ma poi……

 

Cosa hanno fatto,vi hanno radunato?

Sì, quando sono arrivati gli inglesi e siamo stati liberati, diciamo così, dicevo… c’era questa donna delle pulizie, una tedesca delle pulizie che andava dai tedeschi lì. Il guardiano del campo, e il… e il Colonnello Testa ha saputo da questa donna che era arrivato l’ordine di farci fuori tutti. Tutti gli ufficiali del campo, e aveva incominciato da una baracca. Hanno sgomberato la baracca di tutte queste cose, l’hanno riuniti nel cortile, e sono stati lì un giorno e una notte mi pare, o due giorni e due notti, lì in attesa perché il capitano Lohse doveva farli fuori. Ma siccome che c’erano gli alleati che erano a dodici chilometri, dieci, dodici o quindici chilometri, lui ha avuto paura: o ha avuto paura o non se l’è sentita, non mi chieda perché non l’ha fatto. Naturalmente ne ha pagato le conseguenze. Ne ha pagato le conseguenze che poi hanno ammazzato lui.

 

A Wietzendorf c’era il Colonnello Testa che sovraintendeva al campo degli italiani. Lei, lo ha conosciuto?

Sì.

 

Mi dice qualcosa sul Colonnello?

Beh non posso dire tanto, perché sa il Colonnello Testa per conto suo, lo si vedeva così in qualche occasione di passaggio, non è che possa dire molto. Non è che … cioè io almeno, personalmente non ho avuto contatti col Colonnello Testa. Si vedeva così di sfuggita. Noi abbiamo avuto due figure magnifiche del Colonnello Testa, poi c’era stata un’altra figura più degna, che era il Comandante Brignole che era medaglia d’oro vivente. In un’azione aerea della marina, in un’azione che ha fatto, ha preso la medaglia d’oro, da vivente! Ed era rispettato anche dai tedeschi ad onor del vero.

 

Qualche altra figura di persone che sono passate e che lei ha conosciuto durante il periodo della prigionia?

Mah c’è qualcuno, c’è ne sono tante di figure. Però io personalmente non ne ho conosciute tante. Guareschi, ma c’è stato Lazzati per esempio che lo vogliono beatificare, Gianrico Tedeschi. Beh quello…. è stato Alessandro Natta, l’ex segretario del Partito Comunista, Alessandro Natta che mi pare che è deceduto da poco. Il professor Fora e tanti altri insomma.

 

Si è parlato di “università del lager”.

Sì, insomma in un certo qual modo, insomma si parlava dell’università del lager. Ho detto ognuno deve… secondo le proprie esperienze, secondo le proprie competenze teneva questi convegni diciamo così, questi passatempi a spiegare certe cose, le proprie competenze.

 

Quindi lì a Wietzendorf negli ultimi giorni prima della liberazione, voi dovete sgomberare il campo e rischiate di essere uccisi. Un gruppo di voi viene chiuso nella baracca…

No, no, tenuti al ghiaccio, ovvero fuori perché dovevano portarli non so dove per ammazzarli. Invece poi non l’han fatto.

 

Poi arrivano finalmente i liberatori. Chi vi libera?

Il Colonnello Cooley, un inglese che arriva lì con una jeep e dichiara il campo libero. Andato via lui ripiomba dentro la Hitler Jugend, perciò in quel campo abbiamo passato tre quarti d’ora neri con questi scalmanati di ragazzi. Poi sono andati e buona notte.

 

Quanti erano della Hitler Jugend? Che età avevano?

Ah! Erano giovanissimi, avevano diciotto, diciannove anni, diciassette, quell’età lì più o meno. Ma erano terribili!

 

Erano comandati da qualcuno più grande o erano solo loro?

E può darsi che c’era qualche comandante, non lo so.

 

Erano terribili cosa vuol dire?

Feroci! Feroci! Volevano massacrare tutti perché poi per fortuna, non mi ricordo adesso i particolari, com’è sono andati via non mi ricordo. Mi ricordo che son comparsi lì e poi sono andati via, forse perché nelle vicinanze c’erano gli alleati. Finché poi hanno chiesto la tregua e hanno liberato il campo.

 

A Wietzendorf non c’erano soltanto italiani, c’erano anche francesi. C’erano anche altri?

No, no, a Wietzendorf eravamo solo noi nel campo lì. Ma credo che ci siano stati, da qualche altra parte, qualche altro gruppo etnico. Non mi ricordo adesso precisamente.

 

Ad un certo punto voi durante la tregua venite trasferiti da Wietzendorf?

Da Wietzendorf a Bergen.

 

Questo su trattativa dei vostri ufficiali?

Su trattativa degli alleati. Gli alleati hanno chiesto ai tedeschi una tregua per far sgomberare il campo. E noi siamo passati attraverso le prime linee. Dall’altra parte c’erano i canadesi mi pare. Certi omaccioni! Raggiunto Bergen dove ci siamo sistemati, alloggiati lì e, ho detto, fatti sgomberare i civili, l’hanno portati a Belsen, nelle baracche di Belsen per raccogliere noi.

 

Quanti giorni siete rimasti a Bergen?

Fino a maggio. Da aprile a maggio, un mesetto sì… sicuramente.

 

In paese dipendevate dagli inglesi?

E sì a me… la liberazione è stata fatta dagli inglesi e i canadesi.

 

Qualcosa su Bergen? Anche in rapporto al campo di Belsen?

Il campo di Belsen non l’abbiamo visto. Io volevo andare perché ho incontrato nel paese una ragazza che era di Milano, una studentessa in chimica combinata che l’ho conosciuta, che era a Belsen. Poi le ho promesso di andarla a trovare anche con gli amici a cena in una baracca, mi pare che poi non ci sono andato, non mi ricordo.Ma nel campo non ci sono andato perché c’erano un gruppo di russi liberati da Belsen che erano scalmanati, erano feroci, naturalmente erano giustificati perché con quello che hanno passato! Soprattutto i russi nella prigionia sono stati tartassati, a parte gli ebrei, lo sterminio degli ebrei, ma quelli che ci hanno rimesso di più sono i russi. Ed erano scalmanati avevano fatto dei gruppi di vandali, ovvero per andare in tutte le case, nel senso non guardavano in faccia a nessuno.
Mi ricordo adesso…. aneddoti così, per fare una variante: nella casa dove ero alloggiato io e Oreste D’Agostino è arrivata una di queste bande di russi, comandata da un certo Nikolai e ‘sto Nikolai era… e c’è stato un ufficiale di noi, non mi ricordo chi era, che diceva: “Ma tu mi dai un po’ un sospetto. Ho l’impressione che tu non sei un russo!” Abbiamo scoperto dopo, quando siamo rientrati nei campi che era un italiano! …… ‘Sto figlio di buona madre era un italiano, Nikolai. Il quale poi ha avuto una disavventura di trovare il fratello nel campo di concentramento che era rimasto senza gambe! Uno dei regali…… e lui gli ha fatto da balia a questo fratello. Era una cosa commovente vederlo com’era con ‘sto fratello! Naturalmente gli ha procurato una sedia a rotelle e se lo trasportava dappertutto e gli procurava tutto quello di cui che aveva bisogno. Era una cosa veramente commovente! Il famoso Nikolai, armatissimo e……

 

Quindi era il caso di essere un po’ armati anche alla fine della guerra?

Armati veramente non ci tenevano. C’era una banda chiamata la Juventus che aveva un po’ il colore della Juventus addosso… ‘ste casacche che ti davano e… lavoravano nel… nella V1, V2, non so dove… e la chiamavano, la chiamavano la Juventus perché avevano ‘sta casacca con il colore della Juventus, che erano armatissimi. E hanno avuto uno scontro con gli inglesi e gli inglesi si son ritirati. Perché è successo un episodio, ma di episodi ce n’erano stati tanti, tante di queste… cose non sempre belle. C’è stato uno della Juventus, che è uscito. Era libero… eravamo liberi ormai! Eravamo liberi e si usciva dal campo e si andava in giro e così a questo venne la malaugurata idea di andare per la campagna. Ha visto un albero di ciliegie, è stato lì ed è andato a cogliere le ciliegie. Poveretto, dopo tutte queste sofferenze è andato a cogliere le ciliegie! E i cittadini di questa borgata l’hanno massacrato. Questo è arrivato nel suo gruppo della Juventus grondando sangue, tutto malconcio, figuriamoci! La Juventus che era anche… insomma gente non troppo raccomandabile è vero, son partiti in quarta, armatissimi vero, e sono andati in questa borgata che era nelle vicinanze a cercare il responsabile eccetera. I tedeschi, hanno avuto sentore di questo e son spariti. Non hanno trovato nessuno e allora hanno distrutto tutto. Hanno sconquassato mezzo paese. I tedeschi sono ricorsi agli inglesi citando il fatto. Gli inglesi naturalmente son corsi in aiuto di questi… di questi cittadini di questa borgata.
Però la Juventus sapeva naturalmente come andava a finire, non ha trovato nessuno e adesso son qui. Ha sbarrato la strada agli inglesi, ovvero gli inglesi non sono riusciti a passare, va bene? E’ stata una guerriglia, non sono riusciti a passare!
Di conseguenza naturalmente gli inglesi cosa dovevano fare? Hanno cercato le armi e più di una volta ci hanno chiuso in un campo di concentramento, liberi sì, ma eravamo alloggiati lì. Ci hanno chiusi lì ed erano riusciti a fare la perquisizione per trovare armi. Non hanno mai trovato neanche un temperino. Dove cavolo le nascondevano ‘ste armi non si sa. Quando poi è arrivato il momento di partire per l’Italia, cosa hanno fatto la Juventus? Hanno mandato un messaggio agli inglesi: “Volete le armi? Sono lì, andatele a prendere!” Perché loro dovevano rientrare in Italia. Questi gli episodi vari quelli che sono successi.

 

Mi dica una cosa bella.

No, la cosa bella perché io, con tutto sono stato sempre in Italia, con tutte le cose strane che mi sono capitate! Una delle cose strane è che io, pur trovandomi in certe zone arcibombardate, superbombardate come Napoli per esempio, io non ho mai preso un bombardamento. Io andavo, partivo, quando andavo in licenza e c’era una mia collega che ci pensava lei a segnarmi per gli esami e io andavo lì e andavo a Napoli, e lì a Napoli non bombardavano. Come arrivo al paese, bombardavano Napoli. A Genova che era stata distrutta dai bombardamenti io per tutto il tempo che sono stato lì, due mesi quanto è stato, non c’è stato un bombardamento. Son partito io la sera, la notte hanno bombardato Genova. Questo è un fatto, io non ho mai preso un bombardamento.
Io non avevo fatto caso a questa questione.
E’ una cosa… è una cosa strana, io non saprei, come la strana faccenda di quella “titina”.

 

Me la racconta?

Ero in treno, siamo andati per Tarvisio. Eravamo già in viaggio per la Germania. Eravamo in treno, a un certo momento si presenta un marcantonio alto, armato di tutto punto, con tutte le armi che c’aveva lì addosso. Era una donna partigiana di Tito che veniva a cercare, è vero, degli ufficiali per comandare le bande partigiane di Tito; e viene ad acchiappare proprio me, facendo la proposta di andare a comandare ‘ste bande. Offrendomi i gradi di colonnello delle bande partigiane di Tito. Io in pochi secondi ho dovuto decidere perché questa era lì. Come ha fatto a entrare in treno non lo so e non lo saprò mai, in un secondo dovevo decidere. Se era da combattere contro i tedeschi c’era d’andare subito, ma con i tedeschi c’erano anche gli italiani, i fascisti, e io non me la son sentita di… almeno… e ho rifiutato. Questa è sparita, e non so, è svanita nel nulla. Questo è un altro episodio strano che mi è capitato.

 

Cosa facevate nei due, tre mesi di permanenza a Wietzendorf e Bergen?

Niente, praticamente niente.

 

Giravate un pò?

Si girava, si usciva. Infatti uscendo ho incontrato quella ragazza che ho detto che veniva da Belsen, e così si incontrava. Ho incontrato anche un mio paesano lì.

 

Avete avuto rapporti in questo periodo con la popolazione tedesca?

No, dei civili tedeschi non ne abbiamo visto neanche uno perché ho detto li hanno fatto sgomberare. Non c’era nessuno.

 

Come è stato il rientro in Italia? Nella sua Napoli che non vedeva da anni.

Vede sono momenti che a voler descrivere a parole quello che in quei momenti si prova eccetera, è un po’ difficile. Ho detto, io adesso raccontando queste baggianate, questi episodi, lei può fare l’uso che vuole, può… tagliarle, ma una delle stranezze nel rientro che abbiamo fatto io e Oreste D’Agostino, ho detto, perché siam partiti insieme e insieme siamo arrivati a casa. Siamo arrivati col treno; noi abitavamo a Marigliano a dieci, quindici chilometri c’è il Cancello che è un centro, un nodo ferroviario delle Ferrovie dello Stato. Lui aveva il papà che lavorava nelle ferrovie ed era a Marigliano il casello. Arriviamo al Cancello e non c’era e noi come facciamo ad arrivare al paese: a piedi è un po’ lontano. Allora Oreste ha telefonato al papà: “Io, papà siamo al Cancello”. “State lì che vi vengo a prendere”. E noi stiamo lì. Hanno saputo che lui era il figlio del sorvegliante ed hanno messo a nostra disposizione, non so se lei li ha mai visti, certi carrelli con le quattro ruote della larghezza dei binari, coi pedali come una bicicletta, che vanno sulle rotaie, e gli operai, ovvero, per spostarsi così avanti, indietro. Uno di quelli ha preso ‘sto coso, lo ha messo sui binari e ci ha detto: “Salite!” E siamo saliti là sopra e ci siamo avviati con questi che pedalavano verso il nostro paese. A un certo punto vediamo arrivare una locomotiva dall’ altro posto, allora ci siamo fermati, abbiamo spostato i cosi. Loro ci hanno visto, hanno fermato la locomotiva, ed è sceso suo padre e mio padre dalla locomotiva che ci sono venuti incontro. E allora cosa abbiamo fatto? Siamo rimontati tutti su un carrello, la locomotiva è andata al Cancello e poi su un carrello siamo arrivati alla stazione del mio paese: io, Oreste D’Agostino, suo padre e mio padre. Siamo arrivati lì. Naturalmente, l’emozione, siamo arrivati a casa, e mia madre ancora un poco e si scaraventa dal balcone, ed era al terzo piano! L’emozione proprio!
Per fortuna noi eravamo stati in questo periodo dopo la liberazione con gli alleati, e ci eravamo rimessi un po’ in carne, non eravamo ingrassati, eravamo gonfiati di modo che non s’è visto cosa eravamo diventati! Per fortuna! Altrimenti i nostri parenti, non so, a vedere certi spettacoli……

 

Quando vi hanno dato da mangiare, vi hanno anche rivestito?

No, rivestito no, perché c’avevano... siamo arrivati insomma vestiti in qualche modo.

 

Ma che cosa in definitiva le ha fatto decidere per quel no a Bjala Podlaska?

Perché non volevo alimentare una guerra che non… che secondo me non era da fare. E per non alimentare l’arroganza dei tedeschi, perché si vedeva quello che erano, e quello che poi sono stati e si sono dimostrati. Assolutamente non me lo sono mai sentito. Come non mi sono sentito di andare nelle bande partigiane di Tito, non… non mi sono sentito neanche di appoggiare un Governo Italiano che era quello che era ormai: un’ideologia caduta, ormai obsoleta possiamo dire, che non aveva più nessun… nessun futuro e tanto più sorretta dai tedeschi, ‘sti tedeschi poi che stanno dominando il mondo. Non me la son sentita. Proprio così, una repulsione istintiva.

 

Non s’è pentito durante la prigionia di questa scelta?

No assolutamente, no. Ancora adesso io rifarei quello che ho fatto!



E’ lo stesso spirito che ha ritrovato nei suoi amici e colleghi?

Sì, eravamo tutti… tutti della stessa idea. Per essere… per essere stati schierati in quella posizione……

 

Voi siete usciti da un’educazione particolare, siete stati mandati in guerra, avete fatto questa esperienza terribile e formante della deportazione dove avete passato un periodo della vostra giovinezza. Quando siete tornati in Italia, già l’Italia aveva ripreso il suo meccanismo. Si era in un’altra epoca, si cominciava perlomeno. Mi dice qualcosa di quel periodo? Anche le vostre difficoltà rispetto a un panorama della nazione che si andava riorganizzando con altri ideali, si entrava in un periodo di democrazia, voi eravate cresciuti in un altro tipo d’ambiente. Com’era quel momento lì? Come lo vedevate?

Beh, almeno io posso parlare per me stesso, le mie sensazioni, ero tutto frastornato. Prima di tutto ritrovarmi nel mio ambiente naturale, nel mio habitat naturale, un po’ frastornato con… da affrontare dei problemi grossi.
Prima di tutto, a parte gli studi, ho dovuto fare tutto in fretta. Ma poi anche per un futuro, per il lavoro… io ero preoccupato, ma ho detto: “Ma cosa faccio?” Io non avevo una famiglia dietro che mi potesse sostenere e naturalmente ho dovuto fare tutto da solo.
E in Italia c’era un po’ di confusione. Di confusione ce n’era tanta. Al mio paese poi!
Io ho fatto una mezza rivoluzione al mio paese. Perché è tutta una mentalità diversa: protezionismi assurdi, tedeschi protetti. C’era un gruppo di tedeschi lì che stava lì tranquillamente che girava per i posti e io mi sono incavolato vero, e… e sono scappati. Sono andati via.

 

Stiamo parlando del dopo la guerra?

Dopo la guerra. Parlo del 1945.

 

Ma c’erano ancora dei militari lì?

Erano ex militari che ormai erano rimasti imbottigliati in Italia, armistizio, la fine della guerra, tutte ‘ste cose. E così erano rimasti lì, e stavano lì, belli tranquilli e dicevo così: “Ma siamo diventati matti!” E ho fatto succedere un finimondo! Ho fatto una mezza rivoluzione al mio paese. Tanto più che ho trovato una situazione, una situazione di questo genere. Quelli che erano rimasti a casa che erano lì, bene o male si arrabattavano, ma io mi preoccupavo dei reduci che erano tornati al paese, che erano tutti sbandati e ce n’erano un bel numero. E allora cosa ho fatto? Dico: “Qua, bisogna fare qualche cosa!” E allora ho fatto il giro di tutto il paese per i dintorni per raccogliere tutti… tutti questi reduci della prigionia. Li ho convocati per una domenica. Il Sindaco ha saputo che io stavo facendo tutta ‘sta operazione, ha fatto arrivare le forze armate, i carabinieri, l’esercito. E io in una domenica, con tutti ‘sti reduci, li ho radunati, e: “Qua, almeno dateci un posto!”. Cioè mi hanno rifiutato un posto dove avere un recapito per ‘sti reduci per chi mi venisse a chiedere qualcosa.
Hanno rifiutato di dare degli alimenti a un povero cristo con la famiglia, davano i buoni pasto alle troie del paese e lo rifiutano al mio reduce! E il mio reduce a un certo momento è andato dal Sindaco, visto che è finita così, poi il Sindaco, arrogante: “Ma voi reduci mi avete rotto le…”. E ha pigliato un tavolino, che c’era di là, e gliel’hanno scaraventato in testa. Il Sindaco ha chiamato i carabinieri, il maresciallo che mi conosceva, che quando andava a casa, andava in divisa e lui si metteva sull’attenti da lontano, quando ha saputo che erano i reduci non s’è voluto muovere. Dice: “No, se sono i reduci io non intervengo”. E ho trovato una situazione di questo genere. E allora, ho fatto questa valutazione, sono andato dal Sindaco: “Senta, io voglio prima di tutto una sede dove posso raccogliere i miei reduci che hanno bisogno di assistenza”. “Ma io non ce l’ho!”. Era un po’ malmesso il paese ché avevano distrutto degli edifici, eccetera, eccetera. Però: “Io ce l’ho. Glielo dico io qual è la sede che m’interessa. Quella dei partigiani”. “E come… e i partigiani…?” “Perché i partigiani qui non ci sono stati i partigiani a Marigliano…”. Ho detto: “Me lo dimostri!”
Insomma ha mollato e mi ha dato la sede dei partigiani. E lì ho riunito, erano seicento, settecento, ottocento reduci. A ‘sti poveri cristi gli ho fatto avere qualche buono pasto. Dopo l’episodio vero del Sindaco, gli ho fatto avere dei vestiti. Sono andato a Napoli all’UNRRA, c’era un ufficiale americano. Lì poi se m’avesse richiesto di andare a optare per gli americani, avrei rifiutato come ho rifiutato per i tedeschi. E ho fatto una litigata con un colonnello americano e poi io… giovane ero un tipo poco raccomandabile, ve lo confesso. Quando mi incavolavo insomma perdevo le staffe. E questo sta con quella prosopopea che hanno questi ufficiali, sa si sentivano i padroni dell’Italia, di Napoli eccetera. Dico: “Guardi”, così gli ho esposto, “Siamo reduci!”. Così, so che nulla dispone e, questo Colonnello [Guanz] dice: “Ma voi vi dovete qui, voi vi dovete là, dovete lì, dovete là…” e m’ha fatto girare le scatole e ho dato un pugno sul tavolo e ho fatto saltare calamai, carte, e tutte le cose così. Questo è rimasto allibito.
Dopo tre o quattro giorni, mi è arrivato al paese un camion pieno di ben di Dio di vestiario. Io ho rivestito tutti i miei seicento, settecento reduci da capo a piedi: cappotti, scarpe, vestiti, tutto mi è arrivato! Questo Oreste D’Agostino lo sa.

 

Mi dice qualcosa dell’aria del dopoguerra a Napoli?

Descrivere Napoli in tempo di pace adesso che c’è l’era che c’è è difficile. S’immagini descrivere in un momento del genere. A Napoli c’era di tutto! C’era di tutto ! Lei immagini di camminare per la strada e vedere, “chessò io”, un caleidoscopio di gente diversa, gente che corre, gente che vende, gente che compera, insomma di tutto! Di tutto c’era; però c’era una grande solidarietà! Questo c’è sempre stato a Napoli. Questo mi ha fatto piacere naturalmente verificarlo ancora allora.
Solidarietà anche fra di loro. C’erano, sono episodi, c’erano quelli che vendevano naturalmente cose di contrabbando: dalle sigarette ad altri prodotti, e sapevano che girava la “police” in giro. E allora quando qualcuno vedeva qualche cosa, anche se non faceva parte, incominciava a gridare. A gridare, ma non diceva: “La police!”; Siccome “police” è una cosa napoletana, è scritto police. Police in napoletano vuol dire la pulce! Allora incominciava, incominciava a gridare: “O police! O police! O police! La pulce!”. Capivano che era la “police!” E lui gridava la pulce! E dava l’allarme a tutti quanti. Sparivano tutti. Questa solidarietà fra di loro per sopravvivere! Queste risorse del popolo napoletano le ha sempre avute. Purtroppo anche a delinquere con la camorra eccetera, purtroppo! E c’è stato questa grande solidarietà che ho trovato ancora così! Pur in questo caleidoscopio, tutta questa gente diversa che… c’era di tutto, c’era.



Un po’ alla volta quindi vi siete sistemati anche voi?

Sì, se bisognava andare, insomma ad aprire qualche porta, per cui ognuno ha preso la sua strada. Io dopo questi episodi che sono successi a Napoli avevo incominciato con la politica. Avevamo fatto dei comizi, eccetera, perché volevo fare qualcosa. Qualcosa per i miei reduci, sempre per loro. Ma poi dovevo pensare anche al mio futuro e quando è capitata l’occasione sono andato via.

 

C’è qualche altro piccolo episodio che vuole ricordare?

Ma… non mi pare… adesso… adesso su due piedi così non… mi ricordo…

 

La prigionia in Germania, con anche cinquantamila morti, non rientra nel comune senso storico.

Nella storia italiana non esiste.

 

Non esiste quasi per nessuno, soltanto per voi e per pochi studiosi.

Ma questo è colpa nostra. Io lo dico sempre anche con Sommaruga. E’ colpa nostra! Perché quando siam tornati ognuno ha pensato a sistemarsi, insomma, doveva dimenticare un periodo mica piacevole! Non è stata una villeggiatura, è vero, come dice Berlusconi che dice che siamo andati in villeggiatura. E allora non si è più stato dietro a questi avvenimenti a queste cose qui. Ognuno l’ha pensata e… si è dimenticata! Tabula rasa nel cervello, fino a quando è andato in pensione. Quando è andato in pensione si è scatenato tutto.
Ecco questo è successo. Noi abbiamo fatto una rimozione ed è stato colpa nostra! Se noi, tornati dalla prigionia, ci fosse stata, ci fossimo organizzati, è vero, anche politicamente, qualcuno l’ha fatto! Infatti noi alla alla presidenza nazionale abbiamo dei senatori e degli onorevoli che adesso sono in pensione, va beh.

 

Stiamo parlando dell’A.N.E.I.?

A.N.E.I. C’è Rosati, c’è Cengarle, c’è Bemporad e sono parlamentari, erano parlamentari e adesso… beh… perciò dico: è colpa nostra! Noi avremmo dovuto fare come hanno fatto i partigiani! I partigiani hanno affermato un loro valore in Italia! Noi no. Ci siamo rintanati nel nostro guscio e siamo rimasti lì. Abbiamo detto niente. Noi siamo stati dimenticati, nessuno sapeva niente di noi, e questo… oddio quasi per la totalità di noi. Ho detto, a me dunque, sono stato dal quarantacinque, soltanto nel settantotto hanno saputo in ufficio che ero nei campi di concentramento, eccetera e grazie al professor Vialli con il suo libro, se no non sapevano niente e poi basta. E’ stata colpa nostra!

 

I prigionieri della Prima Guerra Mondiale sono stati 600 mila come quelli della seconda più tutti i prigionieri degli inglesi e degli alleati. Al loro rientro i prigionieri della Prima Guerra Mondiale non sono stati accolti particolarmente bene. Dentro l’esercito c’è un po’ la mentalità che il prigioniero è il soldato vigliacco. Secondo lei, qualcosa di simile si è verificato nei vostri confronti?

Mah io penso che in un certo qual modo sì. In certo qual modo. Questo però, se qualcuno… Non è una cosa diciamo che possiamo generalizzare su questa convinzione. C’è qualcuno magari che l’ha potuto pensare, ma qualcuno però che non ha conoscenze dei fatti… Una persona a conoscenza dei fatti non può giudicare una cosa del genere, perché vigliacchi non lo siamo stati. Questo è fascismo.
Dicono i partigiani, ma proprio Alessandro Natta ha scritto un libro: “L’altra resistenza” che è stata la nostra, che non l’ha potuto pubblicare prima, per ragioni ovvie, ma è stato pubblicato successivamente e io ce l’ho nei miei libri. L’altra resistenza, l’altra resistenza l’abbiamo fatta noi. Infatti, noi siamo stati classificati Volontari della Libertà, come i partigiani e come gli altri, siamo Volontari della Libertà. Io c’ho due diplomi: uno come Volontario della Libertà, l’altro Combattente della Libertà.

 

Natta ha scritto una bella lettera al nostro presidente, qualche mese prima di morire, dove sottolineò questi aspetti. Vi troverete anche quest’anno come reduci?

Ma sì… ho detto questo comportamento si assottiglia sempre di più è… è una pena però incontrarci così, siamo sempre di meno. E ci vediamo, io… siccome sono io l’artefice di questa roba qui adesso sinceramente lo facciamo in maggio a Montecatini. Quando sarà in aprile, si farà un’altra lettera… per riunirci. Sperando che si sia almeno cinque, sei, sette persone da mettere insieme.

 

C’è qualcosa che vuole aggiungere? Qualcosa che si sente di lasciare come testimonianza, come messaggio?

Ma messaggio… messaggi ce ne sarebbero da fare, prima di tutto, il mondo… il motto nostro dell’A.N.E.I.: “Non più reticolati nel mondo”. E’ questo un messaggio che io mi sento di fare, di inviare, non soltanto agli italiani, ma a tutti i popoli. Perché sono esperienze che non sono da augurare a nessuno.