Como 27 gennaio 2003.
Intervista al Sig. F. Giorgio, Milano, 1922.
Marinaio nella IV° Flottiglia Motosiluranti, IMI.
Catturato a Salonicco, deportato a Wietzendorf, Hannover-Langenhagen e
Freden (Leine), lavoratore coatto nella ditta bellica Max Mueller.
Ci dice qualcosa della sua giovinezza?
Sono nato a Milano nel 1922 da una famiglia comune, cioè:
padre che faceva il vetturino, la mamma casalinga, ammalata di cuore anche,
e avevo due fratelli, uno del ‘13 e uno del ‘22. La mia vita è
iniziata molto presto in quanto la famiglia si trovava nelle condizioni
un po’ disagiate e a undici anni ho cominciato il lavoro. Facevo il fattorino,
andavo in giro perché allora si usava molto i servizi a domicilio
e poi a dodici anni sono andato in una pasticceria - bar. Qui iniziavo
la mattina il lavoro alle sette e andavo a dormire alle dieci, questo
fino a quindici anni quando sono entrato all’Alfa Romeo e ho fatto l’apprendistato
e poi a sedici anni ho iniziato a fare undici ore di lavoro, una settimana
di giorno e una settimana di notte.
Quindi niente scuola?
Scuola: sono arrivato alla quinta, poi ho fatto la sesta
e la settima serale, che l’ho fatto in tempo dai quattordici ai sedici
anni, quando i turni di lavoro mi permettevano di andare a scuola. Avrei
voluto continuare, purtroppo dopo non si è potuto, in quanto l’Alfa
Romeo non dava i permessi e quindi dovevo fare… facevo undici ore al giorno
dalle sette di sera alle sette di mattina, la settimana dopo e viceversa.
Questo l’ho fatto fino al febbraio del 1942, che nel frattempo all’Alfa
Romeo mi avevano mandato alla scuola di motorista navale, dietro pressione
del governo naturalmente, allora c’erano i famosi avanguardisti e c’era
la scuola premilitare, si usava così, e m’han mandato alla scuola
Feltrinelli dove ho fatto un corso di motorista navale. Nel frattempo
tra il lavoro e la scuola ho praticato l’attività dello sport dell’atletica
leggera, che ho fatto da quindici anni fino al giorno che sono andato
in Marina.
Direi che, nel discorso che continuerò, la mia salvezza dalla Germania
è stato dovuto proprio a questo sport. D’inverno le corse campestri,
d’estate corse su strada, marcia di montagna hanno irrobustito il fisico.
Sicché a febbraio… a marzo della…, il dodici marzo del 1942 mi
presentavo al deposito di La Spezia dove di lì venivo imbarcato
sul pontone Anteo; in questo pontone Anteo sono stato fino a maggio, a
maggio m’hanno mandato sui Mas e a giugno sono andato, sono andato nel
Mar Nero per una missione speciale nel Mar Nero della Marina. Coi Mas,
sempre coi Mas, son stato dal ’42 al ’43. Nel frattempo dal Mar Nero sono
andato anche nel Mare d’Azov dove dovevamo andare nel Caspio, poi c’è
stata la controffensiva russa. Il disegno è stato cancellato in
quanto che l’avanzata dei russi non lo permettevano più. A maggio
del ‘43 furono ceduti i Mas ai …ai tedeschi di una convenzione che fece
il governo italiano e noi… E io rientrai in Italia, ebbi un mese di licenza
e rientrai a luglio a La Spezia. Il 25 luglio fu la caduta del fascismo,
a metà agosto venni chiamato, ero a La Spezia al castello di Lerici,
mi fu comunicato che avrei dovuto andare in Grecia nell’Egeo alla IV°
Flottiglia Motosiluranti; questo avvenne alla fine di agosto. Feci una
scappata a Milano a trovare i miei genitori. C’erano stati i famosi bombardamenti
di agosto a Milano, trovai una situazione disperatissima perché
c’era tutto distrutto; mi ricordo che da Genova arrivai a Porta Romana
perché la Centrale non funzionava più. Alla sera per partire,
per andare a Venezia dovetti andare alla stazione Lambrate accompagnato
dai miei genitori. Ricordo che trovai i miei genitori in condizioni disperate,
tanto è che io avevo ricevuto duemilacinquecento lire dal Comando
di La Spezia che erano stati i soldi che mi spettava della campagna di
Russia, in quanto là non pagavano, e allora lasciai giù
tutti i soldi ai miei genitori. Partii da Venezia ai primi di agosto….al
nove di settembre. Nel frattempo la tradotta dovette fermarsi parecchie
volte perché c’erano attacchi dei partigiani sulla linea. Arrivammo
al nove di settembre a Salonicco, però in precedenza, in piccole
stazioni c’erano i partigiani che erano vicino alla stazione; la tradotta
si fermava nelle stazioni. C’erano i partigiani, quelli in borghese che
curavano tutto e ci avevano detto: “Guardate che da Radio Londra han detto
che stanno firmando il Patto, la fine della guerra, quindi scappate, andate
via”. E allora il comandante della tradotta continuava a mettersi in collegamento
con Atene e con Venezia per sapere quello che doveva fare, ma là
non sapevano niente. Questo è notorio a tutti che Badoglio fece
l’armistizio in una maniera pagliaccesca addirittura. E allora arrivammo
al nove di settembre, si arriva a Salonicco stazione, ed ecco la scena
che…a fianco, ai due lati v’erano tutti i soldati tedeschi armati, puntati,
e c’era anche un carro armato. Un bel momento il treno si ferma, i tedeschi
vengono su, dicono la… : “L’Italia ha firmato la pace con gli inglesi
e gli americani, adesso voi ritornerete in Italia a Venezia e a Milano,
e vi mandiamo tutti a casa perché non fate più la guerra”.
Ma la notizia fu accolta un po’, un po’ sulla… perché dei tedeschi
c’era poco da fidarsi. L’avevamo capita un po’, un po’….nelle persone
alle volte subentra un qualche cosa che dà dei presagi non troppo
simpatici. Difatti riconsegnammo il tutto e tornammo indietro col treno,
sempre col treno, che erano vetture di terza classe con le panchine; tornammo
a Belgrado, a Belgrado lì, quando fu verso mezzogiorno, la una,
ci dissero che quei treni lì dovevano servire per portare i feriti
e i malati in Italia, noi dovevamo andare sui vagoni bestiame. Infatti
andammo sui vagoni bestiame, cinquanta per vagone, anche di più
forse, e lì fummo ammucchiati lì, ma c’era sempre la speranza
che la nostra sfiducia verso i tedeschi non fosse reale. Invece purtroppo
c’era su della gente che aveva fatto i viaggi avanti e indietro dalla
Grecia in Italia, han detto domani, stanotte o domani mattina vedremo
subito, perché nel contempo i soliti partigiani col martello in
mano facevano finta di picchiare le ruote: “Guardate che vi portano tutti
in Germania, l’ha detto radio Londra, andrete tutti in Germania”; e non
si sapeva cosa fare. Infatti l’evento fu quello: quando fu un bel momento
tutti a guardare fuori dallo spioncino, perché alla una…alle due
di notte trac…trac…ci chiusero dentro. E allora non si poteva neanche
più guardare; e allora siamo… ad un bel momento c’era su due, tre
anziani, han detto: “Qui si va in Germania”; difatti così fu. Ci
aprirono un due o tre volte, ci buttavano dentro dei pezzi di pane e bisognava,
tanto è un particolare un po’… Dovemmo fare un buco dentro nel
piantito della vettura per poter fare i nostri bisogni, perché
non si poteva e finché arriviamo a Wietzendorf, campo di concentramento.
E si scende tutti, a un bel momento scende anche il maggiore degli Alpini,
anziano, aveva sessanta anni o sessantun anni, e guarda: “Wietzendorf
no!”; trac e cade per terra, cade per terra, noi a correr lì a
tirarlo su, il tedesco….lì capimmo, col fucile: “Aufsthen…Raus”
(alzati, fuori); continuava a dire di alzarsi. Finalmente ‘sto pover’uomo
si alza. “Maggiore, cos’è successo?”; “Qui sono stato prigioniero
nella prima guerra mondiale!”
E fu vero, fu vero perché quando entrammo dentro in queste baracche,
sui muri c’era scritto…per fare un esempio: “F. Giorgio, III° Reggimento,
classe 1890, B. Giovanni…”. Era tutta piena di queste scritte, e c’era
ancora. Quando siamo entrati, era già pieno il campo di Wietzendorf,
era già pieno. Quelli che erano lì ci avvisarono: “Guardate,
guardate che i tedeschi vi portano via tutto, non vi lasciano in mano
niente”. E allora io che ero della Marina avevo un zaino grossissimo,
pieno di vestiario, perché la Marina dava diverse divise di tela,
di…, e poi avevo un altro zainetto; quando sono entrato in baracca cosa
ho fatto? La mattina si doveva passare con i bagagli e allora ho messo
su prima una divisa di tela di lavoro di sopra, la divisa di panno blu,
poi la giacca, il giaccone, di sopra la cerata, poi piene tutte le tasche,
piene di calze di fazzoletti, tutto quello che si poteva tenere. Infatti
come passammo davanti, ci portarono via tutto; a me mi lasciarono solo
la valigetta che c’era dentro il necessario per la barba, cose così…il
resto portarono via tutto. Ci misero dentro in uno sgabuzzino: fotografie,
impronte digitali, e poi c’era là uno che parlava in italiano,
mi domandava da dove venivo, cosa avevo fatto e allora mi disse: “Come…
ma lei è meccanico?”; “Sì”. “Dove ha lavorato?”; “Alfa Romeo”.
“Va bene, bene, Alfa Romeo, sì”, poi via. Poi l’undici di ottobre
ci hanno caricato su un camion, che eravamo in un centinaio, ci portarono
ad Hannover Langenhagen, che c’era un campo con tutte le baracche di legno,
quelle tedesche che usavano loro, la “Stube” loro la chiamavano, e ci
misero dentro lì, ci misero dentro lì e, e purtroppo dentro
lì c’erano già stati degli altri prigionieri. Alla mattina
cominciò il primo…la prima tragedia che quei castelli di legno
là erano pieni di insetti poco simpatici. Io che ero stato in Marina
sempre in pulizia, alla mattina cominciai a… ed ero pieno di insetti già
da allora. E loro ci portarono in fabbrica. Nel frattempo che eravamo
in colonna per andare dentro lo stabilimento, la Max Mueller, che faceva
mitragliere di Marina, c’era una fonderia coi lingotti, e facevano le
bombe. C’erano le presse, andavano sotto i lingotti e venivano fuori le
bombe, adesso di artiglieria non me ne intendo, erano proiettili, venivano
fuori di lì. E allora nel tragitto fummo colpiti da sassi da gente
che passava: “Badoglio, scheisser Badoglio!”. Buttavano addosso i sassi,
venivano a darci spintoni: “Siamo a posto qui!”.
E di lì ci misero in fabbrica e ci misero a lavorare tutti insieme,
o a chi e perché, anche da accertamenti, l’ottanta per cento degli
italiani che furono presi dai tedeschi erano tutti personale che aveva
un lavoro in mano, chi la Siemens, la Volkswagen, la Hanomag che faceva
i camion e i panzer, erano tutti …tutta gente che lavorava sui torni,
sulle frese, sulle rettifiche come lavorai io perfino nei tracciatoi c’erano.
E lì ci han messi tutti a lavorare, e guai chi non lavorava; ogni
tanto veniva: “Los, los, fate in fretta, los, los!”; e…niente, undici
ore di lavoro.
La vita nei campi era una tragedia sola, guardi, perché di notte
c’era un capo campo… Noi eravamo in Hannover, Germania del nord, terra
bruttissima, sempre acqua, neve, pioggia, scuro, buio. Era deprimente
anche l’ambiente, deprimente! In più alla una di notte… alle due
di notte ci facevano alzare, ci mettevano lì nel cortile e lì
in tedesco continuava con contumelie a destra e sinistra: “Badoglio, scheisser!”;
e poi ci mandavano a dormire. Alla mattina c’era l’altra tragedia per
mangiare, perché la cattiveria dei tedeschi… Davano un filone di
pane da dividere in undici, quindi non…sembra un non senso, sembra una
cosa non vera: metro alla mano, misurare, dividere, per sapere quanto
la fetta doveva essere larga: era una fettina piccolina ad ogni modo e,
peggio ancora, davano un pezzettino di margarina non da dividere in dieci,
in undici, no, in quindici, diciotto, un pezzettino di margarina non riusciva
neanche a coprire la fetta di pane non riusciva! E fino alla sera basta,
niente. Alla sera, quando si rientrava, ci davano tre quarti di acqua
con dentro dei pezzi di rape e questo era il nostro sostentamento. E questo
lo abbiamo fatto dall’inverno del ‘43 e venendo al ‘44. Fu una tragedia,
guardi! Una tragedia perché prima di tutto più che il mangiare,
più che il lavoro, era il pensiero della famiglia. Noi ci avevano
portato via, la nostra famiglia non sapeva dove eravamo, a casa i genitori
cosa pensavano, non avevano nessun indirizzo, nessun niente; questo è
durato fino alla, alla primavera del ’44; questo era il nostro pensiero.
Perché c’era chi…chi aveva la famiglia, come io ci avevo la mamma
malata di cuore, un fratello sposato con tre figli piccolini, la maggiore,
il maggiore ci aveva sei anni, era sui campi d’aviazione come, come meccanico,
non a militare, era militarizzato, lontano dalla famiglia nei campi d’aviazione
dove c’erano gli apparecchi che venivano a bombardare; il secondo che
era del ’18 in Marina anche lui e…e lei pensi a casa; era un pensiero.
Quando avete potuto avere informazioni?
In aprile ci diedero delle cartoline, delle cartoline
dove dovevamo anche contare delle bugie. E non si poteva scrivere: “Qui
siamo trattati male, non ci danno da mangiare”. Dice: “Cara mamma, non
pensare, sono qui, lavoro, sto bene, spero di voi e basta”. Dopo fino
a maggio non ci è arrivata la risposta, risposta, immaginare! Però
i genitori… Mi disse poi mia madre che alla sera chiudevano tutto, si
attaccavano a radio Londra e radio Londra invece diceva che quei poveri
diavoli là non ci hanno da mangiare, non danno niente. Infatti
mia madre riuscì a compilare quattro - cinque pacchi; perché
non c’avevano neanche da mangiare loro, e quindi, quando arrivavano questi
pacchi, facevamo il sacrificio, perché era dentro un pugno di riso,
un pugno di pasta, c’era dentro un vasettino di Liebig; e allora cosa
si faceva…. Noi milanesi che eravamo in quattro o cinque, la margarina
la mattina non la mangiavamo, perché la domenica sulla stufetta
che c’era lì, facevamo il risotto e lo condivamo con la margarina
che avevamo avanzato tutta la settimana che non riuscivamo a mangiare.
Lei deve pensare che un piattino di riso ci voleva mezz’ora, perché
non eravamo più abituati a mangiare, si faceva fatica; e si faceva
fatica anche a digerire. Questo sempre pieni di pidocchi, alla sera c’era
da spidocchiare, c’era… Perché eravamo pieni, si camminava coi
pidocchi piuttosto che con la nostra cosa… e questo i tedeschi non…. Volevano
umiliarci; non ci hanno umiliati perché noi non ci siamo mai umiliati
a fronte i tedeschi. E poi facevamo il sabotaggio intelligente; è
una cosa un po’ ridicola per il semplice fatto…mi scappa da ridere perché
era una soddisfazione. Si montava i carrelli delle mitragliatrici e tutto
l’automatismo, c’erano cinque italiani a montarli e c’erano sette - otto
tedeschi ; poi ogni tanto veniva l’ufficiale di Marina, li portavan fuori,
li provavano. E allora, non sempre, ogni tanto, si prendeva… perché
ogni, ogni pezzo c’era un bollino con la sigla di chi li faceva, e allora
noi, intanto che loro facevano il Fruehstueck (colazione) alle dieci e
trenta, cioè mangiavano la fettina con…bevevano la birra, quello
che è, noi si andava, si tirava via una spilletta, si smollava
un dado così…e allora portavan fuori quegli italiani, l’ufficiale
là che era in Marina, veniva là: “Italiani, gut”; sentivo
che prendeva quel tedesco “Scheisser!”; una ramanzina, un cicchetto, perché
trovava che non funzionava e tutte le volte era un tedesco che non funzionava;
questo era per noi una grande soddisfazione di vedere questi tedeschi…
E…niente. Si continuava, si continuava, ci sono stati i bombardamenti.
La mentalità del tedesco, una cosa orribile, guardi!
Bombardamento di Hannover; perché l’Hannover vecchia era legno
e cemento, quelle case che fanno nel nord. E al mattino andiamo in fabbrica
e c’è lì il mio operaio che lavorava insieme a me e gli
dico: ”Hans, americani?”; “Ja, ja meine pater, schwester, mutter, alles
kaputt” (Sì, si mio padre, sorella maggiore, madre, tutti morti).
Erano morti sotto il bombardamento, andava lì e lavorava, cantava
e lavorava. Io non…non lo so, ecco: questa era la guerra della Germania,
poteva continuare; erano fatti tutti così i tedeschi; erano gente
che per la guerra, per Hitler erano… Devo dire che è una cosa che
è vera questa, che Hitler è stato capace, come Mussolini,
di drogare i tedeschi, nel senso che lui ha portato gli operai tedeschi
al massimo livello: sport, spettacoli, turismo in grande stile; e allora
i tedeschi, già che avevano da lì il coso della super, della
superiorità “Deutsch Ueber Alles”, tutti superiori a tutti, loro!
Poi la cintura qui con su che “Dio è con noi” anche, poi magari
ammazzavano i bambini! Va beh, era una mentalità così, i
tedeschi potevan fare. Tante volte mi son domandato, domandavano ma come
han fatto tutti i tedeschi a fare la guerra, l’han fatta! Li ha addormentati,
li ha drogati; ha capito che il tedesco era portato alla superiorità,
alla guerra e…e li ha trattati bene; li trattava bene, questo…era questo!
Quando poi al mese di settembre venne fuori un comunicato, che sto cercandolo,
qualcuno deve averlo, ho scritto a destra e sinistra…dove diceva che il
governo germanico dal primo di ottobre, o primo di settembre, adesso la
data precisa non me la ricordo, gli Internati Militari Italiani saranno
pareggiati ai civili tedeschi. Difatti tirarono via le guardie, misero
lì i legionari del popolo, quelli in borghese, ma soldati non c’erano
più; però non c’era più quella disciplina; però
il mangiare era sempre quello, il lavoro sempre quello, stracciati sempre;
pidocchi pieni, non si poteva neanche andare…come si faceva ad andare
in Hannover conciati come eravamo! Quando c’erano i bombardamenti che
s’era in città, dentro nei bunker non si poteva andare, noi dovevamo
stare fuori appoggiati ai muri. La ditta mia fu trasferita a Freden (Leine),
sulla strada che da Hannover porta a Kassel; lì c’era un oleificio,
l’oleificio [Brauns]; e lì in mezzo misero dentro, misero dentro
tutte ‘ste…fabbricati, quelle delle mitraglie, perché la fonderia
rimase a Hannover, e lavoravamo, lì si lavorò. Quando il
mese di marzo, il mese di marzo del 1945 io andai giù ad Hannover,
al campo a vedere se c’era della posta per noi, invece non c’era più
niente, c’era già lo sfacelo.
In quel frattempo venne il bombardamento. Noi fummo bloccati; eravamo
in tre, fummo bloccati per attraversare il centro; finalmente si riuscì
attraversare il centro.
Arrivammo…questo è un fatto…anche questo che fa denotare il carattere
dei tedeschi…C’era un palazzo che bruciava, sotto c’era un prestino pieno
di pane, di quei pani lì, allora c’era lì tutta la gente:
“Dateci il pane!”. “Nein, nein”. Non... ci voleva …tac il biglietto…niente;
e non c’era …a un bel momento, dai, dai, bruumm…è crollato tutto
e son rimasti sotto tutti. Questo… noi eravamo lì sul camion coi
tedeschi, finalmente riuscirono a passare, andammo, andammo con la ferrovia
e rientrammo a casa. Nel frattempo, lì nel campo dove eravamo noi
a Freden (Leine) c’era stati dei caccia inglesi e americani che avevano
mitragliato, buttato giù manifestini. Fu lì che seppimo
che i tedeschi erano in ritirata perché non si è mai saputo
niente, si continuava a lavorare… A un bel momento, alla fine dopo, la
settimana dopo lo stabilimento cessò. Cessò perché
ci mancavano i pezzi, non si poteva montare; eravamo lì tutto il
giorno.
Poi cominciammo a vedere le colonne che venivano dall’Olanda e dal Belgio,
perché noi eravamo in Hannover in prospettiva. E tutti armati,
tutti ‘sti soldati con ‘sti italiani che arrivavano, e niente… A un bel
momento la tragedia, proprio arrivavano tutti sbandati, tutti… Non c’erano
più neanche i soldati tedeschi, e ‘sti italiani che ci chiedevano:
“Date, date da mangiare”. “Non ci abbiamo neanche noi da mangiare!”. Non
ci davano più niente. Si mangiava lumache che si prendevano nei
prati, le patate si andava a scavare, perché loro prendevano la
macchina per sterrare le patate e quelle piccoline rimanevan dentro. Si
mangiava quello con l’insalata: ‘ste lumache mezze cotte e mezze crude
che si ingoiavano…sembrava che fossero sul tram, biglietto di andata e
ritorno, perché a un bel momento tornavano su e…non si riusciva
a mandarle giù perché non c’era né condimento, non
erano cotte. Era una tragedia!
Finalmente l’otto di aprile io avevo organizzato delle squadre per andare
nei negozi di questo paese, loro erano armati. Noi ci siamo riuniti una
sera, abbiamo detto: “Prendiamo dei bastoni e li prendiamo a tradimento
dove ci sono la [Wastrum] diamo una bastonata e poi andiamo”. E allora
difatti eravamo andati giù con un carrettino, proprio dove c’era
l’Eine il fiume, c’era un ponte. Lì a un bel momento arriva un
camion, un camion che guarda…..tedesco piglia e va; dopo un po’…brum…brum…
vediamo un terribile carro armato. “Oh Dio, sono ancora qui i tedeschi;
guardate un po’ cosa facciamo adesso?”; “No…no…non è tedesco, c’è
su la bandierina, c’è su la stella bianca”. E allora ci siamo avvicinati
coraggiosamente e lì vien fuori un ufficiale. Era americano dice…
domanda e noi diciamo: “Italiani!”; quello non capisce l’italiano, noi
non comprendiamo l’inglese; e allora a un bel momento salta fuori il salvatore
della patria, solito italo -americano, era di Salerno poveretto. “Guagliò
neh, che fate?”.
E allora spieghiamo che siamo… abbiamo fame, non ci abbiamo niente da
mangiare e lui dice: “Il ponte è minato?”. “No, è passata
tutta la gente…sotto qui non c’è niente sotto, potete passare”.
Allora a lui…’sto poveretto va giù e porta su due cartoni, cartoni
di viveri che avevano loro, di soccorso, quando non hanno da mangiare.
“Prendete questo, però andate dentro, guagliò, ritiratevi
che quelli vengono e poi vi ammazzano tutti”. Allora difatti via; difatti
dopo un’ora è passata questa colonna che era la colonna. Patton,
sì, e difatti dopo si è sganciata una jeep, è venuta
lì e quando è venuto dentro in baracca e vede ‘sto latte
con ‘ste lumache che escono fuori…è stato…”Lì, buttate via
tutto”; e dopo ci hanno aiutato, ci hanno dato… E’ cominciato arrivare
…e poi due giorni a fila a curare tutti ‘sti italiani, visitarli tutti.
Difatti una quindicina furono portati via perché erano in condizioni
disperate, dei quali cinque dei nostri che morirono in Italia nel ‘46-‘47.
Questa è stata la liberazione. Che poi dopo non potemmo rimpatriare,
in quanto che i ponti erano tutti distrutti. Gli svizzeri negarono il
permesso di passare, nonostante che gli americani gli avessero detto:
“Chiudiamo nei vagoni e passiamo, non ci fermiamo, lasciateli passare”;
non c’è stato niente da fare. E allora abbiamo dovuto aspettare
fino a giugno … a luglio, tanto è vero che io sono stato uno degli
ultimi, son rientrato alla fine di agosto…primi settembre ero a casa.
Ecco, questa è stata la… l’odissea; e… devo dire che nel 1970 feci
un raduno dei reduci, di quelli che eravamo al nostro campo; si presentarono
in venticinque, gli altri non ci sono più. Adesso siamo rimasti
in cinque, di cui tre son fuori di testa … e io sono qui ancora; io, non
lo so, alle volte penso che il fisico…Forse ho fatto una vita da giovane
buona….. non ho avuto vizi; non lo so, non lo so, eccola, quindi non mi
lamento mai. E mi è stato detto anche quell’odio…ma dico di no,
dico di no perché l’odio non è un sentimento da acquistare;
l’odio poi è una qualità negativa nell’essere umano, perché
porta sempre delle tragedie, porta sempre delle cose brutte.
Dimenticare? No! Dimenticare no! Dimenticare no, perché soprattutto
per quelli che sono morti. Non si può dimenticare, è stata
una tragedia, l’han voluta i tedeschi che poi potevan trattarci differentemente.
Guardi, c’era l’Hanomag; faceva i carri armati e ci aveva anche i camion;
e c’eran là quelli dell’Hanomag…dovevan fare cinque chilometri
di strada ad andare e cinque chilometri di strada a tornare; non davano
da mangiare; erano tutti alpini quelli, erano quasi tutti manovali. Cosa
ci voleva mettere un camion a disposizione, prenderli e portarli! Non
c’era mica niente…era anche una…un beneficio per loro, arrivava della
gente un po’ più fresca, un po’ più…non so… non so capire,
non so… mah…chi lo sa! E adesso siamo qui anche calpestati nei nostri
diritti; non so…
Io direi che è stata una, una Germania così; adesso come
si ritiene civile, come si ritiene…, non adeguati…non capire quello che
han fatto. Soprattutto quelle ditte…la Volkswagen, se è vero quello
che mi hanno detto … La Volkswagen c’era un capannone dove gli italiani
costruirono i “maggiolini”; quando è finita la guerra, la signora
Volkswagen aveva due capannoni pieni di “maggiolini” finiti dagli italiani.
Quindi più che il governo tedesco, erano queste ditte che han portato
tutto l’oro in Svizzera… a pensare di dire abbiamo fatto un errore sul
pungolo del… è stato il governo a mandarci. Perché dicono
che Hitler non ha voluto calcolare come prigionieri di guerra, per forza
perché se eravamo prigionieri di guerra, come dicono adesso, non
poteva impiegarci a lavorare. C’era un trattato che proibiva ai prigionieri
di guerra… E lui l’ha fatto col gioco che con gli Internati Militari poteva
farci lavorare; ed erano seicento, settecentomila persone di cui tre quarti
era un personale da valorizzare, che poteva rendere. Se avesse fatto prigionieri
doveva mantenerli; e forse è stato aiutato anche dalla Croce Rossa
Internazionale, in quanto che la Croce Rossa Internazionale avrebbe dovuto
aiutare. Nei campi dove c’erano i prigionieri di guerra inglesi, americani,
francesi, i quali ricevevano un pacco da cinque chilogrammi tutti i mesi
dalla Croce Rossa Internazionale, a parte i francesi…che poi Petain pagava
in oro per il mantenimento dei suoi prigionieri; e ‘sti americani …c’era
un ufficiale americano che ha fatto la questione per noi, che ci ha detto
tutti…ogni quindici - venti giorni arrivava il famoso “Angelo bianco”
con su la Croce Rossa e loro andavano lì a vedere se i prigionieri
erano trattati bene o erano trattati male. Ora questo americano…italo-americano
il quale corrompeva le guardie tedesche; le guardie tedesche andavano
e buttavano dentro sigarette e cioccolato nel nostro campo, e allora lui
ci ha detto: “Ma a voialtri non viene?”; “No, a noi non viene niente”;
“Ma voi siete come…siete militari…che siete col filo spinato triplo, con
la guardia, col moschetto, con l’appuntato, col…”. E allora ha fermato
‘sto tenente della Croce Rossa Internazionale…’sto funzionario… “Ma dagli
italiani non ci andate?”; “No, perché il governo tedesco…”; “Ah!”.
“Ci abbiamo la dichiarazione che ha detto che voialtri siete Militari
Internati”.
Quindi noi la Croce Rossa non l’abbiamo mai vista…ché la Croce
rossa ha fatto anche un atto che è disumano, perché l’avevamo
anche detto …di quelli dell’Italia meridionale. Carissimo signore, sono
stati due anni che non hanno mai potuto scrivere a casa.
Lei pensi…pensi il pensiero di quelle famiglie che non…mai; c’è
stato delle famiglie…uno che sta vicino a Salerno, ci fosse qui l’elenco
glielo dico, che gli han fatto perfino la messa in chiesa, come defunto…come
disperso…non c’era più! Tutti i giorni la madre andava in chiesa…pregava
per suo figlio che non tornava più… Quello la Croce Rossa Internazionale
lo poteva fare…e non l’ha fatto!
Io non sono favorevole neanche alla Croce Rossa Internazionale, perché
qualche cosa poteva fare, qualche cosa potrebbe fare anche adesso; e tirare
fuori quei documenti dove dice che noi eravamo Militari Internati .
Questo è quello che dico. Esperienza triste, esperienza… Io spero
che i giovani non abbiano qua a vedere cose di questo genere; e la guerra
è una cosa bruttissima, sia per chi vince che per chi perde. Perché
la storia ci insegna che anche finite le guerre, son nate le rivoluzioni.
Perché per far la guerra la produzione doveva cambiare totalmente;
finita la guerra bisognava cambiare ancora produzione e andare. E molte
volte la stasi era molto lunga. C’erano scioperi, non c’era lavoro, c’era
fame, c’era miseria anche in quelli che avevano vinto, quindi diciamo
che la guerra non è una cosa utile, per niente, solo per chi disgraziatamente
deve difendersi e allora per forza…ma quello che attacca sbaglia sempre.
Questo è quello che posso dire io.
Torniamo un attimo indietro. Ci dice com’era la vostra giornata tipo,
quando avete cominciato a lavorare ad Hannover, le vostre il condizioni,
il tipo di assistenza che avevate, se l’avevate?
Sicché la giornata cominciava alle cinque, perché
dalle baracche non si poteva uscire durante la notte, allora avevan messo
degli enormi bidoni dove i bisogni bisognava farli lì. Alla mattina
ci si alzava alle cinque, c’era la squadra: in due bisognava portare fuori
i bidoni, vuotarli nel posto adatto e poi venivano risciacquati e poi
portati dentro. Poi c’era la famosa operazione viveri, che portava via
del tempo; tant’è che poi c’è stato un momento che ci fu
delle risse fra di noi, perché la fame era tanta e si guardava
anche il pezzettino. Allora si è passato a un sistema infallibile,
cioè veniva misurato, veniva tagliato…poi messo sopra il pezzettino
di burro, poi uno si girava e lì quello che ci aveva le cose in
mano diceva: “Di chi è questo?”; dice: “Questo è di F.”;
“Questo di chi è?”; “Di A.”; “Questo di chi è?”; e via in
modo che non c’era più da litigare, perché c’erano state
delle risse non indifferenti.“Tu hai quello lì, vedi che è
più grosso, e io chi sono che…”. E c’erano anche queste cose qui.
E poi, verso le sei e un quarto, le sei e venti…perché la nostra
fabbrica …noi eravamo nel campo di Lagenhagen, a Vinnhorst; era un campo
che c’eran dentro milleduecento prigionieri, divisi tutti in varie fabbriche,
in vari settori. C’erano queste baracche lunghe, dove c’erano dentro delle
altre camere, le “Stube” cosiddette, in legno…tutte di legno; e allora
al mattino si faceva in fretta. Non c’eran le coperte, lenzuola, non c’era
niente, c’era una specie di pagliericcio con la paglia; e allora si lasciava
lì tutto e si usciva, ci si metteva in fila, facevano l’appello
e poi ci portavano in fabbrica. In fabbrica alle sette si iniziava a lavorare,
ognuno c’aveva il suo posto di lavoro. Insieme a noi lavoravano i francesi;
francesi che erano stati presi e portati dalla Germania, quelli erano
internati veramente; che ci avevano là la sua …erano liberi cittadini;
andavano, venivano, ci avevano i suoi zaini, il suo mangiare, si arrangiavano
e tutti lavoravano lì insieme a noi. Insieme a noi c’erano prigionieri
russi, i prigionieri russi erano andati tutti ai lavori pesanti; non ne
ho mai visti di prigionieri che lavoravano nelle fabbriche…non ho mai
visti; lavoravano tutti ai lavori pesanti! Ce n’era qualcuno che era addetto
magari al trasporto del materiale, oppure messo lì a pulire le
mole, pulire… facevano quei lavori lì. E di altri c’erano gli olandesi
e c’erano i belgi, che erano stati presi, ma tutti internati; non erano
militari; di militare ce n’era qualcuno francese volontario, che erano
sui tracciatori, che erano dei tracciatori che messi lì…e invece
di stare nel campo , venivano lì e…non so…forse gli davano qualche
cosa … Non lo so; loro avevano i cambi perfino della divisa, quella famosa
divisa pesante color caki, molto pesante; ogni tanto avevano il diritto
anche del cambio della divisa, prigionieri per modo di dire.
Tragedia nei francesi; tragedia sì, perché loro c’erano
della gente che era stata prigioniera nella Prima Guerra Mondiale; poi
con questa guerra qui, non avendo personale giovane… E’ successo che tanti
ricaddero ancora prigionieri in Germania e erano gente che…Lì nel
mio campo ce n’era cinque o sei che, poveretti, avevan fatto la prigionia
prima, la prigionia dopo. Solo che loro la prigionia era…che erano lontani
da casa. E come torno a ripetere, Croce Rossa, Petain e casa, loro ricevevano
i suoi pacchi, stavano bene, il rancio era buono, perché pagava
Petain e quindi non avevano…
Altri che lavoravano con noi non ce n’era: c’era qualche polacco, ma quello
era un manovale; e nella fabbrica poi c’era anche personale…perché
lì c’era anche del personale che veniva da lontano, di Hannover;
erano stati reclutati e portati lì, ma lavoravano lì.
E c’erano degli austriaci i quali non erano proprio di carattere…ma erano
ben differenti! Ce n’era uno che, quando andava al “Fruehstueck” (colazione),
loro gli davano le fette di pane, lui le faceva dentro in un pezzo di
carta, poi veniva giù, mi guardava, buttava dentro il cestino di
carta queste due fette. Io facevo finta, quando non vedeva nessuno, le
mettevo in tasca, andavo al gabinetto a mangiarle per non farmi vedere.
Ecco, questo era qualcheduno, ma altri tedeschi no, c’erano dei tedeschi
i quali…il lavoro…guardavano no…no. Ma c’erano quelli che picchiavano,
picchiavano per niente. Un certo L. di Torino, il cui papà si era
ricordato perché era segretario di Valletta nella Fiat e lui era
sergente maggiore; era quello che teneva in ordine noi insieme nel campo
così…ma un bel giorno va lì al magazzino a ritirare degli
attrezzi. Lui sapeva il francese, ma il tedesco non lo sapeva e quello
in tedesco… lui non capisce e fa il sorrisino, ma non per compatimento;
quello là non… Come l’ha visto sorridere si è allontanato,
è venuto con due tedeschi e gli han dato una fila di botte, non
era più capace neanche di alzarsi in piedi! Ma non lì…eh…l’han
portato dentro una baracchetta dove andavano i russi quando c’era la sosta,
e un bel momento L.…ma L. non c’è più. Arriva la sera e
mettono tutti in fila, lì c’è quello che conta…il soldato
che deve portare…L. non c’è..
“L.?”. Allora…e allora guarda di qui e di là…allora ci chiama …andiamo
dentro in ‘sta baracchetta…era per terra, pieno di sangue…non ce la faceva
più. L’abbiamo dovuto raccogliere e accompagnarlo e fare circa
un chilometro di strada…più o meno…sorretto e portato in baracca
è stato una settimana che non poteva più muoversi dal letto.
Questo erano i tedeschi quando picchiavano. Un’altra volta ne han preso
uno perché non faceva produzione, gli han messo un sacco di zaino
di cinque chili per fortuna che era un omone della Val Trompia e gli han
fatto fare due giri del campo in ginocchio coi cinque chili addosso. Questo
erano loro, non scherzavano, quando era…loro picchiavano, loro…e appunto
è successo a questo polacco che io…è rimasto impresso nella
mia memoria. Perché ci son persone che sfuggono alla nostra mente,
forse per la loro pochezza, forse non dicono niente, ci sono persone purtroppo
che rimangono impresse nella mente anche scampando come Matusalemme.
Questo polacco era addetto alla torneria: lui portava via i trucioli che
facevano i torni su una carriola, poi li portava fuori e li scaricava.
E non c’era stato un contatto vero e proprio, però lui tutte le
mattine come passava mi salutava, e io ricambiavo il saluto…c’era il berretto…io
salutavo…anche lui…ed era piacevole. Mi piaceva vederlo, perché
vedevo un uomo che allora aveva circa cinquant’anni, magro, conciato,
giallognolo di carnagione, una bocca piccola coi denti di ferro, ci aveva
dentro dei denti di acciaio, di ferro, non so cos’era …bianco. Ed era
un po’ conciato. Allora un bel giorno nel fare la curva che immette sul
vialetto che porta fuori, forse sbilanciato, forse che era debole, la
carriola si rovescia, si rovescia per terra e arrivano lì due tedeschi.
Una battuta da matti! ‘Sto povero diavolo per terra…poi prima di andare
via…pom!…un calcione dentro nella schiena e…via vanno… Io ero lì
di fronte, cosa faccio? Prendo uno straccio e lì c’era il lavandino,
bagno lo straccio, lo tiro su e lo porto via, lo pulisco tutto e gli dico:
“Scheisser”; gli dico in tedesco, francese: “N’est pas bon”. Allora lui:
“Nein, nein”; si fa il segno della croce, lo aiuto a pulire, lo aiuto
a raccogliere la roba e va fuori. E da quel giorno lì ci siamo
trovati nel rifugio; parlava…mi ha domandato dove stavo, di dov’ero; e
mi è rimasto impresso…perché a un bel momento dice: “Italia,
Santa Cecilia”; “Sì”; dico: “Accademia di Santa Cecilia”; “Sì,
ah, bello, Milano, uh! Duomo schoen, bello, buono”. E…ma…dice: “Come fa
a saperlo?”; non riuscivo …anche perché la mia cultura non andava
al di là dell’italiano…milanese, neanche il bergamasco, e allora
cosa succedeva, cercavo qualche parola di francese così…dialettale,
più dialettale che francese, e avviene che anche lui lo portano
a Alfeld (Leine). Ad Alfeld (Leine) eravamo liberi e andavamo alla messa
assieme, la comprensione di questa persona qua… Si sentiva che era attaccato
alla religione. Avviene che gli americani portano lì la radio.
Poi un bel giorno arriva uno con un piano…”Cosa facciamo di questo piano?…Qui
nessuno sa suonare!” Poi erano arrivati due ufficiali della Marina Italiana;
allora uno si mette a strimpellare, a un bel momento entra lui, entra
Stanislao…guarda: “Nein, uh, George, ich lieben dich”. “Sì, sì”;
gli dico all’ufficiale: “Guardi, signore, vorrebbe suonare un pochino,
vuol suonare, ma…”. Va al piano, si siede: era un angelo che suonava,
perché i tasti che volavano… tutti sorridevano e piangevano. Dopo
allora mi viene forza, giocoforza domandare ai suoi polacchi: “Ma chi
è questo Stanislao?” Era professore di musica, insegnava a Varsavia,
mi pare al Conservatorio di musica e compositore anche. Allora con tre
ufficiali che mi facevano da interprete, lui era attaccato a me, perché
a me piaceva cantare, avevo una voce discreta; allora accordava il piano
e suonava e io cantavo le canzoni in voga, diceva: “Dai, Giorgio”, ma
io non ero né Gigli, né niente; cantavo da dilettante, ma
a lui piaceva sempre. Ed è nata questa amicizia: la mattina andavamo
fuori, andavamo a fare quattro passi insieme, lui contava… E viene il
giorno che…purtroppo io devo andare, lui era già partente…domando
agli ufficiali…dico: “Dove vai Stanislao? La Polonia è in mano
ai russi e tu dove vai?”; dice: “Mah…in Polonia non c’ho più nessuno,
andrò forse in America o in Australia…non so”. E allora il giorno
della partenza ci abbracciamo e gli dico: “Stanislao, voi polacchi siete
proprio sfortunati…russi…tedeschi”! E allora mi disse quella famosa frase
che mi è rimasta impressa, perché ha indovinato…centrato
in pieno. Lui ha detto: “Guarda, Giorgio che ai polacchi la croce l’han
fatta portare molto, ma sulla croce non li hanno mai messi nessuno e non
li metterà mai nessuno”! Questo Stanislao ce l’ho sempre in mente,
perché è stata una persona…piangeva povero diavolo; ma penso
che ormai l’età…sia morto, perché aveva cinquantadue anni
allora. Io mi augurerei che fosse ancora…una cosa un po’ impossibile,
ad ogni modo un giorno ci ritroveremo senz’altro!
Per il lavoro fatto in Germania avete avuto una paga, qualche marco
del lager?
No, niente; ci avevano dato dei bigliettini da spendere
dentro: 10 pfenning, 25 pfenning; si spendeva per prendere una birra,
c’era la Bunker, la Weiss…quella bianca…quella dolce; ma soldi mai, soldi
mai!
Anche come civili, non avete avuto mai niente?
No, mai, mai. Tanto che è risultato che le ditte
erano obbligate…erano obbligate a dare i contributi dei nostri, dei nostri
agli istituti tedeschi; pagavano i contributi, ma a noi non abbiamo mai
visto niente.
E…niente, ma fuori non si poteva andare, perché eravamo tutti stracciati,
non ci han mai dato vestiti; non ci han mai dato niente. Han fatto una
volta la disinfezione, ma dopo eravamo pieni; la baracca dopo due giorni
eravamo ancora come prima; solo gli americani, col Ddt…vennero col Ddt
e ci pulirono. Del resto…niente. Questo è tutto quello che posso
dire.
C’erano dei bravi ragazzi, anche in gamba a lavorare, ma non l’han mai
riconosciuto. Abbiamo dato uno schiaffo ai tedeschi…sì, abbiamo
dato perché nella pressa c’era un tubo di acqua di pressione; un
bel momento dove c’era l’attaccatura si è rotta, e allora andò
il tedesco per saldare; dopo due colpi si ruppe ancora, allora mandarono
lì un olandese…c’era un giro di tutti…allora c’era un bergamasco
e diceva: “No, io non voglio responsabilità”; gli ha detto il tedesco,
difatti l’ha saldato e forse è lì ancora che funziona adesso.
E’ stata una cosa…un bergamasco il quale ha fatto scottare le mani a un
tedesco con la storia del parlare, perché lui saldava le alette
attaccato a ‘sti cosi e ‘sto tedesco va lì e gli dice: “Kalt?”.
Kalt in tedesco vuol dire freddo, in bergamasco vuol dire caldo; e lui
ha detto: “E’ appena saldato cocia”; allora brahm!…prende il coso e…dopo
lui si è salvato perché è arrivato il tedesco …e
lui ci è saltato addosso a quel tedesco qui che si è scottato.
“Crapa de boeucc, ma ta l’aveval dit!”...
E’ stato un fatto anche quello. Poi c’è morto un nostro sotto la
Continental, dove facevano le gomme. In un allarme aereo è morto,
una scheggia l’ha preso in testa ed è morto. E allora lì
lui chiese ai tedeschi di prendere i rottami e fecero una corona di alloro
tutta lavorata a ferro, era magnifica! Girò per tutti gli stabilimenti
ed ebbe gli elogi di tutti.
Assistenza sanitaria non ce n’è mai stata e non ci ricordiamo di
assistenza. Tant’è che sul tornio uno si fece un taglio tremendo
con la mano, andò in infermeria e lo cacciarono fuori. E lo guarì…sa
con che cosa? …Mi dispiace che è, una cosa un po’ delicata… con
la pipì…disinfettava con la pipì, perché non c’era
niente; dicevano gli anziani: “Prova, prova a urinarci sopra”; difatti
è guarito con quello.
Un’altra volta uno andò in infermeria, era di …….. e adesso è
in Argentina, ha sposato una olandese che ha conosciuto lì…ed è
in Argentina. Era un granatiere alto. Questo, in tempo di bombardamenti
e allarmi, guarda te le persone, la fame cosa fa, scavalcava …aveva trovato
una di quelle…perché il reticolato era in giro a tutto …il coso…c’era
una strada e, a un bel momento, il reticolato era quasi a filo della strada,
lui saltava giù…Lui era stato in tempo di malattia che non poteva
andare lì perché ci aveva una mano che faceva male…l’avevan
mandato nella caserma dei soldati tedeschi, in cucina a pulire…così…e
aveva visto. Lui, di notte, quando c’era l’allarme, scavalcava e andava
nella caserma…portava via pane e…tutto… e poi tornava indietro e veniva
lì. Quello lì, un bel giorno, aveva trentasette-trentotto
di febbre, è andato in infermeria e questa qui…la tedesca ha preso
la bottiglietta di olio di ricino e l’ha messo in un bicchiere, disgraziatamente
per lei era uno di quelli che l’olio di ricino non gli faceva niente…anzi
quasi, quasi lui l’ha bevuto…poi ha pulito anche il bicchiere…l’ira di
Dio: abbiamo riso per un mese di fila!
Eh, niente…è il fatto che io ho rischiato…ho fatto anche una cosa
perché dal momento… lei cosa vuole, la domenica, specialmente quei
pochi mesi d’estate che durava lì nel nord, tra luglio, un po’
di giugno e un po’ di luglio…e allora la domenica eravamo tutti in pensiero…
perché quando si lavora è un conto, quando si era lì
si cominciava a pensare a casa…si cominciava a pensare…sa allora cosa
facevo? Andavo fuori dalla baracca, mi mettevo lì alla finestra
e dicevo: “Attenzione, attenzione, è l’ora del militare. Qui è
l’Eiar, canta Rabagliati”; tant’è che cantavo le canzoni per cercare
di…Allora tutti, dopo, insieme si cantava, dopo sa e almeno per un’ora
la cosa passava…eccola, era un po’…poi la sera si diceva il rosario.
Sicché la Repubblica Sociale si è fatta sentire subito;
cioè svariati i campi di Wietzendorf, vennero in giro…vennero in
giro a dire che chi voleva … sicché io devo dire subito al campo
di Wietzendorf vennero subito, le richieste…eh, qualcuno ci andò.
Dopo la guerra si è saputo che un convoglio, riuscirono a fare
un convoglio non so…di trecento-quattrocento persone, arrivò fino
a Verona; quando arrivò a Verona, il treno che non era scortato
dai tedeschi…il treno risultò vuoto, perché erano scappati
tutti!
Quindi i tedeschi dopo… Era Mussolini che aveva detto che chi voleva andava
nella Repubblica Sociale, lo portavano in Italia, venivano messi secondo
i campi da dove provenivano; e difatti erano andati quattrocento non so
quanti erano, ma più che per …lo dimostra il fatto che quando arrivò
il convoglio a Verona era vuoto, erano scappati tutti, chi a destra chi
a sinistra.
Allora i tedeschi fecero ancora la richiesta, ma dovevano restare in Germania
e furono marcati anche. Uno di quelli che venne marcato nella spalla,
un timbro, qualche cosa; ma per la disperazione: qualcuno andò
per la disperazione, per il mangiare, ma non ebbe seguito…non ebbe seguito
perché…niente.
Poi più tardi venne fuori che c’era una delegazione italiana che
per assistere i militari internati e compagnia…però da noi, da
noi, noi proprio…noi come Max Mueller arrivò ben poco, arrivò
qualche pacchetto di sigarette, arrivò quattro - cinque paia di
pantaloni, qualche camicia, ma poi non si vide più niente.
Questo è quello che fecero la Repubblica Sociale, che poi non,
non abbiamo visto più. So che c’era una delegazione in Hannover;
anzi io ci devo avere un documento dove scrivevo, mi lamentavo, perché
non c’era niente, ma non han mai, mai dato niente. Questo è quello
che ha fatto la Repubblica Sociale.
Per il resto, niente.
Vestiario era quello che era. Mi ricordo che io, a un bel momento, ah,
a un bel momento c’erano i francesi che facevano mercato con gli olandesi;
cioè venivano dagli italiani, chi aveva orologi, chi aveva anelli
e davano in cambio, gli davano il pane, davano margarina, gli davano una
scatola di carne. Io so che io diedi via quasi tutto. Cioè avevo
un orologio. Lo avevo dato via; poi avevo la cappotta cerata, l’ho data
via; poi ho dato via la cappotta di panno, anche quella. Ero rimasto solo
così. A un bel momento anche i pantaloni andati; allora i tedeschi
lì del campo han fatto arrivare i pantaloni dei prigionieri russi,
un po’ mi si erano spaccati i pantaloni, la parte posteriore e allora
avevo dovuto mettere un pezzo; e allora per cucire, siccome non c’era
il cotone, allora si cuciva col filo elettrico. Col filo elettrico si
cuciva, benché che ogni tanto il filo elettrico si rompeva, quando
si sedeva si sentiva la puntura, faceva saltare per aria.
E tutti così eravamo. Eravamo tutti stracciati…tutti…Non si poteva
andare in Hannover…come si faceva ad andare ad Hannover tutti conciati
che non ci lasciavano entrare? Loro prendevano anche quei biglietti lì.
A parte che non davano niente da mangiare: davano verdura, davano le rape
cotte, davano qualche patata, davano le verze, verze ce n’era un po’ …un
mucchio di verze e basta; non c’era nient’altro.
Ecco, succedeva questo: che di notte nei turni di notte, quando lavoravamo
di notte, perché là ci facevano lavorare giorno e notte,
anche là a turni. E c’erano al sabato sera quelli che stavano fuori
di Hannover…quelli che ho detto prima requisiti dalle varie province e
mandati lì, al sabato sera, al sabato andavano…. Al sabato mattina
andavano a casa e la sera non c’erano; e allora lì davano una pappina
bianca con dentro orzo e dentro qualche cosa. Allora lì in mensa
cresceva quella cosa lì e allora che davano, davano con i buoni
lì ci davano cinque o sei piatti anche. Ma non si sa cosa c’era
dentro, per il fatto che quando mangiava quel coso lì, doveva mettersi
al gabinetto, scusi eh, continuava ad urinare perché faceva urinare
da matti.
E l’unica cosa che ho vista buona era quella.
Per quanto riguarda malattie, eh, molte malattie erano…polmoniti, nefriti
e tubercolosi. Molti, molti nefriti: gente che si alzava al mattino tutta
gonfia, Una volta uno dell’Hanomag l’hanno ucciso loro. Cioè era
un alpino e ebbe uno stato febbrile molto alto trentotto-trentotto e mezzo:
niente da fare, doveva andare a lavorare, fare cinque chilometri e tornare
indietro; erano così i tedeschi! Fatto si è che un bel giorno,
a un paio di chilometri di lì, è stramazzato per terra;
loro lo han tirato su, l’han portato in baracca e poi l’han messo in fila
per far prendere quel pochino di acqua e così, quando è
arrivato, per fare il gradino è inciampato…è caduto per
terra, ha perso i sensi e non si alzava più. “Aufstehen, aufstehen!”
(alzati, alzati!); continuava a gridare il tedesco… Quello ci è
arrivato uno col calcio del moschetto giù a dare cose…ma una furia
addirittura …è indescrivibile! Sembra impossibile a raccontare,
sembrano cose… Il fatto è che poi uno di loro, dei suoi soldati
è andato lì…l’ha strappato via…così…avrà detto
“Cosa continui a picchiare?” infatti alla notte morì. Morì,
mi ricordo che lo misero lì nel gabinetto per terra, la mattina
vennero e lo portarono via.
E loro non avevano fini, non avevano fini perché…ma una crudeltà
che era incredibile! Era incredibile! Quando fui chiamato…ah: una volta
venni chiamato perché facevano le schede di chi era stato che la….
E pare che io abbia avuto una… Allora quando ero nel Mar Nero…e noi siamo
andati, la Marina andò nel Mar Nero nel ’42, ’43: c’erano i Mas
e c’erano i mezzi d’assalto e c’erano i sommergibili tascabili. Ero sui
Mas. Allora mi chiesero perché…allora io dissi la verità…non
è che ingigantii il fatto…Dissi che i tedeschi si son trovati.
“Perché siete andati nel Mar Nero?”; mi diceva; era uno dell’Alto
Adige o di quelle parti lì, perché parlava troppo bene l’italiano
e “Perché siete andati lì?” Perché i tedeschi a un
bel momento avevano occupato tutta la Crimea, ma Sebastopoli aveva resistito
e non cedeva, dato la configurazione terrestre, dato che dal mare…Non
c’era nessuno nel Mar Nero che lì…ecco…arrivavano rinforzi…arrivavano
munizioni, viveri e tutto, quelli continuavano a resistere. A un bel momento
i tedeschi son venuti a sapere che, in attesa degli aiuti degli americani,
avrebbero sbarcato una forza forte lì a Sebastopoli, e avrebbero
tagliato i tedeschi in due. I tedeschi allora non sapevano a che santo
votarsi. Allora Doenitz e Reader che erano i due Ammiragli tedeschi avevano
vista la sfilata di Napoli, avevano visto questi Mas, che erano imbarcazioni
velocissime e facevano circa novanta chilometri all’ora; ci avevano due
siluri, una mitragliera e allora chiesero alla Marina italiana di inviare
dei Mas. Difatti inviarono i Mas. Coi camion arrivarono fino a Vienna,
a Vienna li misero giù, fecero tutto il Danubio, a Costanza li
riarmarono, misero i motori e tutto e andammo a Yalta.
A Yalta…io sono stato un bel po’ a Yalta; ho visto anche la villa dove
si è riunito Roosevelt…ci ho anche la fotografia…Roosevelt - Stalin…eccola,
e lì i Mas cominciarono a tagliare la strada ai russi. Ai russi
non arrivavano più rinforzi…non arrivavano più viveri, dovettero
cedere e questo dissi al tedesco, le precise parole “con l’aiuto dei Mas
e della Marina italiana presero…” “Lei sta contando un mucchio di fandonie!”;
“No, guardi che…”. Il comandante Mimbelli, che adesso c’è una nave
che porta il nome di Mimbelli nella Marina italiana… Il comandante Mimbelli
ebbe la Croce di ferro tempestata di brillantini dal comando tedesco;
e tutti ebbimo la Croce di ferro, anch’io l’ho avuta, perché no,
dovevano darmela e poi invece siamo rientrati e non l’abbiamo vista più,
eccola… Rimase lì e guardi che io sto dicendo quello che è
la verità, se non ci crede, pazienza, non… I tedeschi lì
nel Mar Nero hanno avuto…tanto è vero che poi ci mandarono nel
Mar d’Azov, perché volevano andare nel Caspio…tanto è vero
che poi i tedeschi volevano altri Mas ancora, ma eravamo già nel
’43, già in declino, l’Italia era già…ha preferito il Governo
italiano cedere i Mas ai tedeschi… I sommergibili tascabili furono dati
ai rumeni e i mezzi d’assalto invece erano già rientrati alla fine,
alla fine del ’42. Alla fine del ‘42 rientrarono in Italia. Quindi i tedeschi
avevano un’alterigia… Loro si credevano i padroni in terra… “Deutschland
ueber alles”; loro dicevano e niente. Questo era, era quello che pensavano
i tedeschi.
Poi altro…viveri niente, non ci davano niente.
Ah, una volta ci diedero un cucchiaio di zucchero. Un’altra volta ci diedero
un cucchiaio di marmellata; ma solo due volte, sia l’uno che l’altro;
poi non abbiamo mai visto niente e i viveri sono sempre stati così;
siam passati come i civili tedeschi, ma i viveri, il mangiare era sempre
uguale. Solo che là a Freden (Leine) c’era tutta la campagna perché
era un posto eminentemente agricolo e allora si andava per patate, si
andava per patate. Le dirò una cosa, un fatto che l’ho rischiata
bella anch’io, perché loro le patate non facevano come noi; noi
si andava per la campagna, si vedeva ‘sto cumulo che sembrava il cumulo
che ci sono nelle campagne lombarde di letame nei prati. Solo che lì
un bel giorno, dato che una domenica si camminava lì, vediamo che
arriva un carro, non si sa chi…e li tiran… e c’erano sotto le patate;
quanto mai! E allora noi ogni tanto si andava, si faceva un buco e allora…
un bel giorno c’era lì ‘sto cumulo: “Allora stasera andiamo”, che
infatti eravamo in tre: io e un altro e un altro che si è messo
dall’altra parte della strada per vedere se veniva il russo, se veniva
il tedesco; e allora dai…quel là invece di guardare se veniva il
tedesco guardava noi quante patate potevamo mettere dentro e che…a un
bel momento, quando si è accorto, non ha fatto più in tempo…c’era
un cane …e lui: “Occhio, occhio ai tedeschi”; e allora noi via…e lì
si pensava che veniva anche lui…il cane è saltato addosso a lui
e lo han preso. E lui ha detto che erano russi, che lui non sapeva, gli
han detto di andare a prendere le patate, che erano d’accordo col padrone
e si è salvato perché aveva fatto la campagna di Russia
e ci aveva la decorazione anche lui…di Croce di ferro, ma lui ce l’aveva
sotto,ci aveva il nastrino, ci ha fatto vedere il nastrino … e allora…eravamo
già a febbraio…marzo ‘44…del ‘45… allora l’han lasciato andare.
Io lì avevo perso la zoccola, perché le scarpe non c’erano
più…e la zoccola si è infilata lì; quando sono arrivati
gli americani ho voluto andare nel sentiero: c’era ancora la mia zoccola,
dentro lì nel sentiero.
Questo è i fatti, ché per il mangiare era una tragedia proprio.
E non so…tant’è che io sono rientrato in Italia a settembre, ma
ero come le oche, non potevo mangiare: io come mangiavo il mio intestino
non teneva più.
Era rientrato all’Alfa?
Era una colite, mi han detto cos’era; tanto è
vero che mi davano delle punture da fare; la pressione era cento… Tanto
mi girava la testa e son stato per un anno ancora in condizioni…Però
camminavo, però il mangiare sempre cosa non liquida, mangiare riso,
riso asciutto, mangiare biscotti; tutte cose per poter camminare; tant’è
che io dovetti, quando rientrai dalla Germania, non potei più rientrare
all’Alfa Romeo, perché l’Alfa Romeo era in crisi: Mi ero liquidato
e non avevo più nessun diritto; allora i miei genitori avevano
bisogno di soldi e mi ero liquidato; quindi andai in un’impresa edile,
facevo da fattorino, facevo un po’ tutto, insomma. Dopo feci le scuole
serali, feci la licenza commerciale, feci il primo anno di ragioneria;
poi entrai nell’Azienda Tranviaria e non potei più continuare,
altrimenti avrei fatto ragioneria.
Questo è tutto l’esito della Germania.
Però, torno a ripetere. Sì, sono pieno di artrite, perché
sono stato operato a quest’anca e questa…bah…mi fa male, ma la lascio,
a ottant’anni non la tocco più; e ogni tanto ho la cervicale che
mi dà noia; ma son tutti malanni che non mi danneggiano intanto,
molto come altri; torno a ripetere, il mio amico A. lì…è
là, su una poltrona che non si può più muovere ed
è fuori anche di testa; quell’altro che sta giù nelle Marche
ha avuto due volte la paresi e non sta bene.
Siamo rimasti in cinque. Nel ’70 io feci il raduno, siccome ero presidente
dei marinai, aveva una bella sede lì a ..…e quelli di Milano c’erano
due o tre: “Fai il raduno!” E provai: una cosa miserevole, proprio perché
andai a telefonare…a sentir dire: “No, è morto; no, non c’è
più; no, è morto” e ci siamo trovati in venticinque o ventisei;
e poi, anno per anno, sono andati anche gli altri.
Quindi io come posso…non mi lamento, mi tengo i miei malanni e ringrazio
Dio di essere qui ancora e di poter avere almeno la mente libera, la mente
di poter ragionare. Ecco, ogni tanto la memoria se ne va, ma quello è
anche il viale del tramonto che, purtroppo, alle volte porta via anche
quello.
Questo è tutto.
Va bene; la ringraziamo. Arrivederci!
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