Como 27 gennaio 2003.
Intervista al Sig. F. Giorgio, Milano, 1922.
Marinaio nella IV° Flottiglia Motosiluranti, IMI.
Catturato a Salonicco, deportato a Wietzendorf, Hannover-Langenhagen e Freden (Leine), lavoratore coatto nella ditta bellica Max Mueller.

 

Ci dice qualcosa della sua giovinezza?

Sono nato a Milano nel 1922 da una famiglia comune, cioè: padre che faceva il vetturino, la mamma casalinga, ammalata di cuore anche, e avevo due fratelli, uno del ‘13 e uno del ‘22. La mia vita è iniziata molto presto in quanto la famiglia si trovava nelle condizioni un po’ disagiate e a undici anni ho cominciato il lavoro. Facevo il fattorino, andavo in giro perché allora si usava molto i servizi a domicilio e poi a dodici anni sono andato in una pasticceria - bar. Qui iniziavo la mattina il lavoro alle sette e andavo a dormire alle dieci, questo fino a quindici anni quando sono entrato all’Alfa Romeo e ho fatto l’apprendistato e poi a sedici anni ho iniziato a fare undici ore di lavoro, una settimana di giorno e una settimana di notte.

 

Quindi niente scuola?

Scuola: sono arrivato alla quinta, poi ho fatto la sesta e la settima serale, che l’ho fatto in tempo dai quattordici ai sedici anni, quando i turni di lavoro mi permettevano di andare a scuola. Avrei voluto continuare, purtroppo dopo non si è potuto, in quanto l’Alfa Romeo non dava i permessi e quindi dovevo fare… facevo undici ore al giorno dalle sette di sera alle sette di mattina, la settimana dopo e viceversa. Questo l’ho fatto fino al febbraio del 1942, che nel frattempo all’Alfa Romeo mi avevano mandato alla scuola di motorista navale, dietro pressione del governo naturalmente, allora c’erano i famosi avanguardisti e c’era la scuola premilitare, si usava così, e m’han mandato alla scuola Feltrinelli dove ho fatto un corso di motorista navale. Nel frattempo tra il lavoro e la scuola ho praticato l’attività dello sport dell’atletica leggera, che ho fatto da quindici anni fino al giorno che sono andato in Marina.
Direi che, nel discorso che continuerò, la mia salvezza dalla Germania è stato dovuto proprio a questo sport. D’inverno le corse campestri, d’estate corse su strada, marcia di montagna hanno irrobustito il fisico.
Sicché a febbraio… a marzo della…, il dodici marzo del 1942 mi presentavo al deposito di La Spezia dove di lì venivo imbarcato sul pontone Anteo; in questo pontone Anteo sono stato fino a maggio, a maggio m’hanno mandato sui Mas e a giugno sono andato, sono andato nel Mar Nero per una missione speciale nel Mar Nero della Marina. Coi Mas, sempre coi Mas, son stato dal ’42 al ’43. Nel frattempo dal Mar Nero sono andato anche nel Mare d’Azov dove dovevamo andare nel Caspio, poi c’è stata la controffensiva russa. Il disegno è stato cancellato in quanto che l’avanzata dei russi non lo permettevano più. A maggio del ‘43 furono ceduti i Mas ai …ai tedeschi di una convenzione che fece il governo italiano e noi… E io rientrai in Italia, ebbi un mese di licenza e rientrai a luglio a La Spezia. Il 25 luglio fu la caduta del fascismo, a metà agosto venni chiamato, ero a La Spezia al castello di Lerici, mi fu comunicato che avrei dovuto andare in Grecia nell’Egeo alla IV° Flottiglia Motosiluranti; questo avvenne alla fine di agosto. Feci una scappata a Milano a trovare i miei genitori. C’erano stati i famosi bombardamenti di agosto a Milano, trovai una situazione disperatissima perché c’era tutto distrutto; mi ricordo che da Genova arrivai a Porta Romana perché la Centrale non funzionava più. Alla sera per partire, per andare a Venezia dovetti andare alla stazione Lambrate accompagnato dai miei genitori. Ricordo che trovai i miei genitori in condizioni disperate, tanto è che io avevo ricevuto duemilacinquecento lire dal Comando di La Spezia che erano stati i soldi che mi spettava della campagna di Russia, in quanto là non pagavano, e allora lasciai giù tutti i soldi ai miei genitori. Partii da Venezia ai primi di agosto….al nove di settembre. Nel frattempo la tradotta dovette fermarsi parecchie volte perché c’erano attacchi dei partigiani sulla linea. Arrivammo al nove di settembre a Salonicco, però in precedenza, in piccole stazioni c’erano i partigiani che erano vicino alla stazione; la tradotta si fermava nelle stazioni. C’erano i partigiani, quelli in borghese che curavano tutto e ci avevano detto: “Guardate che da Radio Londra han detto che stanno firmando il Patto, la fine della guerra, quindi scappate, andate via”. E allora il comandante della tradotta continuava a mettersi in collegamento con Atene e con Venezia per sapere quello che doveva fare, ma là non sapevano niente. Questo è notorio a tutti che Badoglio fece l’armistizio in una maniera pagliaccesca addirittura. E allora arrivammo al nove di settembre, si arriva a Salonicco stazione, ed ecco la scena che…a fianco, ai due lati v’erano tutti i soldati tedeschi armati, puntati, e c’era anche un carro armato. Un bel momento il treno si ferma, i tedeschi vengono su, dicono la… : “L’Italia ha firmato la pace con gli inglesi e gli americani, adesso voi ritornerete in Italia a Venezia e a Milano, e vi mandiamo tutti a casa perché non fate più la guerra”. Ma la notizia fu accolta un po’, un po’ sulla… perché dei tedeschi c’era poco da fidarsi. L’avevamo capita un po’, un po’….nelle persone alle volte subentra un qualche cosa che dà dei presagi non troppo simpatici. Difatti riconsegnammo il tutto e tornammo indietro col treno, sempre col treno, che erano vetture di terza classe con le panchine; tornammo a Belgrado, a Belgrado lì, quando fu verso mezzogiorno, la una, ci dissero che quei treni lì dovevano servire per portare i feriti e i malati in Italia, noi dovevamo andare sui vagoni bestiame. Infatti andammo sui vagoni bestiame, cinquanta per vagone, anche di più forse, e lì fummo ammucchiati lì, ma c’era sempre la speranza che la nostra sfiducia verso i tedeschi non fosse reale. Invece purtroppo c’era su della gente che aveva fatto i viaggi avanti e indietro dalla Grecia in Italia, han detto domani, stanotte o domani mattina vedremo subito, perché nel contempo i soliti partigiani col martello in mano facevano finta di picchiare le ruote: “Guardate che vi portano tutti in Germania, l’ha detto radio Londra, andrete tutti in Germania”; e non si sapeva cosa fare. Infatti l’evento fu quello: quando fu un bel momento tutti a guardare fuori dallo spioncino, perché alla una…alle due di notte trac…trac…ci chiusero dentro. E allora non si poteva neanche più guardare; e allora siamo… ad un bel momento c’era su due, tre anziani, han detto: “Qui si va in Germania”; difatti così fu. Ci aprirono un due o tre volte, ci buttavano dentro dei pezzi di pane e bisognava, tanto è un particolare un po’… Dovemmo fare un buco dentro nel piantito della vettura per poter fare i nostri bisogni, perché non si poteva e finché arriviamo a Wietzendorf, campo di concentramento. E si scende tutti, a un bel momento scende anche il maggiore degli Alpini, anziano, aveva sessanta anni o sessantun anni, e guarda: “Wietzendorf no!”; trac e cade per terra, cade per terra, noi a correr lì a tirarlo su, il tedesco….lì capimmo, col fucile: “Aufsthen…Raus” (alzati, fuori); continuava a dire di alzarsi. Finalmente ‘sto pover’uomo si alza. “Maggiore, cos’è successo?”; “Qui sono stato prigioniero nella prima guerra mondiale!”
E fu vero, fu vero perché quando entrammo dentro in queste baracche, sui muri c’era scritto…per fare un esempio: “F. Giorgio, III° Reggimento, classe 1890, B. Giovanni…”. Era tutta piena di queste scritte, e c’era ancora. Quando siamo entrati, era già pieno il campo di Wietzendorf, era già pieno. Quelli che erano lì ci avvisarono: “Guardate, guardate che i tedeschi vi portano via tutto, non vi lasciano in mano niente”. E allora io che ero della Marina avevo un zaino grossissimo, pieno di vestiario, perché la Marina dava diverse divise di tela, di…, e poi avevo un altro zainetto; quando sono entrato in baracca cosa ho fatto? La mattina si doveva passare con i bagagli e allora ho messo su prima una divisa di tela di lavoro di sopra, la divisa di panno blu, poi la giacca, il giaccone, di sopra la cerata, poi piene tutte le tasche, piene di calze di fazzoletti, tutto quello che si poteva tenere. Infatti come passammo davanti, ci portarono via tutto; a me mi lasciarono solo la valigetta che c’era dentro il necessario per la barba, cose così…il resto portarono via tutto. Ci misero dentro in uno sgabuzzino: fotografie, impronte digitali, e poi c’era là uno che parlava in italiano, mi domandava da dove venivo, cosa avevo fatto e allora mi disse: “Come… ma lei è meccanico?”; “Sì”. “Dove ha lavorato?”; “Alfa Romeo”. “Va bene, bene, Alfa Romeo, sì”, poi via. Poi l’undici di ottobre ci hanno caricato su un camion, che eravamo in un centinaio, ci portarono ad Hannover Langenhagen, che c’era un campo con tutte le baracche di legno, quelle tedesche che usavano loro, la “Stube” loro la chiamavano, e ci misero dentro lì, ci misero dentro lì e, e purtroppo dentro lì c’erano già stati degli altri prigionieri. Alla mattina cominciò il primo…la prima tragedia che quei castelli di legno là erano pieni di insetti poco simpatici. Io che ero stato in Marina sempre in pulizia, alla mattina cominciai a… ed ero pieno di insetti già da allora. E loro ci portarono in fabbrica. Nel frattempo che eravamo in colonna per andare dentro lo stabilimento, la Max Mueller, che faceva mitragliere di Marina, c’era una fonderia coi lingotti, e facevano le bombe. C’erano le presse, andavano sotto i lingotti e venivano fuori le bombe, adesso di artiglieria non me ne intendo, erano proiettili, venivano fuori di lì. E allora nel tragitto fummo colpiti da sassi da gente che passava: “Badoglio, scheisser Badoglio!”. Buttavano addosso i sassi, venivano a darci spintoni: “Siamo a posto qui!”.
E di lì ci misero in fabbrica e ci misero a lavorare tutti insieme, o a chi e perché, anche da accertamenti, l’ottanta per cento degli italiani che furono presi dai tedeschi erano tutti personale che aveva un lavoro in mano, chi la Siemens, la Volkswagen, la Hanomag che faceva i camion e i panzer, erano tutti …tutta gente che lavorava sui torni, sulle frese, sulle rettifiche come lavorai io perfino nei tracciatoi c’erano. E lì ci han messi tutti a lavorare, e guai chi non lavorava; ogni tanto veniva: “Los, los, fate in fretta, los, los!”; e…niente, undici ore di lavoro.
La vita nei campi era una tragedia sola, guardi, perché di notte c’era un capo campo… Noi eravamo in Hannover, Germania del nord, terra bruttissima, sempre acqua, neve, pioggia, scuro, buio. Era deprimente anche l’ambiente, deprimente! In più alla una di notte… alle due di notte ci facevano alzare, ci mettevano lì nel cortile e lì in tedesco continuava con contumelie a destra e sinistra: “Badoglio, scheisser!”; e poi ci mandavano a dormire. Alla mattina c’era l’altra tragedia per mangiare, perché la cattiveria dei tedeschi… Davano un filone di pane da dividere in undici, quindi non…sembra un non senso, sembra una cosa non vera: metro alla mano, misurare, dividere, per sapere quanto la fetta doveva essere larga: era una fettina piccolina ad ogni modo e, peggio ancora, davano un pezzettino di margarina non da dividere in dieci, in undici, no, in quindici, diciotto, un pezzettino di margarina non riusciva neanche a coprire la fetta di pane non riusciva! E fino alla sera basta, niente. Alla sera, quando si rientrava, ci davano tre quarti di acqua con dentro dei pezzi di rape e questo era il nostro sostentamento. E questo lo abbiamo fatto dall’inverno del ‘43 e venendo al ‘44. Fu una tragedia, guardi! Una tragedia perché prima di tutto più che il mangiare, più che il lavoro, era il pensiero della famiglia. Noi ci avevano portato via, la nostra famiglia non sapeva dove eravamo, a casa i genitori cosa pensavano, non avevano nessun indirizzo, nessun niente; questo è durato fino alla, alla primavera del ’44; questo era il nostro pensiero.
Perché c’era chi…chi aveva la famiglia, come io ci avevo la mamma malata di cuore, un fratello sposato con tre figli piccolini, la maggiore, il maggiore ci aveva sei anni, era sui campi d’aviazione come, come meccanico, non a militare, era militarizzato, lontano dalla famiglia nei campi d’aviazione dove c’erano gli apparecchi che venivano a bombardare; il secondo che era del ’18 in Marina anche lui e…e lei pensi a casa; era un pensiero.

 

Quando avete potuto avere informazioni?

In aprile ci diedero delle cartoline, delle cartoline dove dovevamo anche contare delle bugie. E non si poteva scrivere: “Qui siamo trattati male, non ci danno da mangiare”. Dice: “Cara mamma, non pensare, sono qui, lavoro, sto bene, spero di voi e basta”. Dopo fino a maggio non ci è arrivata la risposta, risposta, immaginare! Però i genitori… Mi disse poi mia madre che alla sera chiudevano tutto, si attaccavano a radio Londra e radio Londra invece diceva che quei poveri diavoli là non ci hanno da mangiare, non danno niente. Infatti mia madre riuscì a compilare quattro - cinque pacchi; perché non c’avevano neanche da mangiare loro, e quindi, quando arrivavano questi pacchi, facevamo il sacrificio, perché era dentro un pugno di riso, un pugno di pasta, c’era dentro un vasettino di Liebig; e allora cosa si faceva…. Noi milanesi che eravamo in quattro o cinque, la margarina la mattina non la mangiavamo, perché la domenica sulla stufetta che c’era lì, facevamo il risotto e lo condivamo con la margarina che avevamo avanzato tutta la settimana che non riuscivamo a mangiare. Lei deve pensare che un piattino di riso ci voleva mezz’ora, perché non eravamo più abituati a mangiare, si faceva fatica; e si faceva fatica anche a digerire. Questo sempre pieni di pidocchi, alla sera c’era da spidocchiare, c’era… Perché eravamo pieni, si camminava coi pidocchi piuttosto che con la nostra cosa… e questo i tedeschi non…. Volevano umiliarci; non ci hanno umiliati perché noi non ci siamo mai umiliati a fronte i tedeschi. E poi facevamo il sabotaggio intelligente; è una cosa un po’ ridicola per il semplice fatto…mi scappa da ridere perché era una soddisfazione. Si montava i carrelli delle mitragliatrici e tutto l’automatismo, c’erano cinque italiani a montarli e c’erano sette - otto tedeschi ; poi ogni tanto veniva l’ufficiale di Marina, li portavan fuori, li provavano. E allora, non sempre, ogni tanto, si prendeva… perché ogni, ogni pezzo c’era un bollino con la sigla di chi li faceva, e allora noi, intanto che loro facevano il Fruehstueck (colazione) alle dieci e trenta, cioè mangiavano la fettina con…bevevano la birra, quello che è, noi si andava, si tirava via una spilletta, si smollava un dado così…e allora portavan fuori quegli italiani, l’ufficiale là che era in Marina, veniva là: “Italiani, gut”; sentivo che prendeva quel tedesco “Scheisser!”; una ramanzina, un cicchetto, perché trovava che non funzionava e tutte le volte era un tedesco che non funzionava; questo era per noi una grande soddisfazione di vedere questi tedeschi… E…niente. Si continuava, si continuava, ci sono stati i bombardamenti. La mentalità del tedesco, una cosa orribile, guardi!
Bombardamento di Hannover; perché l’Hannover vecchia era legno e cemento, quelle case che fanno nel nord. E al mattino andiamo in fabbrica e c’è lì il mio operaio che lavorava insieme a me e gli dico: ”Hans, americani?”; “Ja, ja meine pater, schwester, mutter, alles kaputt” (Sì, si mio padre, sorella maggiore, madre, tutti morti). Erano morti sotto il bombardamento, andava lì e lavorava, cantava e lavorava. Io non…non lo so, ecco: questa era la guerra della Germania, poteva continuare; erano fatti tutti così i tedeschi; erano gente che per la guerra, per Hitler erano… Devo dire che è una cosa che è vera questa, che Hitler è stato capace, come Mussolini, di drogare i tedeschi, nel senso che lui ha portato gli operai tedeschi al massimo livello: sport, spettacoli, turismo in grande stile; e allora i tedeschi, già che avevano da lì il coso della super, della superiorità “Deutsch Ueber Alles”, tutti superiori a tutti, loro! Poi la cintura qui con su che “Dio è con noi” anche, poi magari ammazzavano i bambini! Va beh, era una mentalità così, i tedeschi potevan fare. Tante volte mi son domandato, domandavano ma come han fatto tutti i tedeschi a fare la guerra, l’han fatta! Li ha addormentati, li ha drogati; ha capito che il tedesco era portato alla superiorità, alla guerra e…e li ha trattati bene; li trattava bene, questo…era questo!
Quando poi al mese di settembre venne fuori un comunicato, che sto cercandolo, qualcuno deve averlo, ho scritto a destra e sinistra…dove diceva che il governo germanico dal primo di ottobre, o primo di settembre, adesso la data precisa non me la ricordo, gli Internati Militari Italiani saranno pareggiati ai civili tedeschi. Difatti tirarono via le guardie, misero lì i legionari del popolo, quelli in borghese, ma soldati non c’erano più; però non c’era più quella disciplina; però il mangiare era sempre quello, il lavoro sempre quello, stracciati sempre; pidocchi pieni, non si poteva neanche andare…come si faceva ad andare in Hannover conciati come eravamo! Quando c’erano i bombardamenti che s’era in città, dentro nei bunker non si poteva andare, noi dovevamo stare fuori appoggiati ai muri. La ditta mia fu trasferita a Freden (Leine), sulla strada che da Hannover porta a Kassel; lì c’era un oleificio, l’oleificio [Brauns]; e lì in mezzo misero dentro, misero dentro tutte ‘ste…fabbricati, quelle delle mitraglie, perché la fonderia rimase a Hannover, e lavoravamo, lì si lavorò. Quando il mese di marzo, il mese di marzo del 1945 io andai giù ad Hannover, al campo a vedere se c’era della posta per noi, invece non c’era più niente, c’era già lo sfacelo.
In quel frattempo venne il bombardamento. Noi fummo bloccati; eravamo in tre, fummo bloccati per attraversare il centro; finalmente si riuscì attraversare il centro.
Arrivammo…questo è un fatto…anche questo che fa denotare il carattere dei tedeschi…C’era un palazzo che bruciava, sotto c’era un prestino pieno di pane, di quei pani lì, allora c’era lì tutta la gente: “Dateci il pane!”. “Nein, nein”. Non... ci voleva …tac il biglietto…niente; e non c’era …a un bel momento, dai, dai, bruumm…è crollato tutto e son rimasti sotto tutti. Questo… noi eravamo lì sul camion coi tedeschi, finalmente riuscirono a passare, andammo, andammo con la ferrovia e rientrammo a casa. Nel frattempo, lì nel campo dove eravamo noi a Freden (Leine) c’era stati dei caccia inglesi e americani che avevano mitragliato, buttato giù manifestini. Fu lì che seppimo che i tedeschi erano in ritirata perché non si è mai saputo niente, si continuava a lavorare… A un bel momento, alla fine dopo, la settimana dopo lo stabilimento cessò. Cessò perché ci mancavano i pezzi, non si poteva montare; eravamo lì tutto il giorno.
Poi cominciammo a vedere le colonne che venivano dall’Olanda e dal Belgio, perché noi eravamo in Hannover in prospettiva. E tutti armati, tutti ‘sti soldati con ‘sti italiani che arrivavano, e niente… A un bel momento la tragedia, proprio arrivavano tutti sbandati, tutti… Non c’erano più neanche i soldati tedeschi, e ‘sti italiani che ci chiedevano: “Date, date da mangiare”. “Non ci abbiamo neanche noi da mangiare!”. Non ci davano più niente. Si mangiava lumache che si prendevano nei prati, le patate si andava a scavare, perché loro prendevano la macchina per sterrare le patate e quelle piccoline rimanevan dentro. Si mangiava quello con l’insalata: ‘ste lumache mezze cotte e mezze crude che si ingoiavano…sembrava che fossero sul tram, biglietto di andata e ritorno, perché a un bel momento tornavano su e…non si riusciva a mandarle giù perché non c’era né condimento, non erano cotte. Era una tragedia!
Finalmente l’otto di aprile io avevo organizzato delle squadre per andare nei negozi di questo paese, loro erano armati. Noi ci siamo riuniti una sera, abbiamo detto: “Prendiamo dei bastoni e li prendiamo a tradimento dove ci sono la [Wastrum] diamo una bastonata e poi andiamo”. E allora difatti eravamo andati giù con un carrettino, proprio dove c’era l’Eine il fiume, c’era un ponte. Lì a un bel momento arriva un camion, un camion che guarda…..tedesco piglia e va; dopo un po’…brum…brum… vediamo un terribile carro armato. “Oh Dio, sono ancora qui i tedeschi; guardate un po’ cosa facciamo adesso?”; “No…no…non è tedesco, c’è su la bandierina, c’è su la stella bianca”. E allora ci siamo avvicinati coraggiosamente e lì vien fuori un ufficiale. Era americano dice… domanda e noi diciamo: “Italiani!”; quello non capisce l’italiano, noi non comprendiamo l’inglese; e allora a un bel momento salta fuori il salvatore della patria, solito italo -americano, era di Salerno poveretto. “Guagliò neh, che fate?”.
E allora spieghiamo che siamo… abbiamo fame, non ci abbiamo niente da mangiare e lui dice: “Il ponte è minato?”. “No, è passata tutta la gente…sotto qui non c’è niente sotto, potete passare”. Allora a lui…’sto poveretto va giù e porta su due cartoni, cartoni di viveri che avevano loro, di soccorso, quando non hanno da mangiare. “Prendete questo, però andate dentro, guagliò, ritiratevi che quelli vengono e poi vi ammazzano tutti”. Allora difatti via; difatti dopo un’ora è passata questa colonna che era la colonna. Patton, sì, e difatti dopo si è sganciata una jeep, è venuta lì e quando è venuto dentro in baracca e vede ‘sto latte con ‘ste lumache che escono fuori…è stato…”Lì, buttate via tutto”; e dopo ci hanno aiutato, ci hanno dato… E’ cominciato arrivare …e poi due giorni a fila a curare tutti ‘sti italiani, visitarli tutti. Difatti una quindicina furono portati via perché erano in condizioni disperate, dei quali cinque dei nostri che morirono in Italia nel ‘46-‘47. Questa è stata la liberazione. Che poi dopo non potemmo rimpatriare, in quanto che i ponti erano tutti distrutti. Gli svizzeri negarono il permesso di passare, nonostante che gli americani gli avessero detto: “Chiudiamo nei vagoni e passiamo, non ci fermiamo, lasciateli passare”; non c’è stato niente da fare. E allora abbiamo dovuto aspettare fino a giugno … a luglio, tanto è vero che io sono stato uno degli ultimi, son rientrato alla fine di agosto…primi settembre ero a casa.
Ecco, questa è stata la… l’odissea; e… devo dire che nel 1970 feci un raduno dei reduci, di quelli che eravamo al nostro campo; si presentarono in venticinque, gli altri non ci sono più. Adesso siamo rimasti in cinque, di cui tre son fuori di testa … e io sono qui ancora; io, non lo so, alle volte penso che il fisico…Forse ho fatto una vita da giovane buona….. non ho avuto vizi; non lo so, non lo so, eccola, quindi non mi lamento mai. E mi è stato detto anche quell’odio…ma dico di no, dico di no perché l’odio non è un sentimento da acquistare; l’odio poi è una qualità negativa nell’essere umano, perché porta sempre delle tragedie, porta sempre delle cose brutte.
Dimenticare? No! Dimenticare no! Dimenticare no, perché soprattutto per quelli che sono morti. Non si può dimenticare, è stata una tragedia, l’han voluta i tedeschi che poi potevan trattarci differentemente.
Guardi, c’era l’Hanomag; faceva i carri armati e ci aveva anche i camion; e c’eran là quelli dell’Hanomag…dovevan fare cinque chilometri di strada ad andare e cinque chilometri di strada a tornare; non davano da mangiare; erano tutti alpini quelli, erano quasi tutti manovali. Cosa ci voleva mettere un camion a disposizione, prenderli e portarli! Non c’era mica niente…era anche una…un beneficio per loro, arrivava della gente un po’ più fresca, un po’ più…non so… non so capire, non so… mah…chi lo sa! E adesso siamo qui anche calpestati nei nostri diritti; non so…
Io direi che è stata una, una Germania così; adesso come si ritiene civile, come si ritiene…, non adeguati…non capire quello che han fatto. Soprattutto quelle ditte…la Volkswagen, se è vero quello che mi hanno detto … La Volkswagen c’era un capannone dove gli italiani costruirono i “maggiolini”; quando è finita la guerra, la signora Volkswagen aveva due capannoni pieni di “maggiolini” finiti dagli italiani. Quindi più che il governo tedesco, erano queste ditte che han portato tutto l’oro in Svizzera… a pensare di dire abbiamo fatto un errore sul pungolo del… è stato il governo a mandarci. Perché dicono che Hitler non ha voluto calcolare come prigionieri di guerra, per forza perché se eravamo prigionieri di guerra, come dicono adesso, non poteva impiegarci a lavorare. C’era un trattato che proibiva ai prigionieri di guerra… E lui l’ha fatto col gioco che con gli Internati Militari poteva farci lavorare; ed erano seicento, settecentomila persone di cui tre quarti era un personale da valorizzare, che poteva rendere. Se avesse fatto prigionieri doveva mantenerli; e forse è stato aiutato anche dalla Croce Rossa Internazionale, in quanto che la Croce Rossa Internazionale avrebbe dovuto aiutare. Nei campi dove c’erano i prigionieri di guerra inglesi, americani, francesi, i quali ricevevano un pacco da cinque chilogrammi tutti i mesi dalla Croce Rossa Internazionale, a parte i francesi…che poi Petain pagava in oro per il mantenimento dei suoi prigionieri; e ‘sti americani …c’era un ufficiale americano che ha fatto la questione per noi, che ci ha detto tutti…ogni quindici - venti giorni arrivava il famoso “Angelo bianco” con su la Croce Rossa e loro andavano lì a vedere se i prigionieri erano trattati bene o erano trattati male. Ora questo americano…italo-americano il quale corrompeva le guardie tedesche; le guardie tedesche andavano e buttavano dentro sigarette e cioccolato nel nostro campo, e allora lui ci ha detto: “Ma a voialtri non viene?”; “No, a noi non viene niente”; “Ma voi siete come…siete militari…che siete col filo spinato triplo, con la guardia, col moschetto, con l’appuntato, col…”. E allora ha fermato ‘sto tenente della Croce Rossa Internazionale…’sto funzionario… “Ma dagli italiani non ci andate?”; “No, perché il governo tedesco…”; “Ah!”. “Ci abbiamo la dichiarazione che ha detto che voialtri siete Militari Internati”.
Quindi noi la Croce Rossa non l’abbiamo mai vista…ché la Croce rossa ha fatto anche un atto che è disumano, perché l’avevamo anche detto …di quelli dell’Italia meridionale. Carissimo signore, sono stati due anni che non hanno mai potuto scrivere a casa.
Lei pensi…pensi il pensiero di quelle famiglie che non…mai; c’è stato delle famiglie…uno che sta vicino a Salerno, ci fosse qui l’elenco glielo dico, che gli han fatto perfino la messa in chiesa, come defunto…come disperso…non c’era più! Tutti i giorni la madre andava in chiesa…pregava per suo figlio che non tornava più… Quello la Croce Rossa Internazionale lo poteva fare…e non l’ha fatto!
Io non sono favorevole neanche alla Croce Rossa Internazionale, perché qualche cosa poteva fare, qualche cosa potrebbe fare anche adesso; e tirare fuori quei documenti dove dice che noi eravamo Militari Internati .
Questo è quello che dico. Esperienza triste, esperienza… Io spero che i giovani non abbiano qua a vedere cose di questo genere; e la guerra è una cosa bruttissima, sia per chi vince che per chi perde. Perché la storia ci insegna che anche finite le guerre, son nate le rivoluzioni.
Perché per far la guerra la produzione doveva cambiare totalmente; finita la guerra bisognava cambiare ancora produzione e andare. E molte volte la stasi era molto lunga. C’erano scioperi, non c’era lavoro, c’era fame, c’era miseria anche in quelli che avevano vinto, quindi diciamo che la guerra non è una cosa utile, per niente, solo per chi disgraziatamente deve difendersi e allora per forza…ma quello che attacca sbaglia sempre.
Questo è quello che posso dire io.

 

Torniamo un attimo indietro. Ci dice com’era la vostra giornata tipo, quando avete cominciato a lavorare ad Hannover, le vostre il condizioni, il tipo di assistenza che avevate, se l’avevate?

Sicché la giornata cominciava alle cinque, perché dalle baracche non si poteva uscire durante la notte, allora avevan messo degli enormi bidoni dove i bisogni bisognava farli lì. Alla mattina ci si alzava alle cinque, c’era la squadra: in due bisognava portare fuori i bidoni, vuotarli nel posto adatto e poi venivano risciacquati e poi portati dentro. Poi c’era la famosa operazione viveri, che portava via del tempo; tant’è che poi c’è stato un momento che ci fu delle risse fra di noi, perché la fame era tanta e si guardava anche il pezzettino. Allora si è passato a un sistema infallibile, cioè veniva misurato, veniva tagliato…poi messo sopra il pezzettino di burro, poi uno si girava e lì quello che ci aveva le cose in mano diceva: “Di chi è questo?”; dice: “Questo è di F.”; “Questo di chi è?”; “Di A.”; “Questo di chi è?”; e via in modo che non c’era più da litigare, perché c’erano state delle risse non indifferenti.“Tu hai quello lì, vedi che è più grosso, e io chi sono che…”. E c’erano anche queste cose qui.
E poi, verso le sei e un quarto, le sei e venti…perché la nostra fabbrica …noi eravamo nel campo di Lagenhagen, a Vinnhorst; era un campo che c’eran dentro milleduecento prigionieri, divisi tutti in varie fabbriche, in vari settori. C’erano queste baracche lunghe, dove c’erano dentro delle altre camere, le “Stube” cosiddette, in legno…tutte di legno; e allora al mattino si faceva in fretta. Non c’eran le coperte, lenzuola, non c’era niente, c’era una specie di pagliericcio con la paglia; e allora si lasciava lì tutto e si usciva, ci si metteva in fila, facevano l’appello e poi ci portavano in fabbrica. In fabbrica alle sette si iniziava a lavorare, ognuno c’aveva il suo posto di lavoro. Insieme a noi lavoravano i francesi; francesi che erano stati presi e portati dalla Germania, quelli erano internati veramente; che ci avevano là la sua …erano liberi cittadini; andavano, venivano, ci avevano i suoi zaini, il suo mangiare, si arrangiavano e tutti lavoravano lì insieme a noi. Insieme a noi c’erano prigionieri russi, i prigionieri russi erano andati tutti ai lavori pesanti; non ne ho mai visti di prigionieri che lavoravano nelle fabbriche…non ho mai visti; lavoravano tutti ai lavori pesanti! Ce n’era qualcuno che era addetto magari al trasporto del materiale, oppure messo lì a pulire le mole, pulire… facevano quei lavori lì. E di altri c’erano gli olandesi e c’erano i belgi, che erano stati presi, ma tutti internati; non erano militari; di militare ce n’era qualcuno francese volontario, che erano sui tracciatori, che erano dei tracciatori che messi lì…e invece di stare nel campo , venivano lì e…non so…forse gli davano qualche cosa … Non lo so; loro avevano i cambi perfino della divisa, quella famosa divisa pesante color caki, molto pesante; ogni tanto avevano il diritto anche del cambio della divisa, prigionieri per modo di dire.
Tragedia nei francesi; tragedia sì, perché loro c’erano della gente che era stata prigioniera nella Prima Guerra Mondiale; poi con questa guerra qui, non avendo personale giovane… E’ successo che tanti ricaddero ancora prigionieri in Germania e erano gente che…Lì nel mio campo ce n’era cinque o sei che, poveretti, avevan fatto la prigionia prima, la prigionia dopo. Solo che loro la prigionia era…che erano lontani da casa. E come torno a ripetere, Croce Rossa, Petain e casa, loro ricevevano i suoi pacchi, stavano bene, il rancio era buono, perché pagava Petain e quindi non avevano…
Altri che lavoravano con noi non ce n’era: c’era qualche polacco, ma quello era un manovale; e nella fabbrica poi c’era anche personale…perché lì c’era anche del personale che veniva da lontano, di Hannover; erano stati reclutati e portati lì, ma lavoravano lì.
E c’erano degli austriaci i quali non erano proprio di carattere…ma erano ben differenti! Ce n’era uno che, quando andava al “Fruehstueck” (colazione), loro gli davano le fette di pane, lui le faceva dentro in un pezzo di carta, poi veniva giù, mi guardava, buttava dentro il cestino di carta queste due fette. Io facevo finta, quando non vedeva nessuno, le mettevo in tasca, andavo al gabinetto a mangiarle per non farmi vedere.
Ecco, questo era qualcheduno, ma altri tedeschi no, c’erano dei tedeschi i quali…il lavoro…guardavano no…no. Ma c’erano quelli che picchiavano, picchiavano per niente. Un certo L. di Torino, il cui papà si era ricordato perché era segretario di Valletta nella Fiat e lui era sergente maggiore; era quello che teneva in ordine noi insieme nel campo così…ma un bel giorno va lì al magazzino a ritirare degli attrezzi. Lui sapeva il francese, ma il tedesco non lo sapeva e quello in tedesco… lui non capisce e fa il sorrisino, ma non per compatimento; quello là non… Come l’ha visto sorridere si è allontanato, è venuto con due tedeschi e gli han dato una fila di botte, non era più capace neanche di alzarsi in piedi! Ma non lì…eh…l’han portato dentro una baracchetta dove andavano i russi quando c’era la sosta, e un bel momento L.…ma L. non c’è più. Arriva la sera e mettono tutti in fila, lì c’è quello che conta…il soldato che deve portare…L. non c’è..
“L.?”. Allora…e allora guarda di qui e di là…allora ci chiama …andiamo dentro in ‘sta baracchetta…era per terra, pieno di sangue…non ce la faceva più. L’abbiamo dovuto raccogliere e accompagnarlo e fare circa un chilometro di strada…più o meno…sorretto e portato in baracca è stato una settimana che non poteva più muoversi dal letto.
Questo erano i tedeschi quando picchiavano. Un’altra volta ne han preso uno perché non faceva produzione, gli han messo un sacco di zaino di cinque chili per fortuna che era un omone della Val Trompia e gli han fatto fare due giri del campo in ginocchio coi cinque chili addosso. Questo erano loro, non scherzavano, quando era…loro picchiavano, loro…e appunto è successo a questo polacco che io…è rimasto impresso nella mia memoria. Perché ci son persone che sfuggono alla nostra mente, forse per la loro pochezza, forse non dicono niente, ci sono persone purtroppo che rimangono impresse nella mente anche scampando come Matusalemme.
Questo polacco era addetto alla torneria: lui portava via i trucioli che facevano i torni su una carriola, poi li portava fuori e li scaricava. E non c’era stato un contatto vero e proprio, però lui tutte le mattine come passava mi salutava, e io ricambiavo il saluto…c’era il berretto…io salutavo…anche lui…ed era piacevole. Mi piaceva vederlo, perché vedevo un uomo che allora aveva circa cinquant’anni, magro, conciato, giallognolo di carnagione, una bocca piccola coi denti di ferro, ci aveva dentro dei denti di acciaio, di ferro, non so cos’era …bianco. Ed era un po’ conciato. Allora un bel giorno nel fare la curva che immette sul vialetto che porta fuori, forse sbilanciato, forse che era debole, la carriola si rovescia, si rovescia per terra e arrivano lì due tedeschi. Una battuta da matti! ‘Sto povero diavolo per terra…poi prima di andare via…pom!…un calcione dentro nella schiena e…via vanno… Io ero lì di fronte, cosa faccio? Prendo uno straccio e lì c’era il lavandino, bagno lo straccio, lo tiro su e lo porto via, lo pulisco tutto e gli dico: “Scheisser”; gli dico in tedesco, francese: “N’est pas bon”. Allora lui: “Nein, nein”; si fa il segno della croce, lo aiuto a pulire, lo aiuto a raccogliere la roba e va fuori. E da quel giorno lì ci siamo trovati nel rifugio; parlava…mi ha domandato dove stavo, di dov’ero; e mi è rimasto impresso…perché a un bel momento dice: “Italia, Santa Cecilia”; “Sì”; dico: “Accademia di Santa Cecilia”; “Sì, ah, bello, Milano, uh! Duomo schoen, bello, buono”. E…ma…dice: “Come fa a saperlo?”; non riuscivo …anche perché la mia cultura non andava al di là dell’italiano…milanese, neanche il bergamasco, e allora cosa succedeva, cercavo qualche parola di francese così…dialettale, più dialettale che francese, e avviene che anche lui lo portano a Alfeld (Leine). Ad Alfeld (Leine) eravamo liberi e andavamo alla messa assieme, la comprensione di questa persona qua… Si sentiva che era attaccato alla religione. Avviene che gli americani portano lì la radio. Poi un bel giorno arriva uno con un piano…”Cosa facciamo di questo piano?…Qui nessuno sa suonare!” Poi erano arrivati due ufficiali della Marina Italiana; allora uno si mette a strimpellare, a un bel momento entra lui, entra Stanislao…guarda: “Nein, uh, George, ich lieben dich”. “Sì, sì”; gli dico all’ufficiale: “Guardi, signore, vorrebbe suonare un pochino, vuol suonare, ma…”. Va al piano, si siede: era un angelo che suonava, perché i tasti che volavano… tutti sorridevano e piangevano. Dopo allora mi viene forza, giocoforza domandare ai suoi polacchi: “Ma chi è questo Stanislao?” Era professore di musica, insegnava a Varsavia, mi pare al Conservatorio di musica e compositore anche. Allora con tre ufficiali che mi facevano da interprete, lui era attaccato a me, perché a me piaceva cantare, avevo una voce discreta; allora accordava il piano e suonava e io cantavo le canzoni in voga, diceva: “Dai, Giorgio”, ma io non ero né Gigli, né niente; cantavo da dilettante, ma a lui piaceva sempre. Ed è nata questa amicizia: la mattina andavamo fuori, andavamo a fare quattro passi insieme, lui contava… E viene il giorno che…purtroppo io devo andare, lui era già partente…domando agli ufficiali…dico: “Dove vai Stanislao? La Polonia è in mano ai russi e tu dove vai?”; dice: “Mah…in Polonia non c’ho più nessuno, andrò forse in America o in Australia…non so”. E allora il giorno della partenza ci abbracciamo e gli dico: “Stanislao, voi polacchi siete proprio sfortunati…russi…tedeschi”! E allora mi disse quella famosa frase che mi è rimasta impressa, perché ha indovinato…centrato in pieno. Lui ha detto: “Guarda, Giorgio che ai polacchi la croce l’han fatta portare molto, ma sulla croce non li hanno mai messi nessuno e non li metterà mai nessuno”! Questo Stanislao ce l’ho sempre in mente, perché è stata una persona…piangeva povero diavolo; ma penso che ormai l’età…sia morto, perché aveva cinquantadue anni allora. Io mi augurerei che fosse ancora…una cosa un po’ impossibile, ad ogni modo un giorno ci ritroveremo senz’altro!

 

Per il lavoro fatto in Germania avete avuto una paga, qualche marco del lager?

No, niente; ci avevano dato dei bigliettini da spendere dentro: 10 pfenning, 25 pfenning; si spendeva per prendere una birra, c’era la Bunker, la Weiss…quella bianca…quella dolce; ma soldi mai, soldi mai!

 

Anche come civili, non avete avuto mai niente?

No, mai, mai. Tanto che è risultato che le ditte erano obbligate…erano obbligate a dare i contributi dei nostri, dei nostri agli istituti tedeschi; pagavano i contributi, ma a noi non abbiamo mai visto niente.
E…niente, ma fuori non si poteva andare, perché eravamo tutti stracciati, non ci han mai dato vestiti; non ci han mai dato niente. Han fatto una volta la disinfezione, ma dopo eravamo pieni; la baracca dopo due giorni eravamo ancora come prima; solo gli americani, col Ddt…vennero col Ddt e ci pulirono. Del resto…niente. Questo è tutto quello che posso dire.
C’erano dei bravi ragazzi, anche in gamba a lavorare, ma non l’han mai riconosciuto. Abbiamo dato uno schiaffo ai tedeschi…sì, abbiamo dato perché nella pressa c’era un tubo di acqua di pressione; un bel momento dove c’era l’attaccatura si è rotta, e allora andò il tedesco per saldare; dopo due colpi si ruppe ancora, allora mandarono lì un olandese…c’era un giro di tutti…allora c’era un bergamasco e diceva: “No, io non voglio responsabilità”; gli ha detto il tedesco, difatti l’ha saldato e forse è lì ancora che funziona adesso. E’ stata una cosa…un bergamasco il quale ha fatto scottare le mani a un tedesco con la storia del parlare, perché lui saldava le alette attaccato a ‘sti cosi e ‘sto tedesco va lì e gli dice: “Kalt?”. Kalt in tedesco vuol dire freddo, in bergamasco vuol dire caldo; e lui ha detto: “E’ appena saldato cocia”; allora brahm!…prende il coso e…dopo lui si è salvato perché è arrivato il tedesco …e lui ci è saltato addosso a quel tedesco qui che si è scottato. “Crapa de boeucc, ma ta l’aveval dit!”...
E’ stato un fatto anche quello. Poi c’è morto un nostro sotto la Continental, dove facevano le gomme. In un allarme aereo è morto, una scheggia l’ha preso in testa ed è morto. E allora lì lui chiese ai tedeschi di prendere i rottami e fecero una corona di alloro tutta lavorata a ferro, era magnifica! Girò per tutti gli stabilimenti ed ebbe gli elogi di tutti.
Assistenza sanitaria non ce n’è mai stata e non ci ricordiamo di assistenza. Tant’è che sul tornio uno si fece un taglio tremendo con la mano, andò in infermeria e lo cacciarono fuori. E lo guarì…sa con che cosa? …Mi dispiace che è, una cosa un po’ delicata… con la pipì…disinfettava con la pipì, perché non c’era niente; dicevano gli anziani: “Prova, prova a urinarci sopra”; difatti è guarito con quello.
Un’altra volta uno andò in infermeria, era di …….. e adesso è in Argentina, ha sposato una olandese che ha conosciuto lì…ed è in Argentina. Era un granatiere alto. Questo, in tempo di bombardamenti e allarmi, guarda te le persone, la fame cosa fa, scavalcava …aveva trovato una di quelle…perché il reticolato era in giro a tutto …il coso…c’era una strada e, a un bel momento, il reticolato era quasi a filo della strada, lui saltava giù…Lui era stato in tempo di malattia che non poteva andare lì perché ci aveva una mano che faceva male…l’avevan mandato nella caserma dei soldati tedeschi, in cucina a pulire…così…e aveva visto. Lui, di notte, quando c’era l’allarme, scavalcava e andava nella caserma…portava via pane e…tutto… e poi tornava indietro e veniva lì. Quello lì, un bel giorno, aveva trentasette-trentotto di febbre, è andato in infermeria e questa qui…la tedesca ha preso la bottiglietta di olio di ricino e l’ha messo in un bicchiere, disgraziatamente per lei era uno di quelli che l’olio di ricino non gli faceva niente…anzi quasi, quasi lui l’ha bevuto…poi ha pulito anche il bicchiere…l’ira di Dio: abbiamo riso per un mese di fila!
Eh, niente…è il fatto che io ho rischiato…ho fatto anche una cosa perché dal momento… lei cosa vuole, la domenica, specialmente quei pochi mesi d’estate che durava lì nel nord, tra luglio, un po’ di giugno e un po’ di luglio…e allora la domenica eravamo tutti in pensiero… perché quando si lavora è un conto, quando si era lì si cominciava a pensare a casa…si cominciava a pensare…sa allora cosa facevo? Andavo fuori dalla baracca, mi mettevo lì alla finestra e dicevo: “Attenzione, attenzione, è l’ora del militare. Qui è l’Eiar, canta Rabagliati”; tant’è che cantavo le canzoni per cercare di…Allora tutti, dopo, insieme si cantava, dopo sa e almeno per un’ora la cosa passava…eccola, era un po’…poi la sera si diceva il rosario.
Sicché la Repubblica Sociale si è fatta sentire subito; cioè svariati i campi di Wietzendorf, vennero in giro…vennero in giro a dire che chi voleva … sicché io devo dire subito al campo di Wietzendorf vennero subito, le richieste…eh, qualcuno ci andò. Dopo la guerra si è saputo che un convoglio, riuscirono a fare un convoglio non so…di trecento-quattrocento persone, arrivò fino a Verona; quando arrivò a Verona, il treno che non era scortato dai tedeschi…il treno risultò vuoto, perché erano scappati tutti!
Quindi i tedeschi dopo… Era Mussolini che aveva detto che chi voleva andava nella Repubblica Sociale, lo portavano in Italia, venivano messi secondo i campi da dove provenivano; e difatti erano andati quattrocento non so quanti erano, ma più che per …lo dimostra il fatto che quando arrivò il convoglio a Verona era vuoto, erano scappati tutti, chi a destra chi a sinistra.
Allora i tedeschi fecero ancora la richiesta, ma dovevano restare in Germania e furono marcati anche. Uno di quelli che venne marcato nella spalla, un timbro, qualche cosa; ma per la disperazione: qualcuno andò per la disperazione, per il mangiare, ma non ebbe seguito…non ebbe seguito perché…niente.
Poi più tardi venne fuori che c’era una delegazione italiana che per assistere i militari internati e compagnia…però da noi, da noi, noi proprio…noi come Max Mueller arrivò ben poco, arrivò qualche pacchetto di sigarette, arrivò quattro - cinque paia di pantaloni, qualche camicia, ma poi non si vide più niente.
Questo è quello che fecero la Repubblica Sociale, che poi non, non abbiamo visto più. So che c’era una delegazione in Hannover; anzi io ci devo avere un documento dove scrivevo, mi lamentavo, perché non c’era niente, ma non han mai, mai dato niente. Questo è quello che ha fatto la Repubblica Sociale.
Per il resto, niente.
Vestiario era quello che era. Mi ricordo che io, a un bel momento, ah, a un bel momento c’erano i francesi che facevano mercato con gli olandesi; cioè venivano dagli italiani, chi aveva orologi, chi aveva anelli e davano in cambio, gli davano il pane, davano margarina, gli davano una scatola di carne. Io so che io diedi via quasi tutto. Cioè avevo un orologio. Lo avevo dato via; poi avevo la cappotta cerata, l’ho data via; poi ho dato via la cappotta di panno, anche quella. Ero rimasto solo così. A un bel momento anche i pantaloni andati; allora i tedeschi lì del campo han fatto arrivare i pantaloni dei prigionieri russi, un po’ mi si erano spaccati i pantaloni, la parte posteriore e allora avevo dovuto mettere un pezzo; e allora per cucire, siccome non c’era il cotone, allora si cuciva col filo elettrico. Col filo elettrico si cuciva, benché che ogni tanto il filo elettrico si rompeva, quando si sedeva si sentiva la puntura, faceva saltare per aria.
E tutti così eravamo. Eravamo tutti stracciati…tutti…Non si poteva andare in Hannover…come si faceva ad andare ad Hannover tutti conciati che non ci lasciavano entrare? Loro prendevano anche quei biglietti lì. A parte che non davano niente da mangiare: davano verdura, davano le rape cotte, davano qualche patata, davano le verze, verze ce n’era un po’ …un mucchio di verze e basta; non c’era nient’altro.
Ecco, succedeva questo: che di notte nei turni di notte, quando lavoravamo di notte, perché là ci facevano lavorare giorno e notte, anche là a turni. E c’erano al sabato sera quelli che stavano fuori di Hannover…quelli che ho detto prima requisiti dalle varie province e mandati lì, al sabato sera, al sabato andavano…. Al sabato mattina andavano a casa e la sera non c’erano; e allora lì davano una pappina bianca con dentro orzo e dentro qualche cosa. Allora lì in mensa cresceva quella cosa lì e allora che davano, davano con i buoni lì ci davano cinque o sei piatti anche. Ma non si sa cosa c’era dentro, per il fatto che quando mangiava quel coso lì, doveva mettersi al gabinetto, scusi eh, continuava ad urinare perché faceva urinare da matti.
E l’unica cosa che ho vista buona era quella.
Per quanto riguarda malattie, eh, molte malattie erano…polmoniti, nefriti e tubercolosi. Molti, molti nefriti: gente che si alzava al mattino tutta gonfia, Una volta uno dell’Hanomag l’hanno ucciso loro. Cioè era un alpino e ebbe uno stato febbrile molto alto trentotto-trentotto e mezzo: niente da fare, doveva andare a lavorare, fare cinque chilometri e tornare indietro; erano così i tedeschi! Fatto si è che un bel giorno, a un paio di chilometri di lì, è stramazzato per terra; loro lo han tirato su, l’han portato in baracca e poi l’han messo in fila per far prendere quel pochino di acqua e così, quando è arrivato, per fare il gradino è inciampato…è caduto per terra, ha perso i sensi e non si alzava più. “Aufstehen, aufstehen!” (alzati, alzati!); continuava a gridare il tedesco… Quello ci è arrivato uno col calcio del moschetto giù a dare cose…ma una furia addirittura …è indescrivibile! Sembra impossibile a raccontare, sembrano cose… Il fatto è che poi uno di loro, dei suoi soldati è andato lì…l’ha strappato via…così…avrà detto “Cosa continui a picchiare?” infatti alla notte morì. Morì, mi ricordo che lo misero lì nel gabinetto per terra, la mattina vennero e lo portarono via.
E loro non avevano fini, non avevano fini perché…ma una crudeltà che era incredibile! Era incredibile! Quando fui chiamato…ah: una volta venni chiamato perché facevano le schede di chi era stato che la…. E pare che io abbia avuto una… Allora quando ero nel Mar Nero…e noi siamo andati, la Marina andò nel Mar Nero nel ’42, ’43: c’erano i Mas e c’erano i mezzi d’assalto e c’erano i sommergibili tascabili. Ero sui Mas. Allora mi chiesero perché…allora io dissi la verità…non è che ingigantii il fatto…Dissi che i tedeschi si son trovati. “Perché siete andati nel Mar Nero?”; mi diceva; era uno dell’Alto Adige o di quelle parti lì, perché parlava troppo bene l’italiano e “Perché siete andati lì?” Perché i tedeschi a un bel momento avevano occupato tutta la Crimea, ma Sebastopoli aveva resistito e non cedeva, dato la configurazione terrestre, dato che dal mare…Non c’era nessuno nel Mar Nero che lì…ecco…arrivavano rinforzi…arrivavano munizioni, viveri e tutto, quelli continuavano a resistere. A un bel momento i tedeschi son venuti a sapere che, in attesa degli aiuti degli americani, avrebbero sbarcato una forza forte lì a Sebastopoli, e avrebbero tagliato i tedeschi in due. I tedeschi allora non sapevano a che santo votarsi. Allora Doenitz e Reader che erano i due Ammiragli tedeschi avevano vista la sfilata di Napoli, avevano visto questi Mas, che erano imbarcazioni velocissime e facevano circa novanta chilometri all’ora; ci avevano due siluri, una mitragliera e allora chiesero alla Marina italiana di inviare dei Mas. Difatti inviarono i Mas. Coi camion arrivarono fino a Vienna, a Vienna li misero giù, fecero tutto il Danubio, a Costanza li riarmarono, misero i motori e tutto e andammo a Yalta.
A Yalta…io sono stato un bel po’ a Yalta; ho visto anche la villa dove si è riunito Roosevelt…ci ho anche la fotografia…Roosevelt - Stalin…eccola, e lì i Mas cominciarono a tagliare la strada ai russi. Ai russi non arrivavano più rinforzi…non arrivavano più viveri, dovettero cedere e questo dissi al tedesco, le precise parole “con l’aiuto dei Mas e della Marina italiana presero…” “Lei sta contando un mucchio di fandonie!”; “No, guardi che…”. Il comandante Mimbelli, che adesso c’è una nave che porta il nome di Mimbelli nella Marina italiana… Il comandante Mimbelli ebbe la Croce di ferro tempestata di brillantini dal comando tedesco; e tutti ebbimo la Croce di ferro, anch’io l’ho avuta, perché no, dovevano darmela e poi invece siamo rientrati e non l’abbiamo vista più, eccola… Rimase lì e guardi che io sto dicendo quello che è la verità, se non ci crede, pazienza, non… I tedeschi lì nel Mar Nero hanno avuto…tanto è vero che poi ci mandarono nel Mar d’Azov, perché volevano andare nel Caspio…tanto è vero che poi i tedeschi volevano altri Mas ancora, ma eravamo già nel ’43, già in declino, l’Italia era già…ha preferito il Governo italiano cedere i Mas ai tedeschi… I sommergibili tascabili furono dati ai rumeni e i mezzi d’assalto invece erano già rientrati alla fine, alla fine del ’42. Alla fine del ‘42 rientrarono in Italia. Quindi i tedeschi avevano un’alterigia… Loro si credevano i padroni in terra… “Deutschland ueber alles”; loro dicevano e niente. Questo era, era quello che pensavano i tedeschi.
Poi altro…viveri niente, non ci davano niente.
Ah, una volta ci diedero un cucchiaio di zucchero. Un’altra volta ci diedero un cucchiaio di marmellata; ma solo due volte, sia l’uno che l’altro; poi non abbiamo mai visto niente e i viveri sono sempre stati così; siam passati come i civili tedeschi, ma i viveri, il mangiare era sempre uguale. Solo che là a Freden (Leine) c’era tutta la campagna perché era un posto eminentemente agricolo e allora si andava per patate, si andava per patate. Le dirò una cosa, un fatto che l’ho rischiata bella anch’io, perché loro le patate non facevano come noi; noi si andava per la campagna, si vedeva ‘sto cumulo che sembrava il cumulo che ci sono nelle campagne lombarde di letame nei prati. Solo che lì un bel giorno, dato che una domenica si camminava lì, vediamo che arriva un carro, non si sa chi…e li tiran… e c’erano sotto le patate; quanto mai! E allora noi ogni tanto si andava, si faceva un buco e allora… un bel giorno c’era lì ‘sto cumulo: “Allora stasera andiamo”, che infatti eravamo in tre: io e un altro e un altro che si è messo dall’altra parte della strada per vedere se veniva il russo, se veniva il tedesco; e allora dai…quel là invece di guardare se veniva il tedesco guardava noi quante patate potevamo mettere dentro e che…a un bel momento, quando si è accorto, non ha fatto più in tempo…c’era un cane …e lui: “Occhio, occhio ai tedeschi”; e allora noi via…e lì si pensava che veniva anche lui…il cane è saltato addosso a lui e lo han preso. E lui ha detto che erano russi, che lui non sapeva, gli han detto di andare a prendere le patate, che erano d’accordo col padrone e si è salvato perché aveva fatto la campagna di Russia e ci aveva la decorazione anche lui…di Croce di ferro, ma lui ce l’aveva sotto,ci aveva il nastrino, ci ha fatto vedere il nastrino … e allora…eravamo già a febbraio…marzo ‘44…del ‘45… allora l’han lasciato andare.
Io lì avevo perso la zoccola, perché le scarpe non c’erano più…e la zoccola si è infilata lì; quando sono arrivati gli americani ho voluto andare nel sentiero: c’era ancora la mia zoccola, dentro lì nel sentiero.
Questo è i fatti, ché per il mangiare era una tragedia proprio.
E non so…tant’è che io sono rientrato in Italia a settembre, ma ero come le oche, non potevo mangiare: io come mangiavo il mio intestino non teneva più.

 

Era rientrato all’Alfa?

Era una colite, mi han detto cos’era; tanto è vero che mi davano delle punture da fare; la pressione era cento… Tanto mi girava la testa e son stato per un anno ancora in condizioni…Però camminavo, però il mangiare sempre cosa non liquida, mangiare riso, riso asciutto, mangiare biscotti; tutte cose per poter camminare; tant’è che io dovetti, quando rientrai dalla Germania, non potei più rientrare all’Alfa Romeo, perché l’Alfa Romeo era in crisi: Mi ero liquidato e non avevo più nessun diritto; allora i miei genitori avevano bisogno di soldi e mi ero liquidato; quindi andai in un’impresa edile, facevo da fattorino, facevo un po’ tutto, insomma. Dopo feci le scuole serali, feci la licenza commerciale, feci il primo anno di ragioneria; poi entrai nell’Azienda Tranviaria e non potei più continuare, altrimenti avrei fatto ragioneria.
Questo è tutto l’esito della Germania.
Però, torno a ripetere. Sì, sono pieno di artrite, perché sono stato operato a quest’anca e questa…bah…mi fa male, ma la lascio, a ottant’anni non la tocco più; e ogni tanto ho la cervicale che mi dà noia; ma son tutti malanni che non mi danneggiano intanto, molto come altri; torno a ripetere, il mio amico A. lì…è là, su una poltrona che non si può più muovere ed è fuori anche di testa; quell’altro che sta giù nelle Marche ha avuto due volte la paresi e non sta bene.
Siamo rimasti in cinque. Nel ’70 io feci il raduno, siccome ero presidente dei marinai, aveva una bella sede lì a ..…e quelli di Milano c’erano due o tre: “Fai il raduno!” E provai: una cosa miserevole, proprio perché andai a telefonare…a sentir dire: “No, è morto; no, non c’è più; no, è morto” e ci siamo trovati in venticinque o ventisei; e poi, anno per anno, sono andati anche gli altri.
Quindi io come posso…non mi lamento, mi tengo i miei malanni e ringrazio Dio di essere qui ancora e di poter avere almeno la mente libera, la mente di poter ragionare. Ecco, ogni tanto la memoria se ne va, ma quello è anche il viale del tramonto che, purtroppo, alle volte porta via anche quello.
Questo è tutto.

 

Va bene; la ringraziamo. Arrivederci!