Mantova, 26.06.2003
Intervista al Sig. G. Spartaco, Porto Mantovano, 1920.
Imi, alpino del IV Genio, catturato in Alto Adige,
deportato a Bremervoerde, lavoratore coatto ad Amburgo, Cuxhaven, Solingen.

 

Sono stato un post telegrafonico, in pensione, in quiescenza dal 1978 e sono stato pubblico amministratore e vicesindaco della città, ho amministrato anche l’ospedale Carlo Poma, ho istituito cooperative edilizie per le case agli utenti, ai cittadini, ho costituito pure delle cooperative agricole sempre in provincia di Mantova, e questa è stata tutta la mia vita.
La mia attività politica: evidentemente sono socialista democratico dal 1947 e cioè da Palazzo Barberini e tuttora sono ancora di quella idea, non ho cambiato e non posso cambiare, anche date le condizioni e le cose che sono successe dal ’47, dal palazzo Barberini ad oggi. Saragat aveva ragione e noi… Purtroppo gli italiani non ci hanno dato e non ci danno ancora ascolto!
Sono ancora così detto in attività di servizio permanente effettivo, ma la mia vita è fatta di queste cose. Mi dimenticavo la mia risorsa, il mio patrimonio: sono coniugato con C. Rina che è qui con me e poi ho tre figli e sei nipoti. Tre figli, tutti e tre sono laureati, e i sei nipoti la più vecchia, sì la più vecchia ha già avuto un bambino, e quindi sono già felicemente bisnonno. Questi sono la mia vita e oggi sono qui ancora a questo gentile passaggio radiofonico e sono qui proprio per loro.

La vita cittadina qui a Mantova non è tra le più particolari, ma comunque Mantova fa parte sì della Lombardia, ma credo che sia l’ultima, l’ultimissima della Regione Lombardia. Non sto qui a fare polemica con gli attuali amministratori però, evidentemente la cosa è in questi termini.
Mantova è una città d’arte, ha ancora il Palazzo Ducale dei Gonzaga, ha ancora dei pacchi di reliquie, di cose immaginarie, che se l’avessero Milano o Verona, lì avrebbe già purtroppo fatto.
Noi mantovani siamo ricchi, perché qui c’è una produzione agricola immensa: ci sono oltre due milioni di maiali, ci sono un milione di bovini, c’è un patrimonio, c’è una fervenza di patrimonio agricolo immenso. E’ una provincia che produce molto, e che ha una sua particolarità conservatrice proprio: nella mentalità degli stessi mantovani. Son fatti così i mantovani, noi diciamo i “gheibension”: è un termine austriaco, perché noi siamo stati anche toccati dagli austriaci. Dimenticavo una vicenda, ma la posso dire dopo, che proveniamo… qui ci sono state: “la famosa congiura di Belfiore”, e tutto il resto che ne è seguito.

 

Indubbiamente Mantova è un po’ particolare come provincia, e ci sono dei lombardi che non sanno ancora bene se Mantova è in Veneto, in Emilia o in Lombardia…

Ho dimenticato ecco: noi non siamo, noi per vocazione dovremmo essere sul Veneto e invece non siamo né sull’Emilia, e non siamo su Milano, ecco sul lombardo. Noi tentiamo di più: infatti la zona a reddito più alto è quella verso Verona, verso il Veneto.

Dicevo che da una parte abbiamo Ferrara, Rovigo e Bologna, dall’altra abbiamo il Parmense, poi più avanti abbiamo Milano, e poi giù Brescia, Verona, Padova e quindi, chiudiamo l’anello…..
Una provincia di trecentocinquantamila abitanti, il capoluogo siamo purtroppo quarantasettemila, e io che ho fatto il vicesindaco per tanti anni, mi fa male il cuore solo a pensare di avere una città così bella, così…

Insomma a Mantova vengono solo per mangiare bene. Non so se oggi abbiamo mangiato veramente bene, ma comunque qui si mangia veramente bene.

 

Il mantovano sembra un po’ un’isola...

Un isola, ma non direi felice.

 

No, felice non l’ho detto, resta un po’ tagliata fuori dalle grandi vie di comunicazione.

Esatto, non abbiamo una tangenziale, ecco. Ti basti solo questo qui, questa è la tangenziale che dovrebbe snellire tutto il traffico che… Addirittura non abbiamo la tangenziale. Qui poco distante, a Piadena c’è la tangenziale, tanto per dire Piadena che è settemila abitanti!
Sensibilità di qualcuno, amministratore ancora ai tempi, ma soprattutto sui verdi, non si è voluto fare il passaggio dei laghi. Ah! Non ho parlato dei laghi, è un… anche quello se li avessero i milanesi questi tre laghetti che abbiamo, che sono tre laghetti… eh! Santo Dio!
La tangenziale doveva scorrere da circa settecento metri non di più, non è stato possibile farlo perché… Questo è già da vent’anni e non si è riusciti per niente; adesso stanno facendo il Tibre, che sta passando da Parma va giù fino verso Verona e quindi ci taglia qui vicino, e può farci bene anche quello.
Ma del resto Mantova, vive solo non dico di agricoltura perché ci sono anche delle fabbriche notissime: come la Benelli, come la Marcegaglia, come la Cornelliani, sono manifatturiere, sono ditte molto… Marcegaglia invece… Ci sono sì queste fabbriche che hanno preso molto sviluppo e molti operai; non c’è una grande disoccupazione ma anzi si cerca manodopera, direi anche qualificata.

 

Viene fuori poi Mantova per la storia del Parlamento Padano, come mai a Mantova?

Ma, come mai… qui la Lega, tanto per essere molto chiari, io ho degli amici, ma non è che abbia… anzi ha amministrato l’Amministrazione Provinciale cinque anni fa, e adesso sono tornati, e allora hanno trovato un posto qui appena fuori Virgilio, sulla strada che porta a San Benedetto che porta vicino al Po, verso Modena insomma e hanno trovato questo castello…
Meglio che tu mi esima dal dichiarare, perché evidentemente, con i fatti poi che succedono oggi non sanno far politica ecco tra parentesi.

 

Veniamo invece alla tua storia personale, partiamo dalle origini, parliamo della famiglia.

La mia famiglia di origine è composta da mio padre e mia madre: mio padre veniva da Marmirolo qui vicino; hanno sposato un farmacista, una sorella di mio padre, e quindi, mio padre faceva il falegname niente di eccezionale. Poi lo zio farmacista non aveva figli, e ha fatto studiare mia sorella farmacista che ha ottantotto anni, è ospite qui di un bell’ospizio, qui fuori verso Virgilio. E questa donna qui, questa sorella che ho, siamo in due: lei è farmacista e io invece son diventato un postino, sindacalista dimenticavo della CISL, alla Pastore maniera, non a quelli di oggi, che di Pastore non ricordano neanche… E poi io sono andato in posta a diciotto anni ho fatto il concorso.

 

Nel 1938?

Sì, settembre del ‘38 .

 

Quindi hai fatto le scuole, fino a quando hai studiato?

Si, terza media, terza media normale. E poi a vent’anni sono stato trasferito dalle Poste in quel di Zara, perché allora bisognava andare a Zara già occupata verso il ‘40. Scoppiata la guerra, sono stato rivedibile per un anno, e poi nel ‘41 mi hanno chiamato alla leva, è scoppiata la guerra, la guerra doveva finire dalla mattina alla sera e invece purtroppo, è durata…

 

Com’era l’atteggiamento della tua famiglia nei confronti del fascismo?

La mia famiglia: mio padre, che non aveva cultura, che non aveva niente; però ricordo un fatto che, evidentemente me ne sono accorto a ventiquattro anni, quando ero in un lager tedesco, che si discuteva dopo… intanto che i tedeschi facevano i [Fruhstenmarken] (buoni alimentari) loro, e noi invece eravamo là contro il sole, e a mia madre, che abitavamo lì, poco distante dal di qua, diceva a mia madre, molto cattolica e molto credente, diceva: “Maria ma è inutile, tu vai in chiesa ma tu non sai!” Ma no diceva mia madre a mio padre, “ma insomma vedi che Mussolini ha fatto le strade, ha fatto l’I.N.P.S., ma tu non sai che ha ammazzato Matteotti…”
Ma io a sedici, diciassette anni, chi poteva pensare a questo! Me lo sono però ricordato e a ventiquattro anni, nel luglio del ‘44 in Germania, salta fuori il nome di Matteotti. Allora mio padre aveva ragione nelle discussioni che ci faceva, c’era sempre qualche ufficiale in mezzo a noi soldati. E quindi mio padre, antifascista nato, socialista invece che democratico come lo è stato, ha avuto un po’ di persecuzione ma non eccessiva, anche perché c’era la sorella che era la moglie del farmacista qui poco distante, dove c’era il Federale che era il medico. Insomma era una cosa cui il fascismo, bisogna essere sinceri nella cosa, non è che abbia disturbato, non è che abbia fatto niente di particolare e niente azioni. C’erano sì durante il fascismo, c’erano delle zone qui particolarmente diremo intense, ed erano Marmirolo, era Suzzara. Il Marmirolo era da questa parte, dell'alto mantovano. Suzzara e Pegognaga era quello del basso mantovano e anche l’Ostigliese, erano queste le zone più marcatamente fasciste che poi dopo la liberazione sono diventate tutte e sono tuttora comuniste, sono tuttora comuniste. Chiaro? A Suzzara e a Pegognaga dove io son andato a parlare il 25 aprile non c’è un’amministrazione comunista: il sindaco comunista, il sindaco diessino insomma, diessino, non c’è un disoccupato, non c’è un poveretto tanto per essere chiaro. Per dire, a Suzzara son passate poi dal cosiddetto regime, son passate le zone, diremmo ancora ad alta tensione DS per non dire comunisti ma tanto è lo stesso, sono tutti miei amici perché sanno io chi sono, io non sono un voltagabbana, ma loro hanno cambiato e quindi danno ragione a me, “avevi ragione”, e io li prendo in giro, abbiamo perso cinquant’anni purtroppo per noi. Ecco questa è la situazione!
La guerra: la famiglia poi ha vissuto come ha vissuto, mio padre faceva il falegname viveva come viveva, dell’aiuto di mia sorella che poi è diventata farmacista. E’ diventata farmacista..…. Si viveva appena appena, con l’acqua non dico alla gola, ma comunque con l’acqua…
Si viveva, prima della guerra e poi dopo anche alla fine della guerra, ho avuto la casa qui poco distante bombardata, perché ci sono stati dei bombardamenti, e quindi insomma son stato aiutato da mia sorella ancora e dalla farmacia di mio zio, che poi passò la farmacia a mia sorella, e tutt’oggi la farmacia di mio zio e di mia sorella oggi, è passata alle mie figlie. Ho due figlie farmaciste e queste dirigono la farmacia che c’è qui.

 

Cosa c’era da bombardare a Mantova?

Beh…, bombardavano coi bombardamenti verso il settembre, ottobre del ‘44 o anche del ‘45.

 

Cosa cercavano?

Eh, cercavano niente. Qui c’era il prete che aveva una radiotrasmittente. E poi l’8 settembre ‘43, hanno ucciso un prete che io servivo messa, Don Leoni, l’hanno ucciso perché… L’hanno portato qui alla valletta perché aveva dato dei vestiti a dei militari. E poi dieci soldati sono stati prelevati da due… qui c’erano due campi di concentramento per la Germania, son stati prelevati e portati qui a qualche chilometro e uccisi anche quelli, i dieci dell’Aldriga. Inoltre c’è stata una donna, che nel passare per la città di camion con su i prigionieri che andavano in stazione per la Germania, una raffica l’ha colta, era Giuseppina Rippa, gli han dato la medaglia d’oro, ed è morta anche quella. C’è stato l’otto di settembre degli scontri qua fra militari, perché qui c’era un grosso raggruppamento di militari, di militari italiani, quindi anche qui è andata…


Ma tu non eri qua l’otto settembre, succede qualcosa qua a Mantova il 25 luglio e l’8 settembre?

No qui è successo… io non c’ero. C’è stato qualche battibecco ma più che altro è successo l’8 settembre. Ecco quei fatti che ho detto, perché qui era il concentramento che venivano tutti i militari che raggruppavano e portavano dentro e poi coi carri, siccome qui c’è la ferrovia che va al Brennero e poi vai dritto, e quindi li portavano… Qui c’è stato un grosso concentramento.

 

Due campi di concentramento?

Sì al Gradaro? E a… adesso non mi ricordo, eran due insomma.

 

E’ rimasto qualcosa di questi campi?

Niente, niente.

 

E dal punto di vista delle carte e dei documenti?

Noo! Niente, niente… Sì abbiamo anche noi qui un ufficio di storia contemporanea che deve avere…

 

Si certo, conosco la Nicoletta Azzi.

E che è molto brava, che hanno raccolto qualche cosa di questo, ma non hanno…

 

Vieni richiamato alle armi nel ’41? In che reparto? Dove ti mandano?

Settembre ’41 e mi mandano a Bolzano al IV Genio, dal IV Genio si fa l’istruzione, ci si prepara, perché si doveva andare a dare un cambio al IV Genio trasmettitori. Si doveva andare in Dalmazia, in Dalmazia e in Albania, per tutta la zona della Jugoslavia occupata. Si doveva andare ad aiutare gli altri reparti che c’erano. Nel frattempo noi dovevamo fare il collegamento con alcune unità e dal Genio che io ero stato chiamato e con la cosiddetta bustina, da quella data, dalla fine del ‘41, abbiamo fatto lì sulla zona del Brennero, sulla zona che adesso mi sfugge il nome in Val Venosta, la strada dello Stelvio se m’aiuti, che è strada che porta allo Stelvio. Insomma abbiamo fatto delle esercitazioni e ci hanno dato la bustina di alpino perché dovevamo andare ad aiutare sempre nell’ambito delle trasmissioni, la divisione Tridentina. E siamo rimasti lì per un certo periodo, poi siamo rientrati a Bolzano, siamo andati ancora nella zona sempre dell’Alto Adige, e all’8 di settembre ero sulla Mendola che stavamo facendo esercitazioni.

 

Nella Dalmazia c’è stata un’occupazione italiana che è stata anche pesante?

Sì ero stato anche prima t’ho detto come postale, a lavorare all’ufficio postale di Zara, di Zara, che poi avevo un ricordo particolare di giovane… Il medico m’ha detto: “va là… adesso vai a Zara ti bevi un po’ di Maraschino ti passa il calore!” E infatti cosa che avvenne… che avvenne immediatamente: mai uscito di casa, ti trovi fuori…
E quindi la Dalmazia. Incominciarono già i primi scontri a Zara, a Spalato, a Dubrovnik, incominciavano già i primi frammenti anti italiani. Ma non c’era una grande fermezza nel riscontro di queste cose, perché in fondo gli italiani sono sempre tali. Ma sì siamo stati conquistatori ma… conquistatori no, perché abbiamo dato anche delle opere. Avevo ragione io. Mia madre quando ha detto che bisognava…
Il 18 luglio del ‘44, ha preso… questo è il cappello del sergente maggiore Divina di Trento che ha preso una bomba in pieno ed è andato in tre pezzi.
Questo cappello l’ho trovato a cinquanta metri, là sopra la terra. Se voi guardate qui, in queste parti qui e anche qui c’è ancora… E’ sbiadito il colore del sangue suo, povero...Quando l’abbiamo raccolto, era alto come me, era ridotto così: una bomba in pieno.
Noi eravamo vicino ad una ferrovia e c’era un bombardamento, hanno bombardato, “ma sta qui… ma sta qui!” Eravamo dentro in una buca tanto per difenderci ma no, lui è andato fuori e pach… Ha preso la bomba in pieno. Ecco questo è l’otto di settembre, siamo arrivati.
L’otto di settembre scendo dalla Mendola, eh: tutto festa qui, festa là…

 

Avevate già idea che stava arrivando l’armistizio?

No, niente, l’otto niente, il nove niente, Cominciato però il nove mattina a sparare sentiamo sparare...

 

Ma gli ufficiali c’erano ancora?

Sì, sì, no, no, io gli ufficiali non gli ho più visti, non lì ho più visti!

 

Tu eri soldato semplice?

Sì, son diventato poi caporale ma… Insomma ho fatto poi quarantotto mesi eh! E ci han portato nel Talbèra, ci han lasciato lì due giorni…

 

Come vi hanno fermato? Come vi hanno arrestato?

Niente, niente, sono entrati nella caserma: “deponete le armi, passate in fila, per Bolzano”.

 


Nessun tentativo di resistenza? Di fuga?

Nessuno, nessuno, nessuno. Perché c’erano già i tedeschi con la fascia bianca, assieme ai tedeschi lì c’erano gli altoatesini con la fascia bianca; “ghera nient da fa” (non c’era niente da fare). Ci son stati degli scontri m’han detto su verso il Brennero, ma poi c’erano degli alpini lì su, ma cose leggere. Poi son partiti tutti, siamo partiti tutti.

 

Dove vi hanno radunato? Vi hanno portato a Bolzano?

No, no, no, da Bolzano ci han portati in ferrovia, e poi in sessantaquattro siam partiti il dieci, il dieci e l’undici di settembre del ’43, da Bolzano. Partiti e via, e poi quattordici giorni di tradotta.

 

La tradotta com’era?

La tradotta con sessanta e più soldati, e abbiam fatto tre o quattro fermate, e quando si correva chiudevano le porte. Siamo andati fino al confine della Polonia poi c’han fatto tornare indietro, c’han portato a Bremervoerde: è stato il primo campo; e lì, in questi quattordici giorni su e giù, perché si vede che ne avevamo tanti.
Era già cominciata l’avanzata russa. Noi, ci hanno lasciato giù dopo a Bremervoerde: un grosso campo di smistamento.

 

Bremervoerde era un campo di smistamento e basta?

Si, era un campo che riceveva tutti.

 

Anche di altre nazionalità?

Sì, sì, beh insomma, lì al momento, al momento no. C’erano dei lazzaretti più avanti, perché poi dopo ci hanno cominciato a selezionare, a metterci dentro nei… Infatti io c’ho il mio numero del IV° battaglione BAU Battaglione L22, che poi è: Bau Arbeiten BTL 201 Hamburg 1, che poi siamo passati alle altre zone, che adesso è un po’ lunga da raccontare.

 

A Bremervoerde che cosa è successo? Vi hanno schedato, fotografato?

Niente, niente… Dopo han fatto venire subito degli italiani, degli ufficiali, in divisa fascista per cercare… Facevano vedere il picchettino di pane, chi voleva aderire alla Repubblica di Salò poteva andare di qua, chi voleva restare, restava di lì. Ma eravamo diverse migliaia lì a Bremervoerde: la prima tappa. Poi siamo andati…

 

Qualcuno ha aderito alla Repubblica di Salò?

Si, qualcuno ha aderito, ma neanche il 10%.

 

Eravate tutti soldati semplici?

Tutti soldati semplici, ma qualche ufficiale ha preferito venire con noi. E dopo abbiamo fatto a Bremervoerde fino a dicembre, tutto il dicembre del ‘44.

 

Cosa facevate a Bremervoerde?

Niente, lì non si faceva niente, perché si era solo in attesa di destinazione e cioè: non avevano ancora ben impostato il problema del lavoro. Capito? E allora prima di dicembre ’43 han cominciato a formare, e han formato un battaglione di circa di trecento uomini, duecentocinque. E han dato questo nome qua. E han cominciato ad andare verso Amburgo, è la prima tappa da Bremervoerde ad Amburgo. Amburgo era grandissima.

 

Un battaglione di lavoro stai dicendo?

Si, sì, BTL.

 

Questo è successo nei primi mesi del 1944?

Anche prima, anche prima, l’ultima quindicina del ‘43 siamo andati ad Amburgo. Ad Amburgo ci hanno messo dentro a una scuola diroccata che era molto in periferia e si chiamava “Antona”. E da lì han cominciato a farci lavorare. Ci alzavano alla mattina alle cinque, si facevano sette o otto chilometri in cinque incolonnati, si andava in stazione, si pigliava ancora il treno che c’era e ci portava molto lontano da Amburgo ma sempre nella zona di Amburgo, per fare delle piastrelle: delle piastrelle per le case. Ed era una grossa fabbrica dove c’era vicino la ferrovia dove ci portavano.

 

Eravate sempre scortati dalla Wehrmacht?

Sempre, la Wehrmacht non ci ha mai lasciato un minuto.

 

Le condizioni generali lì a Bremenvoerde com’erano?

Un disastro!

 

Voi siete arrivati in buone condizioni lì?

Sì, c’è da dire che io, dopo neanche un mese… Avevo un orologio da diciassette rubini mi pare, e l’ho venduto per due chili di pane.

 

A chi l’hai venduto?

Lì c’era mercato subito lì a Bremenvoerde.

 

Chi faceva mercato?

Ma… chi lo sa, i tedeschi. Io l’ho venduto subito tanto per essere chiari. E lì si lavorava al carico e scarico di questa piastra. Si lavorava tutto il giorno, a mezzogiorno si e no loro facevano il [Fruhstenmarken], e noi ci facevano sedere: quando c’era il sole, contro il sole senza mangiare, perché si mangiava al ritorno a casa; al ritorno nel lager, questa scuola diroccata chiamata lager, tanto di cartello, tanto per essere chiari. Il lavoro era un po’… almeno per me abituato a fare l’impiegato: avevo la pala per fare la sabbia, il cemento, come si dice, come fanno qui adesso. Per fortuna però che avevo un muratore, che è morto poverino, che era del ‘14 o del ‘13, che lui era veramente un muratore e continuava a lamentarsi perché diceva: “Spartaco butti troppa acqua, troppa qui, troppa là…” E poi siccome queste andavano messe verso il sole per seccarsi, si spaccavano, e allora lì era il tedesco, non la Wehrmacht, ma il tedesco, il direttore che conduceva il lavoro si lamentavano e….Io ho detto: “tu non c’eri o eri appena arrivato, il mio battaglione si vede che io… non dico comandante perché non…”
Credo di essere l’unico, credo di essere l’unico, non solo del mio battaglione, ma dei seicentomila che c’erano lì, le botte che io ho preso lo sa solo il Signore! Botte dai tedeschi e botte dal capo campo italiano, perché? Perché io non stavo mai fermo, io andavo a spiombare nei carri e c’era il pericolo che ti piombassero… Io andavo a rubare…

 

Cosa vuol dire spiombare i carri?

Sì, perché i carri ferroviari lì vicino erano legati eccetera eccetera, e dopo andavo la portavo via e poi portavo tutto nel campo. Io facevo tutto questo sempre in funzione dei miei compagni. Si vede che il socialismo di mio padre mi è stato già tramandato. Dico questo perché è la verità, siccome io lo ritengo che è un sentimento umano che si sente, e io andavo a rubare e i miei compagni mi dicevano: “ma no! Spartaco ma sta fermo! Ma sta qui, ma sta …” Niente.

 

Cosa rubavi?

Di tutto c’era, di tutto. Di tutto quello che poteva servire e non servire, e comunque…

 

E dove?

Sempre lì ad “Altona”, ma poi non siamo stati fermi.

 

No dico a rubare dove?In fabbrica?

Lì in… si portava, si portava… Ma poi non siamo stati fermi lì. Verso l’aprile sempre del ‘44 ci portano a Cuxhaven che è all’estremo del fiume Elbe, l’Elba all’estremo e di fronte vedevamo allora già i primi bombardamenti che vengono su da Londra e bombardavano Amburgo: i famosi B2 che me li ricordo ancora, che avevano delle armi, delle armi dappertutto. Portavano armi dappertutto che erano una tragedia se andavi sotto. E siamo andati a Cuxhaven così denominato.
E là eravamo in baracche, altro lager, e facevamo degli scavi per l’eventuale sbarco… Fatica da orbi anche lì. Anche lì il mangiare sempre solo una volta alla sera composto da una scodella di brodetto: c’erano duecento grammi di pane, dieci grammi di margarina, e dieci grammi di patè. Questo te lo dovevi sempre portare dietro perché noi andavamo sempre in giro.

 

Come si chiama esattamente?

Cuxhaven, con la x, Cuxhaven.

 

Cuxhaven: in che zona è hai detto?

Nel nord di Amburgo vicino al fiume Elba.

 

C’erano tanti italiani? Voi eravate rimasti insieme come reparto?

Si noi eravamo sempre assieme, da lì fino alla liberazione siamo rimasti …

 

Ma il vostro gruppo da quante persone era composto?

Ho detto circa duecentocinquanta.

 

Vi hanno sempre tenuto insieme sia come detenzione che come lavoro?

Sì, tutto, tutto, sempre assieme.

 

Riuscivate a comunicare anche con la vostra famiglia?

Ecco, credo di essere stato l’unico che ha ricevuto trentun pacchi da mia sorella, credo. Nessuno ha ricevuto pacchi.



Che cosa c’era in questi pacchi?

Salame, pane, burro, formaggio…

 

Quindi un paio di pacchi al mese arrivavano.

Sì, io ho ricevuto fino quasi alla fine del ‘44 da mia sorella che c’è tuttora, quella che t’ho fatto vedere, i pacchi. Credo di essere l’unico di tutti i lager, di tutta la gente.

 

Ma come mai tu riuscivi a ricevere e gli altri no?

Ah… questo lo devi chiedere a lei poveretta che io, gli ho sempre chiesto e lei spediva attraverso la Croce Rossa da ogni parte.

 

Comunicazioni riuscivi ad averne?

E lettere, e ho delle lettere autentiche, e infatti le ho copiate e le ho mandate ai signori dell’OIM queste lettere qua. Con scritto: Spartaco G. il Nuvolo, Arbeiten, Amburgo, eccetera, eccetera.

 

Allora quando sei a nord di Amburgo: voi siete sempre separati?

Sì voglio solo raccontare un fatto che è magnifico. Eravamo ancora in Amburgo, prima ancora di partire per Cuxhaven, che poi dopo siamo andati in Westfalia, ma alla sera… Alla mattina eravamo ancora incolonnati per cinque. Alla mattina io stavo davanti coi più giovani perché, se hanno sofferto più di noi, hanno sofferto quelli del ‘24, che li han presi in borghese senza neanche iniezioni eccetera. Quelli partirono alla mattina e siccome i tedeschi avevano già, durante i passaggi che facevamo: quei quattro o cinque chilometri di strada prima di arrivare al treno, mettevano i bidoni. C’erano i bidoni e sopra, passavano questi ragazzi, raccoglievano tutto e in bocca tutto quello che poteva esserci.

 

I bidoni della pattumiera stai dicendo? Quindi passando raccoglievano…

Raccoglievano in bocca senza star lì a guardare che cosa c’era.
E quindi è cominciata la setticemia, le malattie, le magagne e la perdita poi… Al ritorno io stavo dietro il cambista, perché “mi ciamavan” (mi chiamavano) cambista, dietro. E arriviamo a metà dal treno per arrivare ad Altona alla baracca, cosiddetta la scuola, la nostra baracca, avremo corso un paio di chilometri, ma eravamo a circa ottocento metri non di più, un chilometro, quando vediamo, sento l’odore “fish fish”, pesce. Io parlavo anche un po’ “su mìa parchè” (non so perché) e mettevano le cassettine davanti alle case diroccate.

 

Col pesce?

Col pesce.

 

Come si mette fuori il latte dalle case?

Esatto. Arrivati a un punto, dal punto dove avevano sentito, che avevo sentito io, e quelli pronti: io dietro e quelli davanti, fra lì, fra le cassettine e il lager saran stato seicento-ottocento metri. Hanno portato via le due cassettine, non facciamo in tempo a arrivare nel lager: “Halten! Halten! Halten, Halten! Controllore, controllore! controllore, controllore!” arriva il padrone: “allaie!”
M’han portato via controllano, non trovano né il pesce e né le cassettine. Faccio per dire: “che han magnà”(che hanno mangiato) il pesce crudo, e le cassettine, perché eran di legno, le hanno... era fame quella eh… Crudo nello spazio di cinquecento metri, seicento non hanno trovato nulla!

 

Hai detto che tu cercavi di arrangiarti anche un po’ in giro: cosa vuol dire?

E arrangiarmi dove potevo. Uscivo dal cordone e dalla sfera della guardia per andare a raccogliere quello che vedevo per strada, quello che trovavo.

 

Non c’erano delle reazioni a queste uscite?

No, devo dire che insomma… avevam più che altro delle Wehrmacht austriaci buoni. C’era solo un sergente che era prussiano, che era cattivo come una… e un capitano, tanto per dire avevamo un sergente maggiore, un capitano e venti soldati tutti, tutti validi, tutta gente che è venuta via dai fronti, eccetera eccetera.
Beh! torniamo a Cuxhaven. A Cuxhaven stiamo lì, e lì vediamo i bombardamenti della.… i bombardamenti che vengono da Londra per bombardare Amburgo, Berlino e tutte le città.
A metà dicembre del ‘44 viene l’ordine di spostarsi in Westfalia

 

Un momento prima della Westfalia volevo chiedere una cosa: come avete vissuto il passaggio a civili?

Niente, niente, non abbiamo mai saputo niente!

 

Per voi non è cambiato nulla?

Ma io leggevo, leggevo qualche giornale...

 

Non vi arrivava “La voce della Patria” quel giornale degli internati?

Niente, niente, niente. A noi non è cambiato niente. E’ stato il settembre mi pare del ’44…

 

Si a partire dal luglio. Alcuni li hanno civilizzati in settembre Ma qualcuno della Repubblica Sociale l’ avete più visto?

No.

 

E la Croce Rossa?

Ah si! Ecco... Quando eravamo in Amburgo, andavamo… Per i più malmessi c’era un lazzaretto custodito da francesi e inglesi; ecco io andavo là e combinavo di tutto per portar via roba e poi mi portavo dietro due o tre che erano tutti malmessi, tutti ragazzi di vent’anni, e lì ci facevano qualcosa e poi dopo ci rispedivano e basta … Quando qualcuno stava male si pigliava e si portava in quel lazzaretto lì. Arriviamo a Solingen.

 

Siamo a dicembre?

Arriviamo a Solingen che è a una ventina di chilometri da Duesseldorf, sì, a metà dicembre del ‘44. Solingen che è composto da tre parti, tre città, tre zone: Solingen ovest, est e nord praticamente. Ci portano anche lì in una scuola diroccata, sistemata e ci buttano dentro lì in pieno sole.
E lì il lavoro era diverso da quello di Cuxhaven. Andavamo invece a... per tutta la zona bombardata perché se non avessero... Io l’ho scritto, se non avessero... sia ben chiaro, è meglio che tu lo scriva, se non avessero fatto i bombardamenti iniziati con lo sbarco in Normandia nel luglio, mi pare ’44, bombardamenti a tappeto come è stato fatto in Amburgo a metà luglio, un bombardamento ad Amburgo, trecentocinquantamila morti! In pieno luglio non s’è visto il sole per... Se non avessero fatto i bombardamenti a tappeto, noi saremmo morti tutti!
Quindi anche oggi, quando han fatto quella specie di guerra in Iraq, se non avessero bombardato... non c’è niente da fare!
Perché, perché adesso, il finale che abbiam sentito. Lì nella zona di Solingen, vedevamo già da allora alla fine, vedevamo nel cielo scie luminose. Io leggevo, si parlava di bombardamenti su Londra. A questo punto si viene a sapere che dopo, si viene a sapere che i bombardamenti erano…. l’ho saputo dopo. Ma noi vedevamo queste strisce che partivano dal fiume Reno che è quattro volte il Po, perché poco distante c’è il Reno, che passa anche da Dusseldorf e va giù fino in Francia, e andavano a bombardare.
Gli americani hanno... no, gli inglesi hanno intercettato questa zona che era vicina a noi, nella zona di Wuppertal e [Desermunder] si chiamava quella cittadina che aveva queste armi che mandavano a bombardare, a bombardare Londra, gli han fatto un bombardamento a tappeto che l’hanno distrutta. Il bombardamento su Londra è durato fino ai primi di gennaio e poi chiuso. Andiamo avanti.

 

Cosa facevate in questa zona?

Ecco il nostro lavoro che abbiamo iniziato era questo: scavi, acquedotti, fognature a quattro o cinque metri... morti, vivi, bombardamenti, una roba che a raccontare… Un fatto: andiamo in un grosso condominio, un grosso palazzo, e c’era un cristiano che era sotto e aveva appena aperto, però aveva sopra di sé una grossa trave. E il tedesco, la guardia dice: “scavare, skavare, kamire diev, scavare, tirare, “nein!” e allora mette giù il fucile e ci fa vedere lui, lui era già “mo” qui, c’era tutto... “Tirare! Tirare”, c’è rimasto in man la gamba, perché c’era fuori solo una gamba.
Ecco per dire: le cose più orribili. Andare… siamo andati in una fabbrica bombardata dove facevano dello zucchero, col badile, e abbiam continuato a mangiar zucchero e zucchero e zucchero e zucchero, siamo arrivati al lager che alla notte ci chiudevano nelle cosiddette stanze ci chiudevano, ci veniva una dissenteria, che non volevano neanche che buttassimo giù, diremo... la pipì eccetera, eccetera. E i vassoi che andavamo a prendere, quella specie di caffè era pieno di merda e alla mattina, andavamo a sciacquarla e si beveva il caffè insomma... Delle cose inimmaginabili! Anche come lavoro, come andare... lo scavamento che si faceva, che era diretto da loro con questa tecnica che avevano, con questa mania di volere... e poi nelle buche grosse lì, che si faceva per metter su i binari... Ah, mi son dimenticato una cosa grossa in Amburgo e no, devo per forza, perché ce l’ho qui. In Amburgo eravamo al porto, grosso porto, che sistemavamo le rotaie, le rotaie della ferrovia tutte divelte eccetera. Noi in sei o sette, portavamo queste assine di ventisette metri spostate, ti puoi immaginare come eravamo in mezzo a questi pezzi di... e dall’altra parte, a cento metri, centocinquanta, c’erano duecento donne ebree di tutte le nazionalità, che cantavano poverine, vestite di bianco con la targa, con la tuta bianca, numero dietro e stella di David davanti e venticinque minimo SS. Facevano il nostro stesso lavoro, però loro la portavano in quattro, noi in sette, anche in otto, loro in quattro! E qualcuna che cedeva, come cedeva evidentemente “iusa lain stain iusa zouta “ e SS dà una pacca e quelle si alzavano…
Io ho portato, io ho portato al “Muro del pianto” dieci anni fa, a nome dei miei compagni, una pergamena del comune per ricordare queste cento (dopo ti do il foglio) Ecco una roba, una roba che ho qui presente. E ogni tanto, io son cristiano, ma mia moglie è molto più professa, più credente; ci credo, ci credo, che qualcuno sopra segna, non ti preoccupare c’è qualcuno, senza bisogno di computer, segna sei convinto? Beh… insomma sei un insegnante, qualcuno c’è sopra!
Conclusione quando vedo oggi quei carroarmati in Israele, che poi mi ricorda questo fatto qua che ho scolpito nella mia mente, mi fa una tristezza… mi fa un dolore, mi fa non so che cosa, ma delle viste poverine, le dia il coraggio de cantà (di cantare) perché noi, anche noi cantavamo, ma il loro era diverso: erano cento madri. E siccome che anche lì c’era una panchina dove scaricavano i pezzi di maiale, ecco i pezzi di maiale che venivano dalla Danimarca…
Sì, sì, i pezzi di maiale che venivano dalla Danimarca li scaricavamo e gli scaricatori sopra alla nave erano russi. E il gambista e qualche mio segugio, andavamo sotto il carro, perché la banchiglia poi c’è il carro frigo e tutti i pezzi li buttavano dentro lì. Quello con un coltello crach: tirava giù un pezzo e cadeva in terra, e noi sotto andavamo a raccogliere, tanto per dire, questo pezzo di lardo che veniva via.
Ripeto queste donne qua, è stato un… Io credo che sono arrivate in poche. Queste qui le hanno arrestate in Amburgo, siamo stati quasi quattro o cinque mesi, ma mi credi che alla fine eran poche di quelle centocinquanta, centottanta persone di tutte le nazionalità.… “ca parevan dei bagai” (che sembravano dei ragazzi).

 

Dici che erano di tutte le nazionalità, come fai a saperlo?

Perché lo dicevano loro e lo si sentiva dalla voce. C’era qualche italiana.

 

Ma voi eravate ancora vestiti come quando vi avevano preso?

Sì, sì, sì, uguale, uguale.

 

In Amburgo la vostra condizione di prigionia così … è cambiato qualcosa o era sempre…

Niente, non è cambiato niente.

 

Se facevate qualcosa, cosa succedeva?

Niente.

 

Ci sono stati casi di sabotaggio?

No, niente, niente. Capirai!

 

C’è stato qualche episodio di punizione?

No, niente, niente.

 

Qualcuno che è scappato?

E che vuoi scappare?

 

Voi sapevate come andava la guerra?

Io si! Quando siam sbarcati c’han chiusi dentro e hanno tirato fuori le baionette. Eravamo a lavorare là nella zona, il 18 luglio “l’è stà” (è stato) lo sbarco in Normandia. L’attentato a Hitler! L’attentato a Hitler e lo sbarco in Normandia gli ha “tirà fòu” (tirato fuori) la roba.

 

Ma i tedeschi erano ancora convinti di vincere la guerra. Voi riuscivate ad avere rapporti con la popolazione civile?

Ah, buonissima. Se noi non avessimo avuto le donne, le donne… ma voglio finire nella zona di Wesfalia. Lì a Wesfalia nella zona di Solingen noi andavamo a lavorare in tutto quel cerchio di zona lì, che è la zona industriale, la zona anche più, diremo buona. Ecco buonissima! Lì le donne…

 

Buona in senso di cultura?

Sì! Buona in senso di cultura e buona anche come religione. Perché lì la maggioranza credo che siano cattolici o comunque protestanti. Le donne… noi passavamo per la strada e ci buttavano il pezzettino di pane, ci buttavano il pezzettino di pane. Se non ci fossero state le donne saremmo morti ancor di più noi in Germania.
E il nostro era un giro di questa cosa qui: sempre pronti, c’era un bombardamento, alè. Alle due di notte, via, fuori, fuori, dai fuori!
Quindi, che cos’è questo? Non è… non sono uno sterminio… non è un lavoro forzato che “magna”( che mangia) la gente? Che per magnare la gente, “te da magna” (devi mangiare) poco alla sera, alla sera alle dieci quando rientravi, e alle due erano i bombardamenti e quando l’andava bene ti lasciavano lì fino alle cinque, alè subito là. Ma dico non lo so, non lo so gli altri, ma noi abbiamo fatto questo: un battaglione di pronto impiego, così denominato, che si chiamava qualcuno diceva, erano le ditte, che si andava anche a lavorare… io non sto a dire… quelli che hanno lavorato in miniera erano peggio di noi, quelli che han lavorato dove c’erano i carro armati erano peggio di noi, stavano peggio; noi potevamo, potevamo respirare l’aria, perlomeno l’aria. Quelli lì in fabbrica, “nianca” (neanche) da andare a far la pipì! Quindi anche nella zona lì ultima, dove abbiamo atteso, in febbraio abbiamo atteso gli americani, in quella zona lì noi abbiamo fatto tutto quello che è stato possibile e prima, prima, prima ancora che fossimo liberi, abbiamo avuto delle attestazioni di bontà di generosità. Una bomba intelligente cade sul Rathaus (Comune) di Solingen dove noi stavamo andando a raccogliere, a rubare, a sistemare, cade una bomba intelligente dico, nell’ufficio cosiddetto anagrafe dove ci sono le cose che davano per andare a… le tessere annonarie.
Sentiamo noi gli italiani ecco della grande forza che abbiamo, però che mi dispiace dire male dell’Italia, che ci voglio tanto bene.
Sentiamo, andiamo subito a portar via nella buca, andiamo a portar via un pacchetto di… Questo è avvenuto in gennaio del ‘45. Di carte annonarie, di pane e di burro, eccetera, le mettiamo nell’acqua, saltano fuori… perché noi. Non è come noi, che mettevano il timbro, no. Le lasciavano dentro così, attaccate e via. Abbiam trovato un “Lebensmittel” cioè un negozio alimentare che ci ha dato di tutto con quelle carte annonarie. E se ne sono accorti anche il comando tedesco. Ma come? Ma gli italiani continuano a cantare! Qui… perché si sentiva già l’ombra dell’arrivo eccetera. Dopo questo, questo negoziante qui, è stato simile anche li, come in tutte le parti è stato segnalato perché ha aiutato noi. E’ stato giudicato perché per fortuna “ghe sta lì poc” (è stato lì poco) e sono arrivati gli americani. Grazie a Dio è arrivato un sottotenente americano: un tenentino alto così, “uee, paesà, paesà!” ed è andato subito dal capitano, dieci chilometri c’è il raccordo “hsss, House” e allora il capitano dice: “mi date un italiano per portar la borsa”. “Rauss!” fino in ultimo.

 

Non voleva l’italiano per portargli la borsa?

Lì abbiamo assistito al famoso sbarco, il passaggio del Reno da parte delle truppe del generale che c’è stato un film, aiutami, generale… che è andato a Berlino. “ L’è ruvà” (è arrivato) a Berlino.
Non mi ricordo… va bene dai, questo… che ha sbarcato con carro armati di trenta tonnellate, han sbarcato in Reno e si son fermati, han fatto la famosa sacca che da Dusseldorf fino a giù a oltre Bonn e fino a Berlino, fino a Berlino… e hanno fatto… Quindi lì c’han liberati e…

 

Vi ha liberato quindi il generale Patton?

Si, il generale Patton.

 

Son successi problemi coi russi?

Sull’Elba, là sulla riva, la demarcazione che avevano stabilito a Yalta di arrivare fino a lì e fermarsi. E quindi loro dopo han fatto quello che hanno fatto. Però evidentemente, ripeto ancora: “se non avessero bombardato e raso al suolo la Germania, c’erano venti milioni, caro ragazzo, venti milioni di prigionieri in Germania. E sai quanti ne sono morti? Ne han portati… se poi, abbiamo pietà per carità! Come abbiamo pietà per la bomba atomica che hanno sganciato in… Ma ti immagini, ma ti immagini, fino all’ultimo! Ecco il finale, fino all’ultimo io sentivo la radio tedesca: “Nein pappe cittadini tedeschi, nein pappe. Abbiamo le nuove armi!” Era Goebbels, Himmler, che incitava la gente a resistere “perché abbiamo le nuove armi!” Ma questa qua… Ecco tu hai parlato di storia, ma la storia “la sa mia” (non sa) queste cose! Non le dice nessuno queste… Oooh! Fin in ultimo. E erano conquistati fino a un pezzettino… perché ai tedeschi Hitler non gli ha fatto mancare una virgola. Avevano tutto, tutto, persino l’ago per cucire, non gli mancava niente! Ecco questa è la verità vissuta.

 

Hai detto che le donne vi hanno aiutato?

Le donne ci hanno aiutato e basta.

 

E invece il resto della popolazione?

Ma no, no, i maschi ce n’eran pochi, vi potrei raccontare poi dopo i fatti successi, per esempio quello lì che c’ha dato da mangiare con le carte annonarie fasulle. Che ha avuto delle rogne, siamo andati in tribunale, c’eran gli inglesi, per fortuna sono stati poco, per fortuna gli inglesi che eran peggio dei tedeschi… e su denuncia dei tedeschi questo qui è… accaparramento e tutta questa cosa qui. Per fortuna che ci siamo andati noi a dire: “no, c’ha dato a noi, c’ha dato, c’ha dato a noi! Ha capito?” Quindi era stata tutta una cosa… Comunque il nostro ruolo del nostro BAU battaglione BAO battaglione: “L22: Arbeiten”, ne ha fatte di tutti i colori, siamo stati dappertutto. E anche quando siam venuti via, siam partiti da Dusseldorf che c’è voluto altri quindici giorni perché non c’era un metro di ferrovia stabile, ogni tanto ci si fermava per aggiustare.
Oggi nella guerra che abbiamo assistito, c’era la pietà assoluta per chi, ma quanti bambini abbiamo visto sotto le macerie, ma lo sa Dio e basta! Ma quanti ne abbiamo visti dei nostri! Noi siamo partiti con duecento e “sem arrivà” (siamo arrivati) neanche con un centinaio!
E poi, ma se tu sapessi dal ’45… a ma poi siamo rimasti una ventina almeno qui.

 

In che condizioni fisiche eravate al ritorno?

Condizioni fisiche disastrose! Quel T. lì poverino, quel T. lì che è stato a San Valentino, San Valentino era a quattro chilometri da Mauthausen. Cosa facevano a San Valentino? A San Valentino lavoravano i carro armati sotto la guida delle Wehrmacht, SS e polizia politica. Quelli che non riuscivano a lavorare li mandavano lì a Mauthausen! E quanti da lì “in passà all’aldilà!” (sono morti)
Quel nostro compagno lì che c’era lì stamattina l’hai timbrato, “ghà” (ha) il timbro. Ma come si fa a dire di no a questo qua! T. manda a casa, va su … col timbro, eccetera, eccetera. Da dove si trova? E’ del ’24. Come si fa a dire che “a l’è mia stà” (che non è stato) in un campo di sterminio! Ma dov’era? La definizione sterminio ma cosa significa? Cosa vuole, cosa vuol dire? Solamente la fame le botte… È “mica” (non è) durato un giorno. E’ durato due anni!



Vi hanno pagato in qualche maniera?

Niente.

 

Alcuni li hanno pagati lo sai no?

Non lo so.

 

Soprattutto con quei marchettini del lager che usavano anche se poi non gli rimaneva niente perché gli facevano tutte le trattenute.

No, io no.

 

Gli davano la saponetta e gli trattenevano i costi…

No non ne ho mai visto, Né quando ero in Amburgo e nemmeno quando ero a Solingen.
Io ho avuto degli amici con me che son trentini, che ne son morti tanti anche lì purtroppo. Noi più che altro erano ditte private che venivano a chiederci per lavorare, per aggiustare la casa, per far questo…

 

Ecco spieghiamo: quando venivano le ditte private che cosa succedeva?

Niente.

 

Vi mettevano lì in riga come al mercato delle vacche? Com’era?

Si, dieci soldati… Ma lì si mangiava qualcosa di più, quand’ero privato, privato che avevo bisogno di riparare di aggiustare… si eravamo un po’ liberi. Eravamo un po’ liberi, insomma un po’ liberi, mica tutti erano come me, che scappavano di qua e di là, però insomma era diversa, era diversa per gli altri.
Io riconosco che quelli delle fabbriche e quelli delle miniere erano peggio di noi, stavano peggio di noi. Però da duecentocinquanta, duecento, duecentocinquanta, che siam partiti da Bremenvoerde, “a sem rivà nianca cent!” (Non siamo arrivati che cento!) Ne abbiam persi lungo la strada eh… Quindi non è stata certamente una bella avventura insomma.
Poi dopo liberati…

 

Tu hai detto che gli inglesi vi hanno trattato male?

Gli inglesi sì.

 

Ma vi han liberato gli americani e vi hanno dato agli inglesi?

Sì, ma son stato lì fortunatamente, poco, poco a Solingen. “Sem istà lì poch” (siamo stati lì poco).

 

Cosa vuol dire che vi trattavano male?

Ma eran… facce scure facce… alla tedesca maniera, insomma.



Vi han dato da mangiare?

Sì, sì, ma per quello, però insomma, insomma “mi m’è mai piasou …” (non mi sono mai piaciuti) gli inglesi anche per natura stessa. Però insomma e di lì, quel processo lì che hanno inventato con quel cristiano lì per Dio, siamo andati tutti là per dimostrare, siamo andati là tutti che eravamo in settanta, ottanta a dire: “si, questo qui c’ha dato qui… perché è qui perché là… perché abbiamo avuto le grane, perché le abbiamo prese dal Rathaus, dal municipio lì di Solingen, e lui ci dava le cose: “che male ha fatto?”

 

Parlavate dell’Italia di come sarebbe stato il ritorno?

Niente, dell’Italia sapevamo niente.

 

Ma avevate un’idea di cosa sarebbe successo nel dopoguerra?

No.

 

Nessuna discussione?

Niente.

 

Come passavate il tempo? Leggevate, facevate …

Niente, stavamo appena appena in piedi: trentotto chili ero…
Si, settembre del ‘44. Questa è “Ausweis” questo era il libretto di lavoro: Ausweis; “ghe dentar anca ul bagai, ghè dentar anca ul timbra” (C’è dentro anche il …. C’è dentro anche il timbro)

 

Vuoi dire ancora qualcosa per il finale? Vuoi dire qualcosa sul ritorno a casa?

Ritorno a casa, trovo la casa distrutta, bombardata, mio padre e mia madre vennero ricoverati, vengono sistemati più che ricoverati, nella farmacia di Sant’Antonio quella di mio zio che ti ho fatto vedere, zio Colombini….
Un altro… un’altra casetta, e nel ‘46 mi sposo. Nel ‘47 ho avuto la prima figlia: dottoressa.

 

Hai fatto fatica a reinserirti?

Ma io no, ma io no! Io sono andato subito in posta.

 

C’erano dei posti per i reduci?

Si, a ma io ero già perché.. .

 

Tu eri già impiegato.

E già. Sì, abbiamo dopo costituito l’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia col Dottor Nicolardi e Conte Carmelo, abbiamo fatto l’associazione, anche qui a Mantova abbiamo sistemato banca reduci, banca Agricola, nelle banche, nelle poste, in Prefettura, ecceter, eccetera.

 

Senti lo chiedo a te, come mai questì reduci non hanno visto riconosciuto il loro percorso?

Allora , allora di quelli lì ce n’è uno solo rimasto, no due. Due che erano confinati, due ufficiali, due ufficiali che erano, che erano nel lager confinati. E di tutti quegli ufficiali che hanno costituito l’ANRP, sono rimasti in due. Ragionier Marchesi, che è stato direttore e guida industriale, e poi, e poi… se mi vuoi adesso chiudere con una dichiarazione di carattere politico odierno, te l’ha posso anche fare.

 

Più che dichiarazione politica, ti chiedo una valutazione sul motivo per cui secondo te non siete stati riconosciuti.

Ma, abbiamo tante responsabilità, perché anche quando abbiamo avuto il patrocinio dall’ANRP, c’è voluto anni prima che, perché prima l’han data all’ANEI e poi l’han data all’ANRP. Quindi è stato tutto un travaglio vissuto sulla pelle nostra. Ma anch’io, non posso poverini. Perché so che han fatto tutto quello che han potuto, con tutti i…

 

Ma al di là della ANRP come mai il governo italiano, lo Stato italiano non vi ha mai guardato?

Non lo so.

 

Ti sei fatto un idea?

Non lo so, mi son fatto l’idea e mi sembrava che…ecco, il mio concetto, ecco dare la casa e il lavoro come aveva detto uno dei padri Saragat, lavoro, casa e sanità, sarebbe stato quello che noi avremmo potuto dare al popolo italiano. Poi sai, i riconoscimenti vengono sempre tardi. Io, non ti dico quanti cavalieri ho fatto durante la mia vita pubblica. Ma dategli almeno…e i compagni questi qua, ma dategli almeno un riconoscimento. Ma “lì dentar” (lì dentro) nei trenta che c’erano nei… “A ghe saran stà des” (ci saranno stati dieci) poverini, che dunque ci siamo accontentati di quelli.
Io ne ho fatti un’infinità. Perché lì conoscevo, facevo presto. Avevo un amico deputato, sottosegretario eccetera, bastava dargli il nome e quando faceva… in pochi…
Ne ho fatti a decine, centinaia. Ma almeno quello! Adesso tu mi fai la domanda, cosa vuoi? Siamo fatti così… abbiamo servito la patria in silenzio e c’han detto “vai, vai, vai” e basta.