Mantova, 26.06.2003
Sono stato un post telegrafonico, in pensione, in quiescenza
dal 1978 e sono stato pubblico amministratore e vicesindaco della città,
ho amministrato anche l’ospedale Carlo Poma, ho istituito cooperative
edilizie per le case agli utenti, ai cittadini, ho costituito pure delle
cooperative agricole sempre in provincia di Mantova, e questa è
stata tutta la mia vita. La vita cittadina qui a Mantova non è tra le più
particolari, ma comunque Mantova fa parte sì della Lombardia, ma
credo che sia l’ultima, l’ultimissima della Regione Lombardia. Non sto
qui a fare polemica con gli attuali amministratori però, evidentemente
la cosa è in questi termini.
Indubbiamente Mantova è un po’ particolare come provincia, e ci sono dei lombardi che non sanno ancora bene se Mantova è in Veneto, in Emilia o in Lombardia… Ho dimenticato ecco: noi non siamo, noi per vocazione dovremmo essere sul Veneto e invece non siamo né sull’Emilia, e non siamo su Milano, ecco sul lombardo. Noi tentiamo di più: infatti la zona a reddito più alto è quella verso Verona, verso il Veneto. Dicevo che da una parte abbiamo Ferrara, Rovigo e Bologna,
dall’altra abbiamo il Parmense, poi più avanti abbiamo Milano,
e poi giù Brescia, Verona, Padova e quindi, chiudiamo l’anello….. Insomma a Mantova vengono solo per mangiare bene. Non so se oggi abbiamo mangiato veramente bene, ma comunque qui si mangia veramente bene.
Il mantovano sembra un po’ un’isola... Un isola, ma non direi felice.
No, felice non l’ho detto, resta un po’ tagliata fuori dalle grandi vie di comunicazione. Esatto, non abbiamo una tangenziale, ecco. Ti basti solo
questo qui, questa è la tangenziale che dovrebbe snellire tutto
il traffico che… Addirittura non abbiamo la tangenziale. Qui poco distante,
a Piadena c’è la tangenziale, tanto per dire Piadena che è
settemila abitanti!
Viene fuori poi Mantova per la storia del Parlamento Padano, come mai a Mantova? Ma, come mai… qui la Lega, tanto per essere molto chiari,
io ho degli amici, ma non è che abbia… anzi ha amministrato l’Amministrazione
Provinciale cinque anni fa, e adesso sono tornati, e allora hanno trovato
un posto qui appena fuori Virgilio, sulla strada che porta a San Benedetto
che porta vicino al Po, verso Modena insomma e hanno trovato questo castello…
Veniamo invece alla tua storia personale, partiamo dalle origini, parliamo della famiglia. La mia famiglia di origine è composta da mio padre e mia madre: mio padre veniva da Marmirolo qui vicino; hanno sposato un farmacista, una sorella di mio padre, e quindi, mio padre faceva il falegname niente di eccezionale. Poi lo zio farmacista non aveva figli, e ha fatto studiare mia sorella farmacista che ha ottantotto anni, è ospite qui di un bell’ospizio, qui fuori verso Virgilio. E questa donna qui, questa sorella che ho, siamo in due: lei è farmacista e io invece son diventato un postino, sindacalista dimenticavo della CISL, alla Pastore maniera, non a quelli di oggi, che di Pastore non ricordano neanche… E poi io sono andato in posta a diciotto anni ho fatto il concorso.
Nel 1938? Sì, settembre del ‘38 .
Quindi hai fatto le scuole, fino a quando hai studiato? Si, terza media, terza media normale. E poi a vent’anni sono stato trasferito dalle Poste in quel di Zara, perché allora bisognava andare a Zara già occupata verso il ‘40. Scoppiata la guerra, sono stato rivedibile per un anno, e poi nel ‘41 mi hanno chiamato alla leva, è scoppiata la guerra, la guerra doveva finire dalla mattina alla sera e invece purtroppo, è durata…
Com’era l’atteggiamento della tua famiglia nei confronti del fascismo? La mia famiglia: mio padre, che non aveva cultura, che
non aveva niente; però ricordo un fatto che, evidentemente me ne
sono accorto a ventiquattro anni, quando ero in un lager tedesco, che
si discuteva dopo… intanto che i tedeschi facevano i [Fruhstenmarken]
(buoni alimentari) loro, e noi invece eravamo là contro il sole,
e a mia madre, che abitavamo lì, poco distante dal di qua, diceva
a mia madre, molto cattolica e molto credente, diceva: “Maria ma è
inutile, tu vai in chiesa ma tu non sai!” Ma no diceva mia madre a mio
padre, “ma insomma vedi che Mussolini ha fatto le strade, ha fatto l’I.N.P.S.,
ma tu non sai che ha ammazzato Matteotti…”
Cosa c’era da bombardare a Mantova? Beh…, bombardavano coi bombardamenti verso il settembre, ottobre del ‘44 o anche del ‘45.
Cosa cercavano? Eh, cercavano niente. Qui c’era il prete che aveva una radiotrasmittente. E poi l’8 settembre ‘43, hanno ucciso un prete che io servivo messa, Don Leoni, l’hanno ucciso perché… L’hanno portato qui alla valletta perché aveva dato dei vestiti a dei militari. E poi dieci soldati sono stati prelevati da due… qui c’erano due campi di concentramento per la Germania, son stati prelevati e portati qui a qualche chilometro e uccisi anche quelli, i dieci dell’Aldriga. Inoltre c’è stata una donna, che nel passare per la città di camion con su i prigionieri che andavano in stazione per la Germania, una raffica l’ha colta, era Giuseppina Rippa, gli han dato la medaglia d’oro, ed è morta anche quella. C’è stato l’otto di settembre degli scontri qua fra militari, perché qui c’era un grosso raggruppamento di militari, di militari italiani, quindi anche qui è andata…
Due campi di concentramento? Sì al Gradaro? E a… adesso non mi ricordo, eran due insomma.
E’ rimasto qualcosa di questi campi? Niente, niente.
E dal punto di vista delle carte e dei documenti? Noo! Niente, niente… Sì abbiamo anche noi qui un ufficio di storia contemporanea che deve avere…
Si certo, conosco la Nicoletta Azzi. E che è molto brava, che hanno raccolto qualche cosa di questo, ma non hanno…
Vieni richiamato alle armi nel ’41? In che reparto? Dove ti mandano? Settembre ’41 e mi mandano a Bolzano al IV Genio, dal IV Genio si fa l’istruzione, ci si prepara, perché si doveva andare a dare un cambio al IV Genio trasmettitori. Si doveva andare in Dalmazia, in Dalmazia e in Albania, per tutta la zona della Jugoslavia occupata. Si doveva andare ad aiutare gli altri reparti che c’erano. Nel frattempo noi dovevamo fare il collegamento con alcune unità e dal Genio che io ero stato chiamato e con la cosiddetta bustina, da quella data, dalla fine del ‘41, abbiamo fatto lì sulla zona del Brennero, sulla zona che adesso mi sfugge il nome in Val Venosta, la strada dello Stelvio se m’aiuti, che è strada che porta allo Stelvio. Insomma abbiamo fatto delle esercitazioni e ci hanno dato la bustina di alpino perché dovevamo andare ad aiutare sempre nell’ambito delle trasmissioni, la divisione Tridentina. E siamo rimasti lì per un certo periodo, poi siamo rientrati a Bolzano, siamo andati ancora nella zona sempre dell’Alto Adige, e all’8 di settembre ero sulla Mendola che stavamo facendo esercitazioni.
Nella Dalmazia c’è stata un’occupazione italiana che è stata anche pesante? Sì ero stato anche prima t’ho detto come postale,
a lavorare all’ufficio postale di Zara, di Zara, che poi avevo un ricordo
particolare di giovane… Il medico m’ha detto: “va là… adesso vai
a Zara ti bevi un po’ di Maraschino ti passa il calore!” E infatti cosa
che avvenne… che avvenne immediatamente: mai uscito di casa, ti trovi
fuori…
Avevate già idea che stava arrivando l’armistizio? No, niente, l’otto niente, il nove niente, Cominciato però il nove mattina a sparare sentiamo sparare...
Ma gli ufficiali c’erano ancora? Sì, sì, no, no, io gli ufficiali non gli ho più visti, non lì ho più visti!
Tu eri soldato semplice? Sì, son diventato poi caporale ma… Insomma ho fatto poi quarantotto mesi eh! E ci han portato nel Talbèra, ci han lasciato lì due giorni…
Come vi hanno fermato? Come vi hanno arrestato? Niente, niente, sono entrati nella caserma: “deponete le armi, passate in fila, per Bolzano”.
Nessuno, nessuno, nessuno. Perché c’erano già i tedeschi con la fascia bianca, assieme ai tedeschi lì c’erano gli altoatesini con la fascia bianca; “ghera nient da fa” (non c’era niente da fare). Ci son stati degli scontri m’han detto su verso il Brennero, ma poi c’erano degli alpini lì su, ma cose leggere. Poi son partiti tutti, siamo partiti tutti.
Dove vi hanno radunato? Vi hanno portato a Bolzano? No, no, no, da Bolzano ci han portati in ferrovia, e poi in sessantaquattro siam partiti il dieci, il dieci e l’undici di settembre del ’43, da Bolzano. Partiti e via, e poi quattordici giorni di tradotta.
La tradotta com’era? La tradotta con sessanta e più soldati, e abbiam
fatto tre o quattro fermate, e quando si correva chiudevano le porte.
Siamo andati fino al confine della Polonia poi c’han fatto tornare indietro,
c’han portato a Bremervoerde: è stato il primo campo; e lì,
in questi quattordici giorni su e giù, perché si vede che
ne avevamo tanti.
Bremervoerde era un campo di smistamento e basta? Si, era un campo che riceveva tutti.
Anche di altre nazionalità? Sì, sì, beh insomma, lì al momento, al momento no. C’erano dei lazzaretti più avanti, perché poi dopo ci hanno cominciato a selezionare, a metterci dentro nei… Infatti io c’ho il mio numero del IV° battaglione BAU Battaglione L22, che poi è: Bau Arbeiten BTL 201 Hamburg 1, che poi siamo passati alle altre zone, che adesso è un po’ lunga da raccontare.
A Bremervoerde che cosa è successo? Vi hanno schedato, fotografato? Niente, niente… Dopo han fatto venire subito degli italiani, degli ufficiali, in divisa fascista per cercare… Facevano vedere il picchettino di pane, chi voleva aderire alla Repubblica di Salò poteva andare di qua, chi voleva restare, restava di lì. Ma eravamo diverse migliaia lì a Bremervoerde: la prima tappa. Poi siamo andati…
Qualcuno ha aderito alla Repubblica di Salò? Si, qualcuno ha aderito, ma neanche il 10%.
Eravate tutti soldati semplici? Tutti soldati semplici, ma qualche ufficiale ha preferito venire con noi. E dopo abbiamo fatto a Bremervoerde fino a dicembre, tutto il dicembre del ‘44.
Cosa facevate a Bremervoerde? Niente, lì non si faceva niente, perché si era solo in attesa di destinazione e cioè: non avevano ancora ben impostato il problema del lavoro. Capito? E allora prima di dicembre ’43 han cominciato a formare, e han formato un battaglione di circa di trecento uomini, duecentocinque. E han dato questo nome qua. E han cominciato ad andare verso Amburgo, è la prima tappa da Bremervoerde ad Amburgo. Amburgo era grandissima.
Un battaglione di lavoro stai dicendo? Si, sì, BTL.
Questo è successo nei primi mesi del 1944? Anche prima, anche prima, l’ultima quindicina del ‘43 siamo andati ad Amburgo. Ad Amburgo ci hanno messo dentro a una scuola diroccata che era molto in periferia e si chiamava “Antona”. E da lì han cominciato a farci lavorare. Ci alzavano alla mattina alle cinque, si facevano sette o otto chilometri in cinque incolonnati, si andava in stazione, si pigliava ancora il treno che c’era e ci portava molto lontano da Amburgo ma sempre nella zona di Amburgo, per fare delle piastrelle: delle piastrelle per le case. Ed era una grossa fabbrica dove c’era vicino la ferrovia dove ci portavano.
Eravate sempre scortati dalla Wehrmacht? Sempre, la Wehrmacht non ci ha mai lasciato un minuto.
Le condizioni generali lì a Bremenvoerde com’erano? Un disastro!
Voi siete arrivati in buone condizioni lì? Sì, c’è da dire che io, dopo neanche un mese… Avevo un orologio da diciassette rubini mi pare, e l’ho venduto per due chili di pane.
A chi l’hai venduto? Lì c’era mercato subito lì a Bremenvoerde.
Chi faceva mercato? Ma… chi lo sa, i tedeschi. Io l’ho venduto subito tanto
per essere chiari. E lì si lavorava al carico e scarico di questa
piastra. Si lavorava tutto il giorno, a mezzogiorno si e no loro facevano
il [Fruhstenmarken], e noi ci facevano sedere: quando c’era il sole, contro
il sole senza mangiare, perché si mangiava al ritorno a casa; al
ritorno nel lager, questa scuola diroccata chiamata lager, tanto di cartello,
tanto per essere chiari. Il lavoro era un po’… almeno per me abituato
a fare l’impiegato: avevo la pala per fare la sabbia, il cemento, come
si dice, come fanno qui adesso. Per fortuna però che avevo un muratore,
che è morto poverino, che era del ‘14 o del ‘13, che lui era veramente
un muratore e continuava a lamentarsi perché diceva: “Spartaco
butti troppa acqua, troppa qui, troppa là…” E poi siccome queste
andavano messe verso il sole per seccarsi, si spaccavano, e allora lì
era il tedesco, non la Wehrmacht, ma il tedesco, il direttore che conduceva
il lavoro si lamentavano e….Io ho detto: “tu non c’eri o eri appena arrivato,
il mio battaglione si vede che io… non dico comandante perché non…”
Cosa vuol dire spiombare i carri? Sì, perché i carri ferroviari lì vicino erano legati eccetera eccetera, e dopo andavo la portavo via e poi portavo tutto nel campo. Io facevo tutto questo sempre in funzione dei miei compagni. Si vede che il socialismo di mio padre mi è stato già tramandato. Dico questo perché è la verità, siccome io lo ritengo che è un sentimento umano che si sente, e io andavo a rubare e i miei compagni mi dicevano: “ma no! Spartaco ma sta fermo! Ma sta qui, ma sta …” Niente.
Cosa rubavi? Di tutto c’era, di tutto. Di tutto quello che poteva servire e non servire, e comunque…
E dove? Sempre lì ad “Altona”, ma poi non siamo stati fermi.
No dico a rubare dove?In fabbrica? Lì in… si portava, si portava… Ma poi non siamo
stati fermi lì. Verso l’aprile sempre del ‘44 ci portano a Cuxhaven
che è all’estremo del fiume Elbe, l’Elba all’estremo e di fronte
vedevamo allora già i primi bombardamenti che vengono su da Londra
e bombardavano Amburgo: i famosi B2 che me li ricordo ancora, che avevano
delle armi, delle armi dappertutto. Portavano armi dappertutto che erano
una tragedia se andavi sotto. E siamo andati a Cuxhaven così denominato.
Come si chiama esattamente? Cuxhaven, con la x, Cuxhaven.
Cuxhaven: in che zona è hai detto? Nel nord di Amburgo vicino al fiume Elba.
C’erano tanti italiani? Voi eravate rimasti insieme come reparto? Si noi eravamo sempre assieme, da lì fino alla liberazione siamo rimasti …
Ma il vostro gruppo da quante persone era composto? Ho detto circa duecentocinquanta.
Vi hanno sempre tenuto insieme sia come detenzione che come lavoro?
Riuscivate a comunicare anche con la vostra famiglia? Ecco, credo di essere stato l’unico che ha ricevuto trentun pacchi da mia sorella, credo. Nessuno ha ricevuto pacchi.
Salame, pane, burro, formaggio…
Quindi un paio di pacchi al mese arrivavano. Sì, io ho ricevuto fino quasi alla fine del ‘44 da mia sorella che c’è tuttora, quella che t’ho fatto vedere, i pacchi. Credo di essere l’unico di tutti i lager, di tutta la gente.
Ma come mai tu riuscivi a ricevere e gli altri no? Ah… questo lo devi chiedere a lei poveretta che io, gli ho sempre chiesto e lei spediva attraverso la Croce Rossa da ogni parte.
Comunicazioni riuscivi ad averne? E lettere, e ho delle lettere autentiche, e infatti le ho copiate e le ho mandate ai signori dell’OIM queste lettere qua. Con scritto: Spartaco G. il Nuvolo, Arbeiten, Amburgo, eccetera, eccetera.
Allora quando sei a nord di Amburgo: voi siete sempre separati? Sì voglio solo raccontare un fatto che è magnifico. Eravamo ancora in Amburgo, prima ancora di partire per Cuxhaven, che poi dopo siamo andati in Westfalia, ma alla sera… Alla mattina eravamo ancora incolonnati per cinque. Alla mattina io stavo davanti coi più giovani perché, se hanno sofferto più di noi, hanno sofferto quelli del ‘24, che li han presi in borghese senza neanche iniezioni eccetera. Quelli partirono alla mattina e siccome i tedeschi avevano già, durante i passaggi che facevamo: quei quattro o cinque chilometri di strada prima di arrivare al treno, mettevano i bidoni. C’erano i bidoni e sopra, passavano questi ragazzi, raccoglievano tutto e in bocca tutto quello che poteva esserci.
I bidoni della pattumiera stai dicendo? Quindi passando raccoglievano… Raccoglievano in bocca senza star lì a guardare
che cosa c’era.
Col pesce? Col pesce.
Come si mette fuori il latte dalle case? Esatto. Arrivati a un punto, dal punto dove avevano sentito,
che avevo sentito io, e quelli pronti: io dietro e quelli davanti, fra
lì, fra le cassettine e il lager saran stato seicento-ottocento
metri. Hanno portato via le due cassettine, non facciamo in tempo a arrivare
nel lager: “Halten! Halten! Halten, Halten! Controllore, controllore!
controllore, controllore!” arriva il padrone: “allaie!”
Hai detto che tu cercavi di arrangiarti anche un po’ in giro: cosa vuol dire? E arrangiarmi dove potevo. Uscivo dal cordone e dalla sfera della guardia per andare a raccogliere quello che vedevo per strada, quello che trovavo.
Non c’erano delle reazioni a queste uscite? No, devo dire che insomma… avevam più che altro
delle Wehrmacht austriaci buoni. C’era solo un sergente che era prussiano,
che era cattivo come una… e un capitano, tanto per dire avevamo un sergente
maggiore, un capitano e venti soldati tutti, tutti validi, tutta gente
che è venuta via dai fronti, eccetera eccetera.
Un momento prima della Westfalia volevo chiedere una cosa: come avete vissuto il passaggio a civili? Niente, niente, non abbiamo mai saputo niente!
Per voi non è cambiato nulla? Ma io leggevo, leggevo qualche giornale...
Non vi arrivava “La voce della Patria” quel giornale degli internati? Niente, niente, niente. A noi non è cambiato niente. E’ stato il settembre mi pare del ’44…
Si a partire dal luglio. Alcuni li hanno civilizzati in settembre
Ma qualcuno della Repubblica Sociale l’ avete più visto?
E la Croce Rossa? Ah si! Ecco... Quando eravamo in Amburgo, andavamo… Per i più malmessi c’era un lazzaretto custodito da francesi e inglesi; ecco io andavo là e combinavo di tutto per portar via roba e poi mi portavo dietro due o tre che erano tutti malmessi, tutti ragazzi di vent’anni, e lì ci facevano qualcosa e poi dopo ci rispedivano e basta … Quando qualcuno stava male si pigliava e si portava in quel lazzaretto lì. Arriviamo a Solingen.
Siamo a dicembre? Arriviamo a Solingen che è a una ventina di chilometri
da Duesseldorf, sì, a metà dicembre del ‘44. Solingen che
è composto da tre parti, tre città, tre zone: Solingen ovest,
est e nord praticamente. Ci portano anche lì in una scuola diroccata,
sistemata e ci buttano dentro lì in pieno sole.
Cosa facevate in questa zona? Ecco il nostro lavoro che abbiamo iniziato era questo:
scavi, acquedotti, fognature a quattro o cinque metri... morti, vivi,
bombardamenti, una roba che a raccontare… Un fatto: andiamo in un grosso
condominio, un grosso palazzo, e c’era un cristiano che era sotto e aveva
appena aperto, però aveva sopra di sé una grossa trave.
E il tedesco, la guardia dice: “scavare, skavare, kamire diev, scavare,
tirare, “nein!” e allora mette giù il fucile e ci fa vedere lui,
lui era già “mo” qui, c’era tutto... “Tirare! Tirare”, c’è
rimasto in man la gamba, perché c’era fuori solo una gamba.
Dici che erano di tutte le nazionalità, come fai a saperlo? Perché lo dicevano loro e lo si sentiva dalla voce. C’era qualche italiana.
Ma voi eravate ancora vestiti come quando vi avevano preso? Sì, sì, sì, uguale, uguale.
In Amburgo la vostra condizione di prigionia così … è cambiato qualcosa o era sempre… Niente, non è cambiato niente.
Se facevate qualcosa, cosa succedeva? Niente.
Ci sono stati casi di sabotaggio? No, niente, niente. Capirai!
C’è stato qualche episodio di punizione? No, niente, niente.
Qualcuno che è scappato? E che vuoi scappare?
Voi sapevate come andava la guerra? Io si! Quando siam sbarcati c’han chiusi dentro e hanno tirato fuori le baionette. Eravamo a lavorare là nella zona, il 18 luglio “l’è stà” (è stato) lo sbarco in Normandia. L’attentato a Hitler! L’attentato a Hitler e lo sbarco in Normandia gli ha “tirà fòu” (tirato fuori) la roba.
Ma i tedeschi erano ancora convinti di vincere la guerra. Voi riuscivate ad avere rapporti con la popolazione civile? Ah, buonissima. Se noi non avessimo avuto le donne, le donne… ma voglio finire nella zona di Wesfalia. Lì a Wesfalia nella zona di Solingen noi andavamo a lavorare in tutto quel cerchio di zona lì, che è la zona industriale, la zona anche più, diremo buona. Ecco buonissima! Lì le donne…
Buona in senso di cultura? Sì! Buona in senso di cultura e buona anche come
religione. Perché lì la maggioranza credo che siano cattolici
o comunque protestanti. Le donne… noi passavamo per la strada e ci buttavano
il pezzettino di pane, ci buttavano il pezzettino di pane. Se non ci fossero
state le donne saremmo morti ancor di più noi in Germania.
Non voleva l’italiano per portargli la borsa? Lì abbiamo assistito al famoso sbarco, il passaggio
del Reno da parte delle truppe del generale che c’è stato un film,
aiutami, generale… che è andato a Berlino. “ L’è ruvà”
(è arrivato) a Berlino.
Vi ha liberato quindi il generale Patton? Si, il generale Patton.
Son successi problemi coi russi? Sull’Elba, là sulla riva, la demarcazione che avevano stabilito a Yalta di arrivare fino a lì e fermarsi. E quindi loro dopo han fatto quello che hanno fatto. Però evidentemente, ripeto ancora: “se non avessero bombardato e raso al suolo la Germania, c’erano venti milioni, caro ragazzo, venti milioni di prigionieri in Germania. E sai quanti ne sono morti? Ne han portati… se poi, abbiamo pietà per carità! Come abbiamo pietà per la bomba atomica che hanno sganciato in… Ma ti immagini, ma ti immagini, fino all’ultimo! Ecco il finale, fino all’ultimo io sentivo la radio tedesca: “Nein pappe cittadini tedeschi, nein pappe. Abbiamo le nuove armi!” Era Goebbels, Himmler, che incitava la gente a resistere “perché abbiamo le nuove armi!” Ma questa qua… Ecco tu hai parlato di storia, ma la storia “la sa mia” (non sa) queste cose! Non le dice nessuno queste… Oooh! Fin in ultimo. E erano conquistati fino a un pezzettino… perché ai tedeschi Hitler non gli ha fatto mancare una virgola. Avevano tutto, tutto, persino l’ago per cucire, non gli mancava niente! Ecco questa è la verità vissuta.
Hai detto che le donne vi hanno aiutato? Le donne ci hanno aiutato e basta.
E invece il resto della popolazione? Ma no, no, i maschi ce n’eran pochi, vi potrei raccontare
poi dopo i fatti successi, per esempio quello lì che c’ha dato
da mangiare con le carte annonarie fasulle. Che ha avuto delle rogne,
siamo andati in tribunale, c’eran gli inglesi, per fortuna sono stati
poco, per fortuna gli inglesi che eran peggio dei tedeschi… e su denuncia
dei tedeschi questo qui è… accaparramento e tutta questa cosa qui.
Per fortuna che ci siamo andati noi a dire: “no, c’ha dato a noi, c’ha
dato, c’ha dato a noi! Ha capito?” Quindi era stata tutta una cosa… Comunque
il nostro ruolo del nostro BAU battaglione BAO battaglione: “L22: Arbeiten”,
ne ha fatte di tutti i colori, siamo stati dappertutto. E anche quando
siam venuti via, siam partiti da Dusseldorf che c’è voluto altri
quindici giorni perché non c’era un metro di ferrovia stabile,
ogni tanto ci si fermava per aggiustare.
In che condizioni fisiche eravate al ritorno? Condizioni fisiche disastrose! Quel T. lì poverino, quel T.
lì che è stato a San Valentino, San Valentino era a quattro
chilometri da Mauthausen. Cosa facevano a San Valentino? A San Valentino
lavoravano i carro armati sotto la guida delle Wehrmacht, SS e polizia
politica. Quelli che non riuscivano a lavorare li mandavano lì
a Mauthausen! E quanti da lì “in passà all’aldilà!”
(sono morti)
Alcuni li hanno pagati lo sai no? Non lo so.
Soprattutto con quei marchettini del lager che usavano anche se poi non gli rimaneva niente perché gli facevano tutte le trattenute. No, io no.
Gli davano la saponetta e gli trattenevano i costi… No non ne ho mai visto, Né quando ero in Amburgo
e nemmeno quando ero a Solingen.
Ecco spieghiamo: quando venivano le ditte private che cosa succedeva? Niente.
Vi mettevano lì in riga come al mercato delle vacche? Com’era? Si, dieci soldati… Ma lì si mangiava qualcosa
di più, quand’ero privato, privato che avevo bisogno di riparare
di aggiustare… si eravamo un po’ liberi. Eravamo un po’ liberi, insomma
un po’ liberi, mica tutti erano come me, che scappavano di qua e di là,
però insomma era diversa, era diversa per gli altri.
Tu hai detto che gli inglesi vi hanno trattato male? Gli inglesi sì.
Ma vi han liberato gli americani e vi hanno dato agli inglesi? Sì, ma son stato lì fortunatamente, poco, poco a Solingen. “Sem istà lì poch” (siamo stati lì poco).
Cosa vuol dire che vi trattavano male? Ma eran… facce scure facce… alla tedesca maniera, insomma.
Sì, sì, ma per quello, però insomma, insomma “mi m’è mai piasou …” (non mi sono mai piaciuti) gli inglesi anche per natura stessa. Però insomma e di lì, quel processo lì che hanno inventato con quel cristiano lì per Dio, siamo andati tutti là per dimostrare, siamo andati là tutti che eravamo in settanta, ottanta a dire: “si, questo qui c’ha dato qui… perché è qui perché là… perché abbiamo avuto le grane, perché le abbiamo prese dal Rathaus, dal municipio lì di Solingen, e lui ci dava le cose: “che male ha fatto?”
Parlavate dell’Italia di come sarebbe stato il ritorno? Niente, dell’Italia sapevamo niente.
Ma avevate un’idea di cosa sarebbe successo nel dopoguerra? No.
Nessuna discussione? Niente.
Come passavate il tempo? Leggevate, facevate … Niente, stavamo appena appena in piedi: trentotto chili
ero…
Vuoi dire ancora qualcosa per il finale? Vuoi dire qualcosa sul ritorno a casa? Ritorno a casa, trovo la casa distrutta, bombardata,
mio padre e mia madre vennero ricoverati, vengono sistemati più
che ricoverati, nella farmacia di Sant’Antonio quella di mio zio che ti
ho fatto vedere, zio Colombini….
Hai fatto fatica a reinserirti? Ma io no, ma io no! Io sono andato subito in posta.
C’erano dei posti per i reduci? Si, a ma io ero già perché.. .
Tu eri già impiegato.
Senti lo chiedo a te, come mai questì reduci non hanno visto riconosciuto il loro percorso? Allora , allora di quelli lì ce n’è uno solo rimasto, no due. Due che erano confinati, due ufficiali, due ufficiali che erano, che erano nel lager confinati. E di tutti quegli ufficiali che hanno costituito l’ANRP, sono rimasti in due. Ragionier Marchesi, che è stato direttore e guida industriale, e poi, e poi… se mi vuoi adesso chiudere con una dichiarazione di carattere politico odierno, te l’ha posso anche fare.
Più che dichiarazione politica, ti chiedo una valutazione sul motivo per cui secondo te non siete stati riconosciuti. Ma, abbiamo tante responsabilità, perché anche quando abbiamo avuto il patrocinio dall’ANRP, c’è voluto anni prima che, perché prima l’han data all’ANEI e poi l’han data all’ANRP. Quindi è stato tutto un travaglio vissuto sulla pelle nostra. Ma anch’io, non posso poverini. Perché so che han fatto tutto quello che han potuto, con tutti i…
Ma al di là della ANRP come mai il governo italiano, lo Stato italiano non vi ha mai guardato? Non lo so.
Ti sei fatto un idea? Non lo so, mi son fatto l’idea e mi sembrava che…ecco,
il mio concetto, ecco dare la casa e il lavoro come aveva detto uno dei
padri Saragat, lavoro, casa e sanità, sarebbe stato quello che
noi avremmo potuto dare al popolo italiano. Poi sai, i riconoscimenti
vengono sempre tardi. Io, non ti dico quanti cavalieri ho fatto durante
la mia vita pubblica. Ma dategli almeno…e i compagni questi qua, ma dategli
almeno un riconoscimento. Ma “lì dentar” (lì dentro) nei
trenta che c’erano nei… “A ghe saran stà des” (ci saranno stati
dieci) poverini, che dunque ci siamo accontentati di quelli. |
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