Intervista alla sig.ra H. Ina, Odessa (Ucraina),
1925
Mi dica come si chiama e dove è nata. Mi chiamo H. Ina, sono nata a Odessa in Ucraina nel 1925, 29 ottobre.
Mi può dare un quadro, a grandi linee, della sua infanzia, della sua famiglia, e dell’Ucraina? Beh i miei genitori erano… Mio papà era un ingegnere,
mia mamma era un’insegnante.
In che mese? Mese di Giugno o di luglio del ‘42 a Frankfurt am Main.
Ci può raccontare il momento della cattura? Dopo l’occupazione dell’Ucraina dalla parte delle… delle truppe germaniche, avevano bisogno di manodopera per lavorare negli stabilimenti, in agricoltura o ovunque perché gli uomini erano impegnati in guerra e mancava la manodopera perciò rastrellavano la gioventù, specialmente i giovani, in Ucraina e facevano delle… delle… tradotte nel carro bestiame naturalmente, non nei treni, treni merci e son partita da Petrograd [probabile nome attuale: Petrovka nella provincia di Odessa. N.d.r.] nel tempo di guerra ero a Petrograd anzi i due anni precedenti la mia famiglia è stata trasferita per… per lavoro a Kirowograd [probabile nome attuale: Kirovohrad. N.d.r.] che non si trova lontano da Odessa, circa duecento chilometri in centro di Ucraina, verso il centro. E di lì ho impiegato quindici giorni per arrivare a Frankfurt am Main in Germania dove c’era un grandissimo campo di raccolta. Sarà stato un campo di circa ventimila deportati e… ci disinfettavano, ci spogliavano, insomma…
Vi fotografavano e vi davano il numero? Non ci davano ancora il numero. Lì eravamo soltanto
fotografati e… e spogliati, disinfettati e tutte queste cose qui, con
visita medica perché avevano già fatto visita medica precedente
in Ucraina per esser sani, per poter lavorare naturalmente, non deportare
malati. E… lì arrivavano da tutta la provincia, provincia, dintorni
non so, delle persone che sceglievano, ci mettevano tutti in fila nel
piazzale di questo… di questo campo, tutti in fila, e passavano tra file
e file tedeschi civili che sceglievano indicando col dito: “Questo, questo,
questo”; e noi non capivamo il perché e il per come, ma ognuno
si sceglieva diciamo un numero di manodopera. Ma queste scelte, quelli
che sceglievano, diciamo persone civili tedeschi, erano piuttosto per
agricoltura, lavori domestici, lavori negli ospedali di pulizia e cosi
via. Erano piccole quantità di persone che portavano in altre città
dopo. Invece quelli dell’industria che arrivavano a scegliere, non sceglievano,
prendevano, non so, dieci, cinque, mille secondo le necessità di
industrie. Io… si può dire che sono stata un po’ fortunata in questa
scelta, perché là hanno scelto circa un sessanta, settanta
ragazzi che eravamo lì soltanto ragazze, non… non i giovanotti.
Gli uomini non c’erano perché erano tutti in guerra in Unione Sovietica,
c’erano qualche ragazzo di sedici, diciassette anni al massimo, tutto
il resto erano donne, ragazze, e le han portate, queste trenta o quaranta
persone che han scelto, a Kassel, una città della Germania, e lì
era in un altro campo più piccolo dove hanno stabilito come...
che lavoro... dove mandare perché c’erano già richieste,
richieste dei tedeschi che avevano il diritto a questa manodopera gratuita.
Cioè praticamente, io che sono... un po’ parlavo tedesco perciò
ho anche aiutato di, di… tradurre le cose. Son stata fortunata in questo
perché m’hanno assegnato una casa privata di un ufficiale tedesco
che era sul territorio del… del… della Francia. E’ stato rimpatriato perché
era malato e avevano il diritto a un… un aiuto dalla parte… E assegnavano
anche ragazze alle famiglie numerose perché la madre lavorava e
badava ai bambini, alla casa e tutto il resto. Altre sono state assegnate
nella lavanderia, negli ospedali e così via.
Lei ha visto molti tedeschi in questi campi? No, io in questi campi non sono mai entrata perché erano… erano recintati e… e… io sapevo naturalmente benissimo perché c’era qualcuno che dopo un po’ di tempo, uscivano i tedeschi stessi e raccontavano le cose che facevano. E naturalmente c’era anche il triangolo rosso che portavano, che erano politici tedeschi, come anche stranieri che erano…… Poi c’erano campi di prigionieri e… e campi di lavoro. Io… andavo sempre nei campi di lavoro per trovare un po’… così… persone della mia terra era… erano amici e così, che avevo il permesso, però dovevo essere sempre accompagnata da un tedesco che, c’avevo in questo caso di proprietà…della padrona diciamo dove lavoravo io, mi accompagnava in questo campo nel pomeriggio di domenica dove potevo conversare un momentino con… con altre ragazze deportate come me. E così un pochino, insomma mi sentivo… perché ero completamente isolata essendo in una casa privata che lavoravo. Fino all’ottobre... al novembre del ’43.
Quindi lei viveva a casa di questo tedesco con la sua famiglia. Sì.
Come veniva trattata? Beh, molto rigidamente. Non c’era confidenza perché anche loro dovevano trattare così. Però dopo quando passando un po’ di tempo e, così diciamo, era… almeno la padrona diciamo di, di, di... questo appartamento, era diventata un po’ più umana verso di me. Perché in definitiva non avevo che diciassette anni e non, non… non ero che una ragazzina e così, in più che mi sembrava una cosa troppo umiliante, nel senso che dovevo servire… mi ribellavo. Ribellavo e allora per spaventarmi una volta mi ha portato dalla Gestapo. E quando uno capita in questi uffici dove ci sono Gestapo è… un po’ pesante. Naturalmente per far che non mi ribellavo più a far certi lavori, certe cose, insomma… da ragazzina non è che mi rendevo nemmeno conto a che cosa andavo incontro se mi rifiutavo a far certe cose. E m’han spaventato talmente tanto perché m’han minacciato di portarmi nei campi di sterminio Konzentrationslager che era… e sapevamo tutti. Non è che i tedeschi poi finita la guerra dicevano che non sapevano di questi campi: non è vero perché sapevamo tutto di questi campi! Noi come loro, come tutto lo sterminio, è così.
Quindi sapevate dello sterminio degli ebrei? Senz’altro. Già forni crematori sapevamo nel ’43,
‘44 sapevamo già che c’erano forni crematori. E in questi forni
non andavano soltanto ebrei, ma anche… anche altri.
Ritorniamo alla sua famiglia e al momento in cui l’hanno presa: cosa è successo? Ne erano a conoscenza i suoi genitori? Dalla Germania si poteva comunicare? Mi dà un quadro storico del periodo? In Unione Sovietica le scuole erano molto valide. In quel periodo, il… ministro della pubblica istruzione era Krupskaia, cioè la moglie di Lenin. Lei ha impostato molto bene l’educazione scolastica, molto, molto bene dopo la rivoluzione. Perché c’era l’ottanta percento delle persone analfabete sul territorio russo, ucraino, insomma Unione Sovietica. Era obbligatorio, anche operai e contadini di fare scuole serali per alfabetizzazione. Mia madre, che era insegnante, dopo lavoro suo di insegnante elementare, lei la sera doveva ripetere questo insegnamento agli adulti che li raccoglievano andando per le case, insomma con dei… dei mezzi di trasporto dopo cena e li portavano nelle scuole per alfabetizzazione. Le scuole erano molto valide. Infatti insegnavano delle cose, prima di tutto han fatto alfabeto modificato, molto più… come devo dire…
Più semplificato? Semplificato, giusto! Hanno tolto tante lettere dall’alfabeto russo pre rivoluzione che non avevano ragione di essere e hanno semplificato molto grammatica anche… essenziale. Perciò, studi erano molto severi, iniziando… quando… quando ero io bambina non ho iniziato con la prima elementare perché c’erano le classi preparatorie alla prima elementare. I ragazzi a scuola avevano colazione calda… una colazione calda servita come mensa, diciamo, durante orari nell’intervallo tra le lezioni. Era naturalmente non a pagamento, ma lo stato pagava questo. Scuole superiori erano altrettanto valide... scuole eran divise. Elementari quattro classi, tre classi di scuola media inferiore e tre classi media superiore, cioè dieci anni di scuola che erano contigue. Ogni anno dalla quarta elementare fino al decimo, erano, c’erano ogni anno esami. Si doveva, alla fine dell’anno scolastico si facevano degli esami… per accedere…
Mi scusi, ma gli anni di preparazione quanti erano? Un anno. Si chiamava classe zero. E questo quando ero, poi è… è scomparso negli anni a venire, poi è scomparsa questa classe preparatoria. Questo diciamo negli anni trenta, ecco. Poi si aveva il diritto di accedere, dopo settima classe con esame di ammissione, a istituti tecnici. Istituti tecnici come anche magistrali e così via, ma magistrali per elementare, soltanto classe elementare. Se finiva la decima classe, sempre con esame di ammissione, avevano il diritto di accedere tutti, avevano il diritto a università e istituti sempre con esami. E concorsi erano molto, molto grandi anche, diciamo in media su ogni posto disponibile nelle prime classi, università o istituti tecnici, c’erano dieci concorrenti, perciò sceglievano i migliori, quelli che avevano avuto i migliori voti negli esami d’ammissione. Naturalmente il numero era chiuso, e iniziando dall’istituto tecnico gli studenti ricevevano stipendio dallo stato, oltre che i libri erano gratuiti e si pagava soltanto, si comprava i quaderni, diciamo questo tipo, ma i libri erano gratuiti. E c’erano presso ogni scuola, ogni istituto grandi biblioteche con i libri di testo. Se uno non poteva avere, diciamo, per tutto l’anno scolastico, li prendeva in biblioteca e li restituiva dopo quando non aveva più bisogno perciò le spese erano pochissime. Quelli che… gli istituti che entravano all’istituto… che erano fuori diciamo dal… dal… dalla città dove abitavano, dalla provincia che arrivavano avevano case dello studente gratuite anche quelle più la mensa che costava pochi centesimi per gli studenti. In questo senso l’Unione Sovietica era molto progredita e in pochi anni hanno liquidato analfabetismo con studi superiori molto, molto avanzati e molto validi. Perciò se non… non fosse stato obbligatorio per legge… questo… questa istruzione questa… l’Unione Sovietica forse non avrebbe raggiunto in pochi anni lo sviluppo industriale perché è un paese che era agricolo, assolutamente senza industrie, quanto… diciamo, prima della rivoluzione le poche industrie che esistevano in Unione Sovietica erano tutte industrie di stranieri tedeschi o… austriaci, inglesi, francesi, c’erano… c’era la società agricola. Grandi latifondai, diciamo, che passavano all’estero tutta la loro vita e i contadini morivano di fame. Perciò questo sforzo di… di… di… educare e anche… anche istruire, anche creare industrie pesanti, leggere e tutto il resto, è costato molto alla popolazione… popolazione civile. Naturalmente questi sforzi enormi, l’istruzione era obbligatoria per tutti. Non si poteva esimersi perché se i genitori per qualsiasi motivo anche nel più sperduto paese, non mandavano i figli erano passibili di arresto perfino! Non mandavano i figli a scuola. Studenti ricevevano uno stipendio, naturalmente non troppo alto però con aiuto, un piccolo aiuto anche da parte dei genitori riuscivano a portare a termine l’istruzione. Quelli che avevano possibilità naturalmente vivendo in città erano più agevolati in questo senso… in questo senso qui.
Qual’è il suo ricordo della scuola elementare
e delle successive?
Si sentiva l’impronta del partito? Sì molto, molto. Ogni scuola, ogni industria pesante, pesante, leggera, qualsiasi… ogni istituto e così via, al direttore didattico, o ingegnere in un industria che era direttore di fabbrica, era affiancato da un commissario politico. Non poteva mai prendere decisioni di tipo strettamente suo, di sua competenza se non andava approvato dal… dal commissario. Tanto è vero che anche l’Armata rossa, anche in tempo di guerra, anche in tempo di pace, ogni ufficiale di gradi superiore era affiancato da un commissario politico che doveva decidere di più che quello generale…
E nelle scuole? C’era un piano che era per tutta l’Unione Sovietica che dovevano rispettare insegnanti. Dovevano rispettare questo piano e questo… questo… programma di studio per ogni classe, per ogni cosa. Però se c’era da prendere altri… provvedimenti altri… cosi che non congegnavano strettamente col programma scolastico, doveva decidere, prima del direttore, doveva decidere il commissario che era affiancato. Naturalmente era… nelle scuole era molto sviluppato lo sport, altri… altri circoli culturali che chi piaceva letteratura frequentava questo, chi piaceva… ragazzi chi piaceva… la musica frequentava questo, chi piaceva recitazione frequentava questi, sempre nella scuola. La ginnastica e lo sport era molto, molto rinomato e molto seguito, molto incoraggiato. Naturalmente il professore di educazione fisica sceglieva i migliori e li mandava in una città, diciamo, dove si occupavano dopo l’orario scolastico dove insegnavano più… allenavano ecco nelle discipline, diciamo, ecco di, di… particolari. E da questi davano possibilità a tutti di emergere perché erano completamente gratuiti e seguiti da professionisti in queste… in queste… materie e in questi studi. Perciò ognuno che… che vedevano che eccelleva nel, nel… o nella musica, o nel canto, o nel… nel nella ginnastica, o nello sport e proseguiva sempre a spese dello stato. Quando arrivavano ai vertici diciamo dell’insegnamento di qualsiasi di… queste discipline, erano stipendiati dallo stato. Perché non potendo lavorare, ma seguendo soltanto sport, musica o recitazione, diciamo teatri e così via, il balletto classico che era molto rinomato in Unione Sovietica e c’erano moltissimi bambini che gratuitamente studiavano presso i teatri queste cose. E erano, quando arrivavano più in alto, dai diciotto ai vent’anni in poi, erano stipendiati dallo stato per poter proseguire non a spese dei genitori perché non tutti naturalmente potevano pagare queste cose e poi erano gratuite a dire la verità. E niente, così era… così era la vita……
Anche lei faceva altre attività? Ah, sì… a me piaceva molto la poesia, ho frequentato questi… questi circoli dove c’erano i veri attori del teatro che venivano nella scuola a insegnare recitazione o… recitazione anche delle poesie, ecco. Quando c’erano delle festività scolastiche o anche festività dello stato come il sette novembre che… la festività della rivoluzione di ottobre, il primo maggio e così via, capodanno e tutto… organizzavano, ed ogni scuola aveva la sua grande sala dove c’era un palcoscenico, facevano i cori anche il coro, diciamo… di ragazzi che sapevano cantare, chi recitava, chi… insomma, ognuno… ognuno faceva quel che poteva o queste… queste feste che erano scolastiche molto belle e non soltanto delle scuole elementari, ma seguiva, proseguiva tutto, tutto in generale, diciamo iniziando dalle… dalle elementari, iniziando nelle scuole, istituti e così via. Ognuno nel suo ambito faceva oltre gli studi, faceva questo tipo di attività. Perciò i ragazzi erano sempre… sempre impegnati in qualche cosa e non dovevano passare in mezzo alla strada il resto della giornata abbandonati a se stessi perché lo stato, insomma in quel senso lì, provvedeva a occuparli, ecco.
Mi racconta qualcosa della guerra? Il ventun giugno del 1941, senza dichiarazione di guerra,
i tedeschi han bombardato quattro città tra cui Odessa, Kirowograd,
in Crimea, Brest e Mosca, naturalmente senza dichiarazione di guerra.
Il ventidue ero a scuola a fare un esame, frequentavo il primo anno di
magistrali, e mi ricordo come adesso sono uscita dopo aver fatto l’esame
e ho sentito, perché allora in Unione Sovietica in tutte le città,
c’erano altoparlanti dappertutto che trasmettevano come radio diciamo,
altoparlanti attaccati ai pali della luce, e così, e… ero contenta
che esame andato bene, con una mia amica ebrea, poverina purtroppo è
stata eliminata subito, dopo nemmeno un mese di occupazione, e abbiamo
sentito questa voce molto forte, diciamo, che annunciava invasione sul
territorio sovietico; che il giorno dopo ha parlato Stalin addirittura
in persona rivolgendosi a tutta popolazione sovietica dicendo che è
scoppiata la guerra, che i tedeschi hanno aggredito Unione Sovietica.
Da allora naturalmente è cambiata la vita però nessuno ci
credeva che sarebbero arrivati fino a Kirowograd, dove abitavo io allora.
Non ci credeva nessuno, tanto è vero che ho finito di fare tutti
esami fino a otto di luglio, ogni tanto arrivavano i bombardieri a bombardar
le città, ma niente di particolarmente… Vedevamo che tante persone,
tanti militari, in campagna così attraversavano incominciando dalla
fine di luglio, attraversavano campagne disarmati soltanto in divisa,
che si ritiravano. Ma non si ritiravano a armate intere, ma singoli gruppi
di… di questi militari. E noi domandavamo: “Cosa sta succedendo? Perché
siete qui e non al fronte in divisa militare? Cosa……”; e siccome era anche
pericoloso domandare perché loro naturalmente ritirandosi si consegnavano
al… al… al distretto militare; cioè ritirandosi si consegnavano
lì per poter essere riarmati e rimandati al fronte, non so, insomma
c’era la disfatta… disfatta completa. Noi civili abbiamo iniziato ad aver
paura che peggioravano le cose. E peggiorate molto rapidamente benché
questi altoparlanti continuavano, naturalmente la propaganda, continuavano
a dire che l’Armata rossa ci teneva al fronte molto, che i tedeschi non
avrebbero potuto avanzare sui territori sovietici. Già che Brest
Litowsk, allora è caduta. Noi non sapevamo metà dell’Ucraina
era già stata occupata. Noi non sapevamo il perché. Quando
è scoppiata la guerra è stato dato ordine: chi aveva apparecchi
radio in casa doveva consegnare tutto allo stato. E siamo rimasti soltanto
con questi altoparlanti per sapere, che poi trasmetteva lo stato senza
poter ricevere qualsiasi altra stazione radio. Se qualcuno parlava qualche
cosa che dicevano: “Stanno avanzando i tedeschi”; poteva essere arrestato
per… per propaganda o per panico che creava panico. Era molto severo perciò
se qualcuno dubitava qualcosa, non… non si esprimeva molto in mezzo alle
persone perché passivo di arresto. Tanto è vero che un bel
giorno le persone che riuscivano… passando queste persone, che qualcuno
che scappava che andava verso est, hanno iniziato già a sparger
la voce che la Polonia quando è stata occupata, gli ebrei in Polonia,
che erano moltissimi che vivevano lì, che son stati confinati nei
ghetti perciò che i tedeschi avevano con gli ebrei. Ma non avevano…
non avevano particolarmente ferocità verso le popolazioni che,
che non a… invece gli ebrei erano molto spaventati e cercavano di… di…
di scappare insomma verso est verso e… ma non c’erano né trasporti,
né niente perché tutti i trasporti erano addetti ai militari,
tutti i treni che esistevano. Anche noi cercavamo di scappare però
siamo riusciti a scappare soltanto… soltanto io e mia mamma perché
il papà non c’era già più, e nei paesi, dintorni
della città dove abitavo io per nascondersi in mezzo ai paesi e
così, perché le città venivano bombardate dai tedeschi.
E… però queste voci che continuavano a dire che avanzavano, avanzavano
i tedeschi e allora abbiamo avuto paura perché in questo paese
dove siamo rifugiati abbiamo sentito spari di cannone, cannonate. E allora
mamma ha deciso di ritornare di nuovo in città a casa dove abitavamo
perché avevamo paura che sarebbero stati tagliati fuori perché
si sentiva spari di artiglieria pesante.
Chi ha aperto le prigioni? I sovietici prima di ritirarsi.
E quindi le milizie? Quello non era milizie era Kgb. E’ un’altra cosa.
Era milizia segreta? Segreta. Poi dirigeva, è un altro reparto che
dirigeva prigioni, non era proprio milizia, milizia, ma era ordine pubblico.
E naturalmente lasciando uscir fuori tutta la delinquenza comune hanno
invaso… Quando han visto che l’ultima milizia con treno, l’ultimo treno
che partiva perché avanzavano tedeschi, la sera, di notte e così
son partiti abbandonando la città a se stessa, in balia della delinquenza
comune. E’ stato un disastro. I tedeschi sono entrati un giorno dopo,
non… subito il giorno… diciamo dopo due giorni, un giorno e mezzo, sono
entrati in città completamente abbandonata. Naturalmente l’han
presa senza combattere perché è stata abbandonata dalle
forze dell’ordine, quelli civili erano tutti nascosti nelle case con paura
perché la propaganda che diceva che avrebbero tagliato la gola,
violentato… violentato le popolazioni civili, le donne e così via.
Naturalmente eravamo spaventati, disorientati, un disastro. Persone impazzivano,
chi scappava con una valigetta in mano e non sapeva neanche dove scappare
perché i tedeschi ormai quando hanno occupato questa città
sono andati oltre perché la città è stata circondata.
Come era la convivenza tra gli ebrei e la popolazione di Kirowograd? Convivenza era molto… normale come anche verso altre
popolazioni che esistevano sul territorio ucraino. Esistevano anche altre
popolazioni, naturalmente non soltanto ucraine, ma anche russi, bielorussi,
caucasici e persone anche dall’Asia centrale e così via. E… erano
moltissime. Quando i tedeschi hanno occupato Kirowograd che era in principio,
prima settimana d’agosto del ‘41 hanno subito istituito, perché
essendo Unione Sovietica tutta dello stato, tutto il territorio, tutti
i negozi, tutte le attività di qualsiasi genere appartenevano allo
stato. Quando questa… questa… lo stato si è ritirato… è
stato occupato questa città e altri… altri posti dove i tedeschi
hanno occupato, prima cosa che han fatto, hanno subito… non svalutato,
hanno… hanno distrutto, han detto che non ha più valore i rubli,
che erano moneta sovietica, e han… già prestampati, come han fatto
in tutta Europa, dopo ho saputo questo, e… i marchi tedeschi militari.
Cioè che era carta stampata per scambio in tutti i paesi anche
del… del est, come… in Francia non lo so, ma in ogni modo in tutti i paesi
dell’est esistevano questi marchi tedeschi di guerra. Valuta sovietica
non aveva nessun valore, cioè non l’accettava nessuno e poi non
c’era niente da comprare perché essendo negozi e tutto il resto
appartenuto allo stato, bestiame, e… tutto il resto, ritirando le forze
armate dall’Unione Sovietica lo stato ritirato, i tedeschi hanno occupato
tutto. Tutti i magazzini han requisito. Bestiame che i sovietici non son
riusciti a evacuare l’han ammazzato loro nella ritirata. Han requisito
tutto quello che potevano requisire e portarsi nelle retrovie. Però
tutto il resto è stato requisito, quello che non è stato
portato via dai tedeschi. Non avendo noi, popolazione civile in città,
non avendo negozi perché i negozi appartenevano allo stato, una
volta che stato non c’è: rimasti locali vuoti. Senza niente. Non
avevamo niente! Assolutamente niente! Da mangiare non c’era… perché
non c’erano nemmeno botteghe private che vendevano, non so, qualche verdura,
qualche patata, qualche cosa, niente. Perciò i tedeschi hanno istituito,
per non far morir di fame del tutto la popolazione, hanno istituito chi
lavorava da qualche parte davano mezzo chilo di pane al giorno. Pane cotto
e insomma lo davano così. E… il lavoro non c’era, le scuole erano
chiuse, industrie a Kirowograd c’era una grossa industria di macchine
agricole. Lavoravano circa dodici, quattordicimila operai. I sovietici
prima di ritirarsi, ventiquattro ore prima, hanno fatto saltar questo
stabilimento. Tutto il resto gli stabilimenti, fabbriche che esistevano
in questa città, credo su quasi tutto il territorio quando si ritiravano,
li facevano saltare per non lasciarli in mano ai tedeschi. Il grano non
è stato, in campagna, nelle campagne sovietiche, raccolto perciò
era secco e i sovietici hanno incendiato. Bestiame che non riusciva a
seguire in ritirata lo ammazzavano o annegavano nei fiumi. La popolazione
è rimasta completamente abbandonata a se stessa in mano agli occupanti.
Chi non lavorava, lavoro non c’era da nessuna parte perché tutto
quello che c’era dello stato è stato distrutto. Che lavoro poteva
fare? Servire le truppe tedesche. Cioè praticamente, quando, che
non avevamo nemmeno il sapone per dire la verità, allora le donne
di casa prendevano la biancheria degli occupanti tedeschi per lavare ‘sta
biancheria e avere un pezzo di sapone almeno anche avanzava per sé
stesso, per poter lavare propria biancheria e li davano. Perché
si faceva scambio merce, non si potevano, non c’erano soldi e non… non
servivano soldi perché non c’era niente da comprare. E… noi cittadini
eravamo più sfortunati dei contadini perché i contadini
avendo un suo orticello privato avevano patate, qualche cosa, qualche
barbabietola, o qualche gallina ancora che si è salvata, qualche
uova insomma, è così. Noi cosa si faceva: si raccoglieva
quel poco di cose che erano… come vestiario, come scarpe, come… perché
gli ori non esistevano nei… oggetti d’oro non esistevano perché
l’Unione Sovietica non li vendeva, semplicemente lo stato non, non… non
riteneva necessario a vendere oro per bellezza, perciò nessuno
aveva oro. Allora si faceva scambio merci, si andava nei paesi intorno
alle città dei contadini portando qualche paio di scarpe ancora
abbastanza buono, qualche cappotto, qualche… qualche altra cosa di vestiario,
qualche lenzuolo scambiandolo per due o tre chili di patate. Quando è
arrivato l’inverno è stato molto rigido. Quell’anno lì,
difficilmente scende a sedici sotto zero d’inverno in Ucraina, quell’anno
lì è stato terribile. E’ sceso sotto i sedici sotto zero,
inverno ’41-’42. Non avevamo né carbone, né niente per scaldarsi
perché nessuno riforniva niente. Andavamo dove c’erano i treni
ma… che scaricavano… carbone, non quelle troppo consumate e si raccoglieva
un pochino, questi una piccola stufetta in casa e si stava attorno con
guanti e con cappotti e si dormiva. Scoppiavano i tubi dell’acqua in casa
perché era tutto gelato. E così, senza quasi mangiare, senza
niente, si poteva… si poteva andare a lavorare in qualche cucina dove
cucinavano per i tedeschi chi era più fortunato. Chi aveva quel
posto di lavoro riusciva a portarsi qualche chilo di, di… pane a casa
per i figli. E’ stato tremendo sopravvivere in queste condizioni.
La medaglia d’oro veniva data agli studenti più bravi? Agli studenti più bravi. A studenti meritevoli.
Vuol dire il massimo dei voti.
Per due volte mi nascondevo dai vicini, dai parenti dai, dai, dai… conoscenti, così. Diciamo non tornavo a casa a dormire perché mandavano la polizia a controllare perché nel frattempo hanno creato anche polizia locale. Naturalmente, dopo, questi poliziotti che… perché poliziotti non erano, perché sono andati giusto per lavorare per aver questo mezzo chilo di pane. Lavoravano per la popolazione civile, per mantenere ordine. Non è che lavoravano per i tedeschi. Mantenere ordine per la popolazione, in tutto in generale. Naturalmente quando poi rioccupata Unione Sovietica dall’Armata rossa sono stati quelli che non son più riusciti a scappare, sono scappati tutti per le armi. Perché la polizia non era polizia: era polizia d’ordine diciamo.
Era la polizia che collaborava con i tedeschi? Sì perché aveva collaborato per ordine pubblico per un… per un… insomma… secondo me non erano né polizia, né niente… era giusto per mantenere ordine in città. Semplice ordine. In ogni modo mandavano appunto questi poliziotti a casa a controllar se c’era o non c’era e poi dicevano ai parenti se non si presentava l’avrebbero preso un altro parente al suo posto. Qualcuno della famiglia.
Chi veniva scelto per questo lavoro? Per questo lavoro venivano scelte le persone giovani, sane, naturalmente solo perché loro, prima di caricarli su questi trasposti di deportazione in Germania, i militari medici tedeschi controllavano questi che si presentavano, che dovevano presentarsi alla data al “Kommandatur”, controllavano se era sano, se non aveva tbc, stato di salute e tutto il resto. Niente in più facevano idoneo per la Germania. E era una condanna, non poteva scappare, non poteva far niente perché doveva per forza presentarsi perché può andare bene una volta o due nascondersi, ma… la terza potevano portar via anche… diciamo familiari che non… o così o così. In ogni modo le donne incinte non le portavano via. Popolazione maschile non c’era perché erano tutti stati richiamati in guerra, durante la guerra, erano rimasti ragazzini… non so oltre i diciassette - diciotto anni non c’era nessuno come popolazione maschile. Perciò portavano via i giovani, le ragazze di più, donne diciamo, ragazze. E questo trasporto si doveva presentarsi quel giorno, li caricavano su queste carrozze merci e portavano in Germania. Sono passata dall’Ucraina fino Brest, prima fermata era. Ogni tanto ci davano qualche cosa da mangiare, qualche zuppa… diciamo d’orzo qualche cosa così, essendo in piena estate era sempre acida perché fermentava, capisce? Allora si cercava quelli che capivano qualche cosa che… si cercava di non mangiare più questo… perché dopo veniva una diarrea tremenda. In più che non avevamo né servizi, né niente, ogni tanto ci si fermava e in campagna e questi treni si doveva per forza aspettare finché si fermavano per poter fare almeno i bisogni. Perché sembra una cosa così, ma è tremendo.
Erano i carri bestiame? Carri bestiame sì. C’era la paglia e… e poi si dormiva in ogni vagone circa quaranta - quarantacinque persone erano lì. E… siamo passate attraverso Brest e poi fino a Frankfurt am Main. Abbiamo impiegato circa quindici, sedici giorni di trasporto.
Mi dà una sua idea, un suo ricordo degli italiani in Russia? Ecco, gli italiani sono entrati a Kirowograd anche loro
in mese di luglio, agosto in seguito alle truppe tedesche. Kirowograd
è stato occupato dalle truppe tedesche, quindici, venti giorni
dopo sono entrati. Le prime volte che ho visto italiani entrare e poi
dopo italiani sono entrati anche rumeni, ma hanno proseguito oltre. Gli
italiani sono stati nella mia città circa un paio di mesi, poi
sono scomparsi, non so dove sono andati. Dopo ho saputo che sono andati
sul Don più che altro. Dalla città dove abitavo io sono
entrati… ho visto naturalmente per me come per altre popolazioni della
mia città è stato molto… cioè… a vedere italiani
a confronto di tedeschi, equipaggiamento italiano, vedevamo che erano
molto… molto poco equipaggiati. Nel senso che avevano questi scarponi
che per la Russia non erano adatti d’inverno perché si sarebbero
congelati i piedi con… con fasce sulle gambe e così, con dei mantelli
a ruota che per la Russia era assolutamente inadeguato. I tedeschi hanno
portato con loro cappotti imbottiti di… di pelliccia e… e ufficiali invece
gli altri soldati di cappotti molto pesanti, avevano stivali di feltro,
che anche Armata rossa d’inverno mette questi stivali perché altri
stivali si congelano i piedi quando fa freddo. Gli italiani erano sguarniti
di questo. In più ho visto anche bersaglieri, che… insomma… noi
popolazione civile non abbiamo mai visto soldati così e veniva
un pochino da ridere perché erano sulle motociclette, mi ricordo
con una mitraglia davanti, con… con dei caschi, dei, dei, dei… un abbigliamento
così, infilati delle piume nei capelli, in queste… facevano un
pochino ridere la popolazione perché sembravano fino… insomma…
piume del, del, del… del gallo, insomma che mettevano… e dicevano: “E
beh italiani… non sono guerrieri. Italiani sono… sono popolazione… che
sono artisti… che sono… le piace suonare, le piace cantare, le piace…
e non le piacciono combattere”. Per questo che italiani, in seguito, sono
stati accolti dalla popolazione civile a rischio della propria deportazione
e della propria morte, perché erano i nemici che hanno occupato
insieme ai tedeschi il territorio sovietico o territorio ucraino, son
stati salvati tantissimi italiani dalla popolazione sovietica, dalla popolazione
ucraina, russa dei, dei… nei paesi e nelle città, perché
non erano combattenti come noi dicevamo. Non erano cattivi non facevano
del male a popolazione… erano molto simpatici e così anche… anche
parlare su… per la strada e così non erano prepotenti e la popolazione
subito li ha accettati sapendo naturalmente che non era colpa loro se…
se li han mandati a combattere, se il fascismo, se Mussolini li ha mandati
a combattere in terra straniera.
Questo da parte dei russi? Sì, della popolazione sovietica russa, ucraina. E… e in Italia, mi è piaciuto, mi piace ricordare questo che ho conosciuto parecchi italiani che sono venuti a ringraziare me in nome di altre persone che li han salvati, che son ritornati a casa nel… questo esclusivamente… pochi naturalmente, però, anche quei pochi, portano un buon ricordo della popolazione che… non era nemica degli italiani. Naturalmente in seguito, la popolazione ha iniziato a distinguere italiani e italiani. Prima per noi sembravano tutti uguali. Quando sono… nell’anno dopo, ormai ero in Germania, ma… sapevo attraverso altre scritte e altri racconti, che quando sono entrati in Unione Sovietica le cosiddette camicie nere, quelli lavoravano collaboravano con le SS tedesche. Le SS erano un gruppo eletti militari di élite. Erano molto severi, molto… crudeli e collaboravano con loro contro la popolazione civile. Però la popolazione distingueva i militari italiani da queste camicie nere naturalmente. E sapeva già distinguerle! Quando son stata in Germania, avevamo il permesso di scrivere cartellini aperti, cartellini postali, non nella busta, ma cartellini postali una volta ogni quindici giorni ai parenti rimasti in Unione Sovietica e lo stesso ricevere di là, lo stesso, la posta con la cartolina postale aperta, doveva essere forse per il controllo o per la censura. E per sapere se erano vivi, se… insomma… questa comunicazione si poteva avere.
Riceveva anche qualcosa da casa? No, assolutamente no.
Quando è partita che abbigliamento aveva? Abbigliamento? Un cappotto, qualche paio di scarpe, quel poco che è rimasto dopo scambio, diciamo… per i viveri e che è rimasto, pochi stracci a dir la verità.
Ha vissuto con quegl’abiti per tutto il periodo in Germania? In Germania certamente mi fornivano i camici da lavoro e così, io poi che ero in una casa privata, mi davano diciamo dei vestiti… certamente anche popolazioni tedesche avevano le tessere per l’abbigliamento, ma… non… non potevano acquistar scarpe come vestiario, come cibo, assolutamente niente senza… senza tessera, anche popolazione tedesca, ma essendo io a carico diciamo di questa famiglia, loro avevano il diritto, anzi credo non so come è perché m’ha portato un paio di scarpe quando si sono rotte i miei… L’unico che avevo… cappotto avevo io, poi hanno, in seguito, han dato un altro cappotto diciamo così, grosso modo per poter almeno… ma il vestiario in casa si portava dei, dei grembiuli da lavoro così… in questa casa… Nei campi è lo stesso. Nei campi quelli che lavoravano li fornivano divise da lavoro, in campi di lavoro parlo, non campi di concentramento “perché Konzentrationslager”, che significa campi di concentramento, avevano la divisa rigata con pigiama come… come bluse, come anche i cappotti erano leggeri con un cappello legato anche loro. In più erano tatuati. Rasati a zero capelli maschi come femmine, tatuaggio sul braccio sinistro in alto o sul polso, le donne giovani, certamente lì erano quasi tutte donne giovani deportate in questi campi di sterminio. Lì c’erano in mezzo anche quelle persone che volevano scappare come me, beh insomma dei deportati così in campi di lavoro volevano scappare, ingenuamente naturalmente perché se tutta mezza Europa era occupata dai tedeschi scappare era inutile e io questo l’ho capito lo stesso perché dico: “Dove scappo? Arrivo là mi riportano indietro”. Allora quelli che scappavano quando li trovavano, naturalmente li trovavano perché dove potevano imbarcarsi su quale treno, e allora li deportavano in campo di sterminio per punizione. Se qualcuno rubava qualcosa in Germania era per punizione. Dopo ogni bombardamento delle città che erano tremendi, dove ero io a Kassel al ventidue di ottobre del ‘43 è stato “terror angriff”, in tedesco si dice bombardamento a tappeto terroristico. E’ stata distrutta tutta la città a parte i dintorni un pochino si è salvato. Hanno buttato bombe incendiarie, con bombe che illuminavano a giorno tutta la città, e poi a ondate sganciavano le bombe proprio a tappeto. Tantissimi i morti naturalmente come la popolazione civile tedesca, incendi che duravano tre o quattro giorni, non si poteva chiudere nemmeno gli occhi perché tutta la fuliggine che entrava negli occhi, non si poteva nemmeno respirare.
Andavate nei rifugi? Sotto casa i rifugi. C’erano bunker. Per gli stranieri erano vietati. C’erano bunker che hanno costruito i tedeschi come case, non sottoterra ma in superficie. Bunker che se prendeva una bomba da cinquecento chili, mille chili, la spostava con… cioè non riusciva a fare il buco in questo bunker a due o tre piani come fosse una casa di cemento armato. Ma questi hanno rapidamente costruito nel ’41-‘42 quando sono iniziati i forti bombardamenti inglesi, quando sono entrati in guerra americani che allora hanno sterminato, insomma… tanti come Dresda, come Dortmund, come Berlino, come Hamburg, erano incendi tremendi perché buttavano bombe al fosforo. Popolazione civile tedesca era decimata, decimata. E noi naturalmente non è che… Era punito con la morte istantanea: fucilazione, impiccagione ai… ai ladri, sciacalli che passavano, tedeschi o stranieri che siano, che passavano nelle case bombardate a raccogliere qualche cosa. Naturalmente erano bombardati anche i campi di lavoro. Anche lì buttavano le bombe. E gli stranieri quando scappavano così dai bombardamenti scappavano nelle campagne perché non potevano entrare nel bunker, era vietato a loro, a tutti gli stranieri. Non potevano entrare nei rifugi costruiti per i tedeschi, e quelli che si salvavano nelle campagne, quando ritornavano, passavano, magari qualcuno per sciocchezza, qualcuno pensava di passarla franca, entravano in qualche casa, prendevano qualcosa in mezzo alle macerie e quando i tedeschi li trovavano li fucilavano sul posto. Che siano tedeschi, che siano stranieri li fucilavano sul posto. Era molto rigido diciamo in questo senso. Beh insomma, dopo questi tremendi bombardamenti dovevano rifornir manodopera e continuavano a deportare da tutti i paesi dell’est, anche dalla Grecia, moltissimi dalla Jugoslavia, moltissimi cecoslovacchi, insomma… ma di più dall’est perché non eravamo protetti da nessuno lì, insomma.
Quando ha cominciato a vedere gli italiani? Italiani subito dopo l’otto settembre del ‘43, li ho
visti che allora ero a Kassel. Li ho visti subito in ottobre in divisa
militare, erano alpini, che allora non lo sapevo che erano alpini perché
avevano un cappello con una piuma dentro e… e nella via dove abitavo io,
passava un gruppo di questi italiani che saran stati una sessantina, accompagnati
naturalmente, andavano al lavoro accompagnati dalle guardie armate tedesche
della Wehrmacht e andavano da qualche parte a lavorare. Io li sentivo
che passando sulla strada così che cantavano sottovoce perché
era proibito; e la prima volta che ho chiesto: “Ma chi siete?”. Perché
è la prima volta che vedevo divise diverse, perché erano
in divisa militare. E non sapevo… non sapevo… non sapevo che… era l’otto
settembre in Italia di qua e di là, non sapevamo niente. Allora
questo tedesco che li accompagnava m’ha sgridato e diceva: “Vattene di
qui perché se no ti porto in Konzentrationslager! Non parlare”.
Ma io dico: “Ma chi sono questi militari?”. Dice: “Italiani traditori!”.
Lavoravate per la Todt? No, no.
Il rapporto con la famiglia finisce quando muore il capo famiglia? Sì.
In che anno siamo? Nel ’44. Insomma è morto un po’ prima, ma il ‘44 in ottobre m’han mandato a Linz in Austria a lavorare. M’han destinato a lavorar sui treni merci, come per segnalazioni di treni, a metter su.
Mi spiega cosa significa segnalazione? Significa a mettere illuminazione di stoppo, di luci rosse nell’ultimo vagone. Questo era il mio incarico, per segnalar che l’ultimo vagone è passato, ecco.
Lei come faceva a fare questo lavoro? Dov’era sul treno? L’ultimo vagone c’erano… come degli sgabuzzini attaccati al, al… al vagone merci, dove ci si riparava un po’ dal freddo, un po’ dalla pioggia, un po’ così, e sull’ultima carrozza si metteva in alto questi segnali, ecco. Questo era il mio lavoro che si viaggiava in Austria, con questi treni merci, secondo dove destinavano. Io dovevo far questo lavoro e basta.
Quante ore lavorava? Beh come tutti i ferrovieri non si tratta di ore, perché quando il treno parte a seconda di dove deve arrivare e poi ritornare indietro. Perciò si poteva lavorare, non so, tre o quattro ore, come si poteva lavorare due o tre giorni senza ritornare alla base. La base era a Linz. Ecco.
A Linz dove? C’erano delle baracche vicino alla stazione… alla stazione centrale di Linz, in via “Bahnhofstrasse”, cioè la via della stazione, erano fatte in legno, dove c’erano ferrovieri, ma non soltanto stranieri, ma c’erano anche tedeschi. Cioè tedeschi… austriaci. Come i ferrovieri che loro facevano altri lavori naturalmente. Donne come uomini.
No. Lì… lì eravamo… una baracca molto lunga e si chiamava: “Duecento Metri”, proprio così si chiamava. Fatta come se fosse una casa lunga due piani, e lì si aveva, insomma, le camere di… di tre o quattro persone che dormivano donne con donne e uomini con uomini. Ma di più non mi ricordo di uomini che dormivano lì, veramente forse sotto al primo piano qualche… qualche… così. Perché gli uomini stranieri che lavoravano in ferrovia dormivano nei campi intorno a Linz che c’erano baracche, campi di baracche, insomma. Lì lavorando in ferrovia, in uno di questi viaggi, ho conosciuto mio marito che era prigioniero di guerra italiano, deportato dalla Grecia, deportato dopo l’otto settembre, deportato in Austria. In principio era in un paese dove aggiustavano ferrovie. Questi militari prigionieri di guerra aggiustavano i binari della ferrovia dopo i bombardamenti perché bombardavano continuamente e loro dovevano rimettere a posto. In seguito l’hanno mandato a far fuochista sui treni, sulle locomotive, buttava dentro carbone, fuochista e… e in questo lavoro, essendo anch’io… lavorando per la ferrovia così ci siamo conosciuti. Quando è finita la guerra e… dopo i bombardamenti mi sono trovata nel campo dove… dove era mio marito, fuori da Linz. Perché lì è stato bombardato tutto, sterminato tutto, non c’era più niente, allora siamo scappate un po’, così, e sono andata in questo campo dove c’erano altri italiani con altri stranieri e mi sono rifugiata in questo campo a veder… perché questo è successo il mese di aprile del ‘45 dopo tremendi bombardamenti su Linz e mentre… al… otto maggio del ‘45 è finita la guerra. Ecco.
Mi racconti bene l’incontro con suo marito. Beh incontro……
E’ stata una storia d’amore? No! Nessuna storia d’amore. Allora in queste condizioni nessuno pensava all’amore, si… si aiutava uno con l’altro, noi donne aiutavamo gli uomini a lavargli la biancheria e loro ci aiutavano a noi, non so… in altri lavori che noi non potevamo fare, insomma ci si aiutava a vicenda, ci si proteggeva a vicenda. Quando è stata occupata l’Austria dalle truppe… dalle truppe americane è stato molto brutale l’occupazione. Molto brutale. Perché prime truppe americane a loro è stato permesso, credo dal loro stato, di fare quello che volevano, i primi occupanti diciamo i primi… quelli che avanzavano per prima…
Le prime armate che entravano? No armate, proprio i primi militari. Avanguardie come le chiamano, non so ecco. Non soltanto occupavano, entravano nelle case degli austriaci, i civili diciamo, nelle case di persone così, rubavano, distruggevano, ammazzavano anche, proprio vandalismo, ma sono entrati anche, questo lo posso testimoniare anche nel campo dove ero io rifugiandomi dopo i bombardamenti, entrati dentro, se non c’erano italiani e francesi uomini, che erano prigionieri di guerra che poi… insomma… essendo passati, insomma lavoravano così, era… se non c’erano loro che ci salvavano noi ragazze, americani militari violentavano ragazze e dopo, sapendo che sono baracche, che sono campi che son stati deportati stranieri, che eravamo anche noi prigionieri dei tedeschi in definitiva, e loro ci avevano liberato violentando le ragazze nel campo questo… questo non me lo scorderò mai! Mai! Perché in due occasioni mio marito, che allora non era mio marito avevamo un’amicizia così forte, anche altri italiani han… hanno difeso queste ragazze che non erano protette perché erano sole nel campo. Non potevano proteggersi quando entravano militari col mitra spianato, uno sulla porta col mitra spianato e l’altro violenta le ragazze, e che sapevano che erano prigioniere dei tedeschi. Sapevano. Per fortuna.
Quindi hanno rischiato la loro vita per difendervi? Sì cara. Erano solo americani o erano anche di altre nazionalità? No, quelli che ho visto insieme… insieme agli americani c’erano anche australiani… sui carri armati o… su prime occupazioni naturalmente dopo subentravano altre forze armate americane che erano più disciplinati, che non avevano il diritto di… di rapinare, di combinare guai. Ma… avanguardie erano tremendi. Maggioranza erano negri. E… colossi negri. E facevano… facevano disastri. Disastri anche popolazione civile austriaca, insomma, in definitiva civili non è che c’entravano molto, non erano i militari… non erano colpevoli di quel che ha combinato Hitler. Insomma si vendicavano sulla popolazione civile che non c’entrava.
Quale era la differenza del lavoro in Austria rispetto al periodo passato in Germania, anche come possibilità di movimento? Beh certamente in Austria avevo molta più libertà nel senso che lavorando sulle ferrovie facevo dei turni, facevo dei viaggi con questi treni merci, avevo altri impegni, nessuno mi seguiva, dovevo soltanto quando uscivo, firmar dove andavo nel libro che c’era in questa… in questo… da queste baracche che erano soltanto per i ferrovieri che lavoravano diciamo. In questa baracca vivevano anche altri che lavoravano per le ferrovie, soltanto per le ferrovie, austriaci, e… erano anche altre nazionalità tipo baltici, tipo… tipo polacchi, tipo cecoslovacchi c’erano. Francesi non me lo ricordo, civili non mi ricordo se c’erano, ma gli italiani naturalmente lì non c’erano in questa baracca, e c’erano i paesi dell’est qualcuno. Invece italiani come uomini che lavoravano come mio marito, vivevano in… in campo proprio non lontano da Linz c’era un campo grande dove c’erano civili deportati di tutta l’Europa che lavoravano lì… ecco. Dormivano e… e lì in questo campo, io invece ero in città di Linz e…
Com’era il trattamento verso gli italiani? Beh gli italiani civili, quelli che sono andati come civili a lavorare ancora prima che… come volontari che… prima che… prima dell’otto settembre diciamo, avevano… avevano diritto… avevano domicilio presso qualcuno se… se avevano abbastanza soldi così di affittare qualche locale così, insomma. Non vivevano nei campi di… di lavoro… perché erano soltanto nei campi da lavoro quelli deportati e i civili non c’erano. C’erano i prigionieri di guerra e deportati civili, che poi i prigionieri di guerra italiani nell’ultimo anno non si consideravano tali perché lavoravano, ognuno lavorava dove li mandava… dove li mandavano insomma l’“Arbeitsamt” le… come le camere lavoro, non so come che dovrebbe tradursi, dove smistavano manodopera dove serviva ecco…
Tipo ufficio di collocamento? Ecco. Ufficio sì… precisamente. Ufficio di collocamento: “Arbeitsamt” sì. E… lavorando con questi fino… naturalmente fino al bombardamento… terribili che gli ultimi bombardamenti che sono stati nel ‘45, mese di aprile in Austria, poi si è fermato quasi tutto perché… essendo continuamente bombardati treni merci con moltissimi morti. Nel campo dove c’era mio marito, era pericoloso lavorar sulle locomotrici, perché per prima mitragliavano quello. Arrivavano sempre quelli… ormai erano americani che arrivavano da… da Salzburg, da… da… da Innsbruck, da… da insomma diciamo dalla parte, diciamo, delle Alpi italiane credo. Non so dove arrivavano forse dall’Italia addirittura, e… arrivavano a due a due e in pieno giorno scendevano a picco e mitragliavano con… con pallottole molto… molto grosse, molto disastrose che faceva il buco e dove usciva a… a ventaglio spaccava. Cioè se entrava nel corpo di una persona, entrando faceva soltanto un buco, ma usciva e… e… e scoppiava tutto. Scoppiava dentro nel corpo, tremendi. E non avevano più gli austriaci né contraeree, né niente perciò non erano protetti questi treni, loro quando distruggevano locomotrice si fermava il trasporto. E naturalmente anche quando vedevano che anche popolazione… se su treni… non treni merci, ma treni normali che trasportavano popolazione, se il treno… se locomotrice si fermava, vedeva arrivare questi… questi caccia americani, perché arrivavano sempre contro… contro luci insomma. Non… non ci vedeva bene, ma ormai quando era vicino iniziava a mitragliare, dava il segnale e così le persone quelli che erano civili che scappavano in mezzo a campagne, erano così… così poco caritatevoli che dopo aver mitragliato tutto il treno facevano la caccia all’uomo! E questo, una mia amica ci ha rimesso la vita a questa caccia all’uomo. Perché scendevano a picco e quando vedevano uno scappare nei campi allontanandosi da questi treni lo mitragliavano. Per me questa non… non è la guerra… questa è la caccia all’uomo e cioè assassinio, cioè voler uccidere una persona che… civile… che non è in divisa non sapendo nemmeno chi è questa persona. Era tremendo. Tant’è vero che prima che è finita la guerra quasi tutti i trasporti erano fermi. E trasporti che… ormai… Armata rossa avanzava verso Vienna e c’era un trasporto che qui non era ancora occupata Linz, la zona era ancora libera e allora questi treni trasportavano i feriti, feriti soldati, sgombravano ospedali o feriti, verso ospedali insomma dove erano più protetti, dove non c’erano bombardamenti e li mitragliavano durante il trasporto così… insomma era tremendo… tremendo. E così poi l’otto di maggio del ‘45 è stato firmato l’armistizio a Berlino, ma in Austria, nella zona dove eravamo noi, è continuata anche per altri due giorni fino che SS, che truppe SS che si sono ritirate nelle montagne di Steyr, si sono arresi. Perché se no sarebbe continuato ancora. Perché americani non riuscivano a prendere quelle montagne che loro avevano artiglieria pesante e dall’alto sparavano verso il basso. Verso americani che avanzavano verso Vienna. E così è finita la guerra. I campi sono stati occupati dagli americani e da allora noi abbiamo iniziato a mangiare perché americani hanno iniziato a dar loro scatolette, portare un po’ di patate, e noi si faceva festa, non sembrava nemmeno vero che possiamo ormai, finalmente dopo tanti anni vedere un pezzettino di carne ogni tanto, perché per tutti gli anni di guerra non abbiamo mai visto la carne. Verdura e… e patate, e cereali e qualche cosa così. Altre cose, né zucchero, né… ormai… quello era lusso che non si è visto per tutti i cinque anni di guerra, ma si può sopravvivere insomma, senza zucchero. Ma però siamo sopravvissuti anche senza carne e insomma: se siamo qui a parlare.
Relativamente agli altri lavoratori coatti, gli italiani avevano un trattamento particolare? Ecco… dei civili, i cosiddetti volontari che sono andati a lavorar volontariamente in Austria, non parlo più della Germania non so che cosa succedeva lì, non erano nel campo. Erano nelle abitazioni private dove trovavano alloggio. Finita la guerra poi si sono… hanno raggiunto italiani che erano nel campo per… per aspettar di essere rimpatriati insieme. Di italiani civili non so molto perché non ho mai lavorato con italiani civili, so che…
Civili intende volontari? Volontari sì. Si chiamava civili perché
quelli erano militari e questi son civili. E… so che moltissimi italiani
civili, e… e poi di altre nazionalità naturalmente anche tedeschi,
che lavoravano nel grande stabilimento di produzione bellica, specialmente
carri armati, che si chiamava “Hermann Goering Werke” presso Linz, fra
Mauthausen e Linz diciamo a cinque chilometri o forse di meno da Linz.
E perciò forse perché Linz bombardavano continuamente e
molto forte. Perché volevano distruggere questa… questa… questa
fabbrica che c’erano moltissimi stranieri, era molto grande questa fabbrica
qui. Era uno dei, dei, dei… stabilimenti molto importanti sul territorio
tedesco di produzione bellica, ecco.
Sono stati rimpatriati dagli americani? Sì, sì, sì, sì, sì.
Quando? E’ iniziato nel campo dove eravamo noi perché l’Austria era più vicina, perciò hanno iniziato dall’Austria a rimpatriare stranieri. Ogni straniero andava diciamo con i camion militari perché ferrovie e binari erano distrutte in tutta… in tutta la Germania. Allora li portavano fino a un certo punto per esempio… francesi, civili diciamo civili non militari che dovevano, militari non lo so, francesi, ma i civili che lavoravano insieme con noi che dovevano tornare in Francia li raccoglievano in questi grandi campi americani, li, li… non si fidavano insomma, prendevano insomma, tutte le informazioni e poi formavano i gruppi e quando davano disposizione i loro mezzi di trasporto li portavano verso Francia o verso Polonia, o verso Italia, verso Cecoslovacchia, insomma… raggruppavano perché quando è finita la guerra tutti sparpagliati. Persone che erano, che lavoravano nei campi, che lavoravano negli stabilimenti che non avevano bombardato, tutti si raccoglievano dentro in questi campi diciamo più grandi, in queste baracche che erano campi per gli stranieri. E truppe americane, insomma lì c’erano addetti americani a questo servizio, per un po’ di tempo si stava lì in questi campi di raccolta. Quando formavano gruppi abbastanza grandi li accompagnavano alla frontiera col loro camion, per esempio se erano cittadini sovietici, diciamo, li… li raccoglievano e li portavano fino a Enns dove c’erano occupati dalle truppe sovietiche. Perché i sovietici hanno occupato Vienna e poi oltre Vienna. Allora americani li portavano fin là perché lì era come se fosse frontiera. Cecoslovacchi lo stesso li portavano, insomma… Jugoslavia lo stesso, insomma ogni nazione…
Gli italiani li portavano al Brennero? Al Brennero sì. Fino… al Brennero poi a… a un certo punto c’era un pezzo di ferrovia che abbiamo fatto non so… perché son giorni che abbiamo impiegato per fare… poi siamo entrati da Innsbruck, Brennero, poi l’hanno… l’hanno portato… mi ricordo come adesso prima città italiana che ho visto era Modena. Era raccolta di tutti italiani che tornavano dalla Germania, li portavano a Modena nelle… come si chiama? A Modena c’è… c’è…
L’accademia militare? Accademia, ecco! Molto bella. Molto bellissima. E… e lì erano tutti dislocati tutti… tutte persone in un camerone di questi grandissimi mi ricordo, con i materassi un po’ per terra sempre gestiti dagli americani, ci mettevano insomma… eravamo lì tutti a aspettare, poi ognuno dove doveva andarci…
Vi hanno fatto la disinfestazione? No! No, no, no, no.
Interrogatori? No, no, no. Niente. Niente e nessuno.
Quando rientrate in Italia? In Italia siamo… ah ecco abbiamo… siamo arrivati a Modena giusto al ventinove giugno perché mio marito dice: “Hai visto, oggi è il mio onomastico!”; che è San Pietro. Questo me lo ricordo bene, eravamo a Modena. E poi anche lì organizzavano, sempre americani col loro trasporto militare, organizzavano, perché hanno censito tutti i militari che tornavano, chi con le mogli, chi senza, così hanno censito e poi formavano i gruppi. Chi doveva andar verso Brescia, chi doveva andare verso Napoli, chi doveva andar verso Roma e li spostavano con loro… cioè prigionieri, ex prigionieri italiani che tornavano reduci dalla… dalla… Germania. Ecco noi poi siamo arrivati a Brescia e di lì mio marito, che era bresciano, ha preso la corriera per andare al suo paese che è Borgo San Giacomo di Brescia… provincia di Brescia.
Mi racconti il matrimonio. Beh… era molto un po’… finita la guerra naturalmente…
tutti noi nel campo eravamo felici… quasi impazziti di gioia e sembrava…
che non finisse mai e invece è finita, non dovevamo più
lavorare, non dovevamo obbedire a nessuno, non avevamo più obblighi,
gli americani insomma portavano dei generi alimentari, cucinavamo noi
nel campo ogni nazionalità, diciamo per conto suo, cucinava quel
che… secondo i propri gusti, che americani ci davano loro scatolette,
poi patate, pasta, o farina che si faceva pasta e così, e… sembrava
insomma una festa a non finire. Non è descrivibile a uno che non
ha passato la guerra, non si può descrivere quando arriva la pace
come si sente una persona. Naturalmente le persone che si sono conosciute
durante gli anni di deportazione o durante i periodi molto… molto difficili,
si è fatti… delle amicizie. Ma assolutamente non si può
parlar d’amore perché in quelle condizioni quando qualcuno va affamato,
stracciato, malnutrito e così l’ultima cosa a cui pensa è
amore… è… amicizia forte. Nei campi, a dir la verità, c’erano
molto più disponibili per amicizia e per protezione, italiani di
qualsiasi altro straniero. Questo lo posso testimoniare proprio onestamente.
Perché se francesi insomma… erano un po’ freddini, di proteggere
o di aiutare altri stranieri, gli italiani invece erano più disposti,
o forse dipende dal carattere delle persone come italiani, come popolazione,
come nazione, come… non so. Fatto sta che c’era questa amicizia forte
e quando è finita la guerra mio marito mi ha proposto di venire
in Italia insieme con lui. Perché in quel periodo assolutamente
io non volevo naturalmente venire in Italia perché non conoscevo
l’Italia, volevo raggiungere… la mia famiglia, il mio stato, volevo vivere
lì, ma assolutamente lui non avrebbe potuto in quel momento, nessuno
poteva spostarsi da uno stato all’altro. Ognuno doveva tornare nel… nello
stato di provenienza. In più dopo ho saputo, dopo molti anni, che
anche i sovietici non avrebbero mai permesso, anche se ero sposata con
un italiano, a un italiano di andare in Unione Sovietica. Andare come
civile anche con la moglie ex sovietica. Dopo la morte di Stalin, moltissimi
anni dopo, l’hanno permesso. Ma c’erano degli italiani di mia conoscenza,
e li ho conosciuti in Italia dopo queste vicissitudini, perché
quelli che sono andati negli anni sessanta, cinquantacinque più
che sessanta, che hanno seguito, che le mogli han voluto andare in Unione
Sovietica, le hanno seguite però senza sapere. Italiani han dovuto
firmare, ma non potendo perché era scritto in russo, non… non avendo
capito bene i documenti che firmavano, e han firmato i documenti in Italia
che loro se volevano tornare, cioè andare insieme con la moglie
che tornava nel proprio paese, dovevano rinunciare alla cittadinanza italiana
se no non avrebbero potuto andare in Unione Sovietica. E loro han firmato
questi documenti. E’ stato molto… molto difficile per loro, dopo, a viver
lì perché hanno trovato naturalmente, non conoscendo l’Unione
Sovietica, non conoscendo abitudini, non conoscendo lingua, non sapendo
che clima è, per gli italiani impossibile, freddo e così
specialmente nelle zone dove capitavano, non tutte zone sono fredde, ma
però dove sono capitati certi italiani che ho conosciuto io personalmente,
non sopportavano questo clima così. Quando volevano ritornare indietro
con le loro mogli ex sovietici, quelli russi, ucraini che han sposato,
non gli han permesso. Han dovuto poi… son dovuti passar molti anni dopo
la morte di Stalin, che loro, attraverso ambasciata italiana, han potuto
dimostrar che hanno firmato documenti che non sapevano leggere perché
non erano tradotti in italiano e questo li ha salvati e han potuto ritornar
in Italia perché lì non si sono adattati a viver per… per
tante ragioni: per abitudini, per freddo, per… per tutto il resto insomma.
E sono rientrati insieme con mogli indietro. Io e mio marito siamo rimasti
sempre qui. Io vivo dal ‘45 in Italia, purtroppo mio marito è morto
nel ‘71, in gennaio, e da allora son qui.
Dunque il matrimonio è stato fatto in Germania? Sì. E’ interessante e un po’ comico anche. Perché
ci hanno sposati con tanto di cappellano americano, forse… cioè
lo stato… con leggi americane, con… perché loro che dirigevano
il campo, zona… occupanti americani che hanno occupato questo campo e
americani, forze armate americane, e hanno… hanno… cioè siamo sposati
secondo le leggi che vigevano lì, insomma. Quando siamo rientrati
in Italia abbiamo portato documenti che purtroppo ho perso, con tanto
di documento rilasciato dalle autorità americane, confermato dalle
autorità civili austriaci, che ci siamo sposati. In Italia, allora
nel ‘45, volevano trascrivere questo matrimonio nel comune di provenienza
di mio marito. Non è stato riconosciuto e per ragioni di lavoro
lui dopo un po’ di tempo s’è trasferito sul milanese precisamente
ad Abbiate Grasso in provincia di Milano e quando ha chiesto il suo… suo
domicilio, sua… residenza da Borgo San Giacomo, dove è nato lui,
dove viveva, la… lo trasferivano a… ad Abbiate Grasso, arrivato il suo…
stato di famiglia che era iscritto, che ridevano, che insomma…… ridevano
tutti in comune a Milano, e c’era scritto: “Sposato convivente con H.
Ina”.
Quale è stato il suo impatto all’arrivo in Italia? Che difficoltà ha trovato? Molto, molto, impatto… molto… è stato molto pesante
si può dire.
Come erano i rapporti con le persone? Beh, dipendeva dalle persone naturalmente. Non tutti sono uguali e… e dipendeva molto dalle persone… loro disposizione.
Voleva tornare in Unione Sovietica? Beh… essendo qui in tremenda disoccupazione, quasi, quasi con mio marito abbiamo… così consigliandoci pensavamo di andare forse nel mio paese, nell’URSS ritornare. Però Unione Sovietica allora non accettava italiani, non so le altre nazionalità, non accettava italiani. Per quale ragione? Penso che sia perché italiani han combattuto in Russia, in Unione Sovietica. Mi facevano proposte di ritornar io, e poi dopo un po’ di tempo forse poteva raggiungermi mio marito. Naturalmente abbiamo deciso di non approfittare di questa cosa perché non volevamo assolutamente… perché non volevamo dividerci. Non si può dividersi e poi aspettare se forse lasciano arrivare anche lui. C’era tremenda disoccupazione, è stato però un anno… mio marito ha fatto… così lavoretti qua e là, senza casa si dormiva in una trattoria con pochi soldi, in un localino, si pagava così, tremendo. Poi lì ad Abbiate Grasso è stato organizzato un comitato così per aiutare un po’ i reduci che provenivano dalla guerra dalla Germania.
Questo a distanza di un anno? No, no sempre lo stesso, nel ’45.
Quanti anni di guerra ha fatto suo marito? Mio marito è stato…… cioè è andato… come si dice?
Chiamato di leva? Leva ecco. Era di leva perché era soldato di leva
del ’17, lui era. Ha fatto due anni… lì era artigliere di montagna
a Genova. Poi quando è scoppiata breve guerra con la Francia ha
partecipato a questa campagna su, sulle montagne di Ventimiglia. Poi è
stato mandato in… in… Albania, dall’Albania in Grecia, e in Grecia, proprio
l’otto settembre era in Grecia. Quando l’hanno… i tedeschi hanno preso
prigionieri tutti gli italiani che erano in Grecia e li han trasportati
attraverso la Jugoslavia, Bulgaria, Jugoslavia, poi hanno imbarcato sul
Danubio su, sui traghetti e li han portati fino a Vienna. Allora perché
li han promessi gli italiani si son lasciati disarmare. Anzi volentieri
hanno buttato giù le armi perché i tedeschi han promesso:
“Per voi guerra è finita, vi portiamo tutti a casa”; e siccome
Badoglio, ha detto mio marito, ci ha detto: “La guerra è finita,
difendetevi soltanto da chi vi attacca”. Siccome dice che i tedeschi non
ci attaccavano, han detto che ci portavano a casa, noi, dice, questo fucile
che avevamo l’abbiamo lasciato nella caserma. L’abbiamo capita quando
si attraversava a piedi Jugoslavia che non ci portavano a casa, ma che
portavano verso Danubio perché i partigiani in Jugoslavia l’han
detto: “Guardate che vi stanno deportando in Germania come prigionieri
di guerra”.
Al suo rientro quindi non è stato aiutato dallo stato italiano? Assolutamente no.
Non vi hanno dato delle opportunità di lavoro? No. Soltanto che reduci erano talmente esasperati che
a un certo punto, almeno qui al nord Italia, hanno imposto, proprio in
certi posti si sono riuniti, e hanno detto ai rappresentanti del governo:
“Se non ci aiutate a trovare qualche posto, qualche lavoro, qualche cosa”;
perché ognuno, qualcuno aveva già le mogli i figli e qualcuno,
erano pochissimi che non erano sposati che erano ancora giovani, tutto
il resto avevano famiglie, avevano bisogno di lavorare. Hanno detto proprio
così: “Se non ci aiutate noi prenderemo le armi e combattiamo come
abbiamo combattuto fino adesso, per il posto lavoro con le armi”. Allora
dopo questo, forse dopo questo, non lo so in ogni modo hanno istituito
dei… dei comitati, che era… non so d’accordo con gli industriali italiani
qui in nord Italia parlo di milanese, sul milanese, e… hanno istituito
come comitati, che ogni… ogni industria doveva prendere almeno due reduci
che tornavano dalla guerra presso quell’industria a lavorare.
Camera del Lavoro di Milano? Di Abbiategrasso. Mio marito è stato fortunato che il suo nome è stato tolto con questo “busciolotto” come lui diceva parlando in dialetto. Quando è ritornato tutto… tutto euforico gridava: “C’ho il posto di lavoro!”. Era già il mese di giugno del ‘46. Vuol dire, essendo ritornato… un anno dopo. E’ stato disoccupato, ha fatto dei lavoretti immaginabili e possibili. Miserie però… la guerra era finita, e questo era importante, e c’era tanta miseria, tanta disoccupazione, tanta distruzione, e purtroppo le persone insomma… così han dovuto adattarsi e sono stati fortunati quelli che avevano il posto di lavoro e da allora almeno si poteva… si poteva un pochino andare avanti.
Lei si è inserita nella vita civile italiana. C’è stato il passaggio dalla monarchia alla repubblica e le elezioni del ’48 che costituiscono un punto di rottura del quadro politico italiano in due blocchi contrapposti. Lei che veniva dall’Unione Sovietica come ha vissuto questi avvenimenti? Sì, sì, sì. Naturalmente è
stata una campagna come si dice, all’ultimo sangue, campagna elettorale.
C’erano dei manifesti, che forse ci sono ancora qualche manifesto nelle…
presso istituti storici qualche cosa, che dipingevano i militari dell’Armata
rossa con quei cappelli lì a punta come erano nella rivoluzione
che appartenevano poi diciamo all’armata Rossa poi passata insomma ai
guerriglieri, partigiani quando c’è stata la rivoluzione. Li dipingevano
come se fossero animali del bosco, insomma erano orribili da guardare
e questo dimostra come era sprovveduta la popolazione italiana che non
sapevano niente, la maggioranza della popolazione italiana. Né
cos’è Unione Sovietica, né cos’è la Russia. Prima
di tutto quando io dicevo che io sono nata in Unione Sovietica: “No in
Unione Sovietica, in Russia!”. E non parlo delle persone, parlo degli
impiegati di stato civile. In tanti documenti c’è scritto, ancora
quelli iniziali i documenti: “In Russia”. Quando io dicevo che geograficamente
non esiste Russia, è una delle nazioni della repubblica dell’Unione
Sovietica. “Io sono nata in Unione Sovietica e mi scrivete URSS!”; “No
è la Russia e basta!”. Si sono rifiutati per esempio perché
erano quasi tutti provenienti dal fascio e… amministrazione perché
son tornati al loro posto di lavoro.
Grazie, veramente. |
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