Como 14 febbraio 2003
Intervista al sig. O. Feliciano, Foligno, 1920
Sottotenente, Artigliere, Divisione Perugia, IMI,
Catturato a Bar (Montenegro), deportato a Meppen, Chelm, Deblin Irena,
Oberlangen
Ci dice qualcosa della sua vita prima di andare a militare? I suoi
primi venti anni, da che famiglia proviene, i suoi studi?
Sono nato a Foligno, ho vissuto in famiglia fino a undici
anni, purtroppo a undici anni persi mio padre. Morì abbastanza
giovane a 47 anni ed essendo una famiglia numerosa, sei figli, i miei
zii avevano la possibilità di guardarci un po’ in assenza del padre,
decisero di mettermi in collegio tre anni a Foligno e cinque anni a Vicenza
dove terminai gli studi nel luglio del ‘39 diplomandomi in Perito Industriale,
ramo meccanici.
Dopo di che tornai a Foligno e andai subito a lavorare in uno stabilimento
aeronautico, in una filiale della Aermacchi di Varese che aveva aperto
uno stabilimento lì a Foligno per la costruzione di S84 (aerei
da bombardamento). Lì rimasi fino ai primi di gennaio del ‘41.
Fui rinviato come chiamata di sei mesi, perché dovendo fare il
corso di Allievo Ufficiali non rientravo nello scaglione precedente per
cui mi ritardarono la chiamata di sei mesi.
Con il quindici di gennaio andai a Lucca al corso di Allievo Ufficiale
di Artiglieria da campagna. Fui nominato Sottotenente d’Artiglieria di
prima nomina, e inviato alla sede reggimentale di Foligno, dove come sede,
era la sede del Primo Reggimento d’Artiglieria “Cacciatori delle Alpi”
le famose “Cravatte Rosse”. Lì si costituì il nuovo Reggimento
d’Artiglieria denominato “151° Reggimento Artiglieria da Campagna”
della Divisione Perugia. Aveva il Reggimento di Fanteria uno a Spoleto
l’altro a Perugia: una divisione di formazione e una divisione per la
guerra.
Lì facemmo quello che si doveva fare per costituire questo Reggimento
e l’otto di dicembre sempre del ‘41, ci portammo a Bari, tutta la Divisione,
dove ci imbarcammo sulla nave “Rosandra”, e sbarcammo a Spalato per andare
a fare truppe di occupazione in Dalmazia e in Croazia.
Lì rimanemmo fino al marzo, aprile del ‘42, e da lì poi
ci trasferimmo nel Montenegro via Cattaro.
Nel Montenegro, con la mia batteria che era la Settima batteria del Terzo
gruppo di questo Reggimento “151° Artiglieria”, ci piazzammo su un
promontorio sopra ad Antivari, denominato attualmente Bar, lì sulla
costa, proprio sopra alla Capitaneria di porto di Antivari, perchè
c’era anche il porto militare. Prendemmo posizione a Bar, con la batteria
che era la Settima batteria del Terzo gruppo del Reggimento in postazione
antisbarco e antiaereo, nel senso che avendo noi in dotazione i cannoni
da 75/27 che erano molto manovrabili, nel senso che avevano molta possibilità
di alzo e di giro, per cui potevano anche essere utilizzati per quelle
mansioni lì, specialmente come antiaerea; nel senso che riusciva
ad alzare la canna fino a circa 80°. Erano state predisposte delle
piazzole di cemento, i cannoni piazzati sopra queste piazzole con carrelli
girevoli, in modo che questi cannoni potevano essere manovrati in tutte
le direzioni e con appunto l’inclinazione molto forte che avevano si poteva
anche sparare contro gli aerei; comunque eravamo lì in posizioni
antisbarco.
Lì siamo stati sorpresi dall’8 settembre. Lì prima dell’8
settembre io vorrei dire delle cose forse note o no; comunque io le racconto
come me le ricordo.
Non posso naturalmente giurare e ammettere al 100% che quello che dico
è la pura verità: però io dico quello che mi ricordo.
Tra l’altro però è stato avallato da altri colleghi quando
ci siamo ritrovati nelle varie riunioni del GUISCo e in precedenza altre
riunioni che facevamo con gli ex ufficiali di quel reggimento al giorno
di S. Barbara il 4 di dicembre. Facevamo regolarmente tutti gli anni a
Foligno, facendo anche una commemorazione in onore dei defunti; in particolar
modo del Colonnello Comandante del Reggimento che ci lasciò la
penne in Grecia …no, in Albania, non in Grecia.
Ora quello che voglio dire è questo. Noi seguivamo l’andamento
della guerra in Sicilia, sul fronte russo, dopo lo sbarco in Normandia
quello che è successo in Francia ecc.; seguivamo tutto questo naturalmente
preoccupati del fatto che le cose non andavano bene, però non immaginavamo
che le cose stessero prendendo una piega niente affatto simpatica. Nel
senso che succedevano, nel mio piccolo, nella mia batteria, dico mia batteria
perché io malgrado fossi ancora sottotenente, la promozione mi
era stata data però non mi era stata comunicata, ero sottotenente
e come sottotenente dovevo comandare la batteria, perché il capitano
era un capitano di quelli anziani, richiamato e che non si intendeva più
di niente, perché dopo vent’anni non si ricordava più niente
e quindi l’avevano tirato via. Io come sottocomandante dovevo fare il
comandante, quindi: parlo di mia batteria in quel senso.
Arrivavano delle comunicazioni alquanto strane, per esempio: arrivavano
dei telegrammi in cifrato, noi avevamo un cifrario, andavamo a prendere
il cifrario per decifrare quello che c’era scritto nel telegramma e non
si riusciva mai a decifrare niente perché i cifrari usati per fare
i telegrammi erano nuovi e noi non ci tenevano aggiornati; per cui ogni
cosa, ogni comunicazione in cifrato che arrivava, non si capiva niente,
e quello naturalmente ci dava un po’ fastidio però non ci lasciava
presupporre che ci fosse in ballo già un qualche cosa a sovvertire
le cose rispetto a come dovevano andare.
Altri ordini, arrivati verbalmente ci dicevano che se fossimo sorvolati
da aerei nemici, nel senso allora nemici si intendeva inglesi o americani,
non dovevamo sparare, a meno che non fossimo stati bombardati.
Al che noi pensavamo: “Prima ci prendiamo una bomba, ci buttano per aria
tutto, poi dopo spariamo, va bè ! ” Sì, gli ordini comunque
erano quelli lì.
Un’altra cosa che mi lasciò molto perplesso fu che un giorno, era
… penso il mese di luglio del ’43, quindi poco tempo prima dell’otto settembre,
ricevetti un’ispezione da un generale, un Comandante di Corpo d’Armata
di stanza nel Montenegro, non mi ricordo però il nome, con tutto
il seguito naturalmente! Tra l’altro è successo un fatto curioso,
perché io sentii dare l’allarme dalle sentinelle, e io insieme
ai soldati eravamo in acqua a fare il bagno, quindi c’è da immaginare!
In fretta e furia tornare su, andare lì nella baracca dove abitavo,
tirar fuori i vestiti, vestirmi senza asciugarmi; mi presentai al Generale
ancora con i pantaloni sbottonati… Il Generale, tutto meravigliato del
fatto che non c’era un ufficiale vestito decentemente a riceverlo, mi
disse: “Ma chi è il Comandante qui?” “Signor Generale. sono io
il Comandante! Ma come si presenta qua!” “Eravamo in mare con i soldati
a fare scuola di nuoto!” E invece non era vero, perché eravamo
lì a pesca, dopo a fare i tuffi e a fare il bagno! Per cui dice:
“Beh, va bene!” Comunque dice: “ Va bene, va bene!” Il Generale dice:
“Mi faccia vedere l’ufficio tiro”. L’ufficio tiro era costituito da una
grossa tenda con dentro un tavolo dove avevamo tutte le carte: già
predisposte per fare i tiri, per sparare in mare con la contraerea, che
cosa bisognava fare, ecc… tutto quanto.
Questi piani di tiro, erano stati concordati con il Generale che comandava
l’artiglieria del Montenegro, quindi non era una cosa fatta da me, che
potevo aver sbagliato tutto: era venuto a farlo un competente. Questo
Generale gli dà una guardata, mi ricordo sul tavolo c’era uno di
quei matitoni rosso-blu, “Questo… “ Non va bene niente!” Ha preso il foglio
e ha cancellato tutto, ha fatto segni di croce, “Ma signor Generale!”
dico, “Queste non vanno bene!” Dico: “Ma che cosa devo fare se succede
…”Ah! Non si preoccupi, tanto non succederà niente! Questa roba
non serve più …”
Al che cominciai a pensare che lì si stava facendo… Adesso il nome
in voga è il “ribaltone”, chiamiamolo “ribaltone”. Si stava facendo
il ribaltone perché non bisognava sparare, i piani non andavano
più bene, non andava più niente! Praticamente erano cambiati
tutti i motivi per i quali noi eravamo stati dislocati in quella zona
lì!
La stessa cosa succedeva ai colleghi che comandavano le altre batterie
che erano dislocate lungo la costa: ce n’era una a Dudua (?) e un’altra
nelle vicinanze di …sopra le bocche di Cattaro; anche loro hanno ricevuto
la stessa visita, lo stesso trattamento eccetera eccetera.
Noi siamo rimasti lì perplessi non sapendo cosa fare, e dicevo:
“Ma arriverà qualcuno, che ci dirà che cosa dobbiamo fare!
Dobbiamo andar via o che ? Va bene, niente di tutto questo. E’ arrivato
invece l’otto settembre.
L’otto settembre abbiamo saputo di quello che era successo, ora i soldati,
i sottufficiali erano un po’ euforici, “è finita la guerra … adesso
torniamo a casa,… questo e quest’altro.”, e io cercai di calmarli un po’,
dico: “Guardate che le nostre case sono purtroppo al di là dell’Adriatico,
quindi per arrivare a casa o risaliamo dal Montenegro a Fiume e poi torniamo
indietro, altrimenti il problema è grosso”, anche perché
sapevamo di essere circondati dai partigiani di Tito, eccetera eccetera.
“Quindi la cosa non è tanto semplice e comunque vediamo, ci diranno
che cosa si deve fare”.
Adesso posso raccontare un fatto personale, non so se è il caso,
ma lo racconto perché, per me è costata molta fatica, è
una cosa …Io ero amico con un guardiamarina della Capitaneria di porto
,ci trovavamo spesso il giorno, la sera o che …. La sera dell’8 settembre
venne su in baracca dove avevo una stanzetta e mi disse: “Senti, noi abbiamo
a disposizione un motoscafo d’alto mare, questa notte partiamo tutti della
Capitaneria di porto su questo mezzo e andiamo a Bari”, nel frattempo
Bari era già stata liberata dagli alleati; “Se vuoi venire, un
posto per te, c’è” mi dice.
Io ci pensai un po’, poi lo ringraziai e poi gli dissi: “Io sono qui che
comando la bellezza di 108 uomini; lasciamo perdere i cavalli, i materiali,
i cannoni e cosi, però gli uomini ci sono, son stato con loro fino
adesso, se io vado via, qui non si cura più nessuno di loro di
questi qui; questi qui, rimangono allo sbando e non sapranno più
cosa fare! Se rimango io, perlomeno c’è un punto di riferimento,
decideremo insieme cosa c'è da fare, però “Io rimango”.
Ringraziai e rifiutai di andare.
Il giorno dopo ricevemmo l’ordine di metterci in marcia per l’interno
dal Montenegro, precisamente verso Cettigne senza sapere il perché.
Se non che per strada, ricevemmo degli ordini particolari da parte di
un Generale di cui non ricordo il nome perché a distanza di sessant’anni
… c’è poco da fare … Generale che aveva assunto il comando delle
Forze Italiane dislocate nel Montenegro. Mi pare che si chiamasse generale
Damiani se non mi sbaglio, e se non sbaglio doveva essere il Comandante
della Divisione Modena.
In quel momento la situazione tra l’altro era molto confusa perché
la Divisione nostra, la Divisione Perugia era in fase di trasloco, in
fase di trasferimento, in Albania. Tant’è che il Comando di Reggimento
con tutto lo Stato Maggiore, con i reparti ausiliari del Comando di Reggimento,
s’erano già portati in Albania. I rispettivi Comandi della Divisione
Modena s’erano portati dall’Albania nel Montenegro, per cui noi, praticamente,
in quella circostanza, ci aggregarono a questo Comando che non era il
nostro Comando ma era il Comando della Divisione Modena. Ci dissero di
portarci nell’interno del Montenegro, perché il comando di divisione
aveva deciso di combattere contro i tedeschi, senza neanche interpellarci.
Però noi parlammo tra di noi con gli altri Comandanti di Batteria
che nel frattempo ci eravamo ritrovati tutti lì ad Antivari per
trasferirci appunto a Cettigne, e parlammo tra di noi, sentimmo anche
un po’ il parere dei soldati, e i soldati dissero: “Se non si può
tornare in Italia, l’unica maniera è quella di liberarci dai tedeschi
e … E dopo di che, se … facendo questo, abbiamo, diciamo una certa considerazione
da parte dei partigiani di Tito, vuol dire che questi ci faciliteranno
il ritorno in patria, il ritorno in Italia”.
E così insomma, in maggioranza eravamo tutti d’accordo di combattere
contro i tedeschi e tra l’altro c’era in fase di trasferimento una divisione
corazzata tedesca che dalla Grecia doveva raggiungere il nord della Jugoslavia
per poi portarsi, non so di preciso se ancora in Polonia o che, dove stava
avanzando il fronte Russo. Noi dovevamo contrastare il passaggio di questa
divisione corazzata.
Ora, non è che fossimo molto fiduciosi sulle nostre forze, perché
noi avevamo dei cannoni da 75.27 dell’altra guerra la Prima Guerra Mondiale.
Avevamo delle mitragliatrici, avevamo i fucili, i 98, dell’altra guerra
mondiale. Avevamo una certa speranza di riuscire a fare qualcosa in quanto
saremmo arrivati per primi su un passo, un passo di una strada che da
Cettigne portava a Cattaro; e questa divisione doveva per forza passare
su quella… Era un valico in poche parole senza altre possibilità,
c’era solamente quella strada. Noi attestandoci con le artiglierie su
questo passo, potevamo sperare di fare qualche cosa: cioè pensavamo:
“Se riusciamo a bloccare qualche carro armato lì in mezzo alla
strada prima che lo spostino, blocchiamo questa divisione” .
Inoltre eravamo aiutati dalla Divisione di Alpini, la Divisione Taurinense
che era attestata nella parte al di là della vallata di dove ci
trovavamo noi, anche loro con lo stesso ordine di combattere i tedeschi.
Con questo arrivammo …Tra l'altro devo dire che durante la marcia di trasferimento
da Antivari a Cettigne, fummo bombardati con degli spezzoni da aerei tedeschi.
Soltanto che i tedeschi sapevano già! Prima l’han saputo loro e
poi l’abbiamo saputo noi che cosa andavamo a fare nell’interno del Montenegro
perché altrimenti non c’era ragione di bombardarci. Va bè!
Avemmo anche dei feriti, per fortuna morti nessuno, ma insomma, comunque,
ci mitragliarono e ci mandarono giù degli spezzoni.
Arrivammo a Cettigne e ci portammo su questo valico, sopra a Cattaro,
e lì piazzammo i cannoni tutti puntati contro la strada: due da
una parte e due dall’altra, due da una parte e due dall’altra contro la
strada per sparare contro questi carri armati una volta che si fossero
presentati; sperando che poi le cose fossero andate nel verso giusto ma
certo che di speranza ce n’era poca: perché contro una divisione
corazzata che cosa potevamo fare! “beh, va beh”; comunque per noi gli
ordini erano quelli lì.
Arrivato il ventuno di settembre, si seppe che l’avanguardia della divisione
stava arrivando.
In quel momento i Comandanti dei Reggimenti di Fanteria della Divisione
non era Modena, mi sbaglio era la Divisione Emilia, beh comunque Modena
è nell’Emilia, era la Divisione… Adesso m’è venuto in mente!
Il Comandante di Reggimento di quei due Reggimenti di Fanteria della Divisione
Emilia, ci fecero sapere: “noi siamo con i tedeschi, pertanto se voi vi
permettete di sparare un solo colpo contro i tedeschi, noi abbiamo tutte
le armi puntate contro di voi, e vi facciamo fuori, perciò contro
i tedeschi non dovete sparare”.
Al che, che cosa bisognava fare?
Lì dovemmo decidere! Non solo sparare ai tedeschi … ma sparare
pure agli italiani perché dei due colonnelli, avevano deciso in
questa maniera perché non credo che i soldati avessero avuto tanto
intenzione di sparare contro di noi; però … insomma … ci fecero
sapere questo.
Allora decidemmo “va bene non spariamo perché qui altrimenti succede
una carneficina: quelli sparano a noi, noi spariamo a quelli lì,
spariamo contro i tedeschi, i tedeschi sparano a noi, rimaniamo tutti
qui, è meglio non sparare e vediamo cosa succede”.
Rimanemmo in attesa e arrivò questa Divisione tedesca; alcuni ufficiali
di questa Divisione, vollero sapere chi comandava; mi presentai io, si
presentarono gli altri colleghi delle altre batterie, dissero semplicemente:
“togliete gli otturatori dei cannoni e consegnateceli”; va bene: togliemmo
gli otturatori dei cannoni e glieli portammo. Loro li caricarono sui loro
mezzi, “adesso voi dovete andare, con quali mezzi vedete voi, noi non
vi togliamo niente: non vi togliamo le armi, mitragliatrici, fucili, munizioni,
i carreggi e i camion, avevamo anche delle moto eccetera., oltre che un’ottantina
di cavalli. Dovete raggiungere Skopje, che si trova in Kossovo o in Macedonia?
Dovete raggiungere Skopje dove c’è il concentramento degli italiani.
Vi lasciamo le armi perché vi dovete difendere dai partigiani di
Tito i quali faranno di tutto per disarmarvi. Quindi voi le armi non le
dovete cedere! Perché se arrivate… questo dissero i tedeschi. Premettendo
che noi eravamo sotto la legge marziale tedesca, “se arrivate a Skopje,
se ci arrivate, disarmati, vi fuciliamo tutti, ufficiali senz’altro e
poi i soldati che arrivano senza fucile o senza mitragliatrice li fuciliamo”
e per questo dice: “vi dovete difendere dai partigiani”.
E da lì, partimmo a tappe di venti - venticinque chilometri al
giorno e così c’avviammo verso Skopje, impiegammo … una ventina
di giorni. Perché dovemmo attraversare il Montenegro, tutta l’Albania
e parte della Macedonia o del Kossovo. Non mi ricordo bene adesso l’itinerario.
Comunque arrivammo a Skopje, a Skopje ci fermammo 3 o 4 giorni.
Sistematicamente, mattina e sera c’era l’adunata da parte dei tedeschi
e ci chiedevano perché cercavano gli optanti, chi voleva optare…
Avevate qualche notizia di quello che succedeva in
Grecia? Della vostra divisione Perugia?
No … no … di quello che era successo al nostro comando
non avevamo avuto notizia. L’abbiamo avuta poi dopo il rientro dalla Germania,
abbiamo saputo che avevano fucilato il Colonnello, il Cappellano militare,
l’Ufficiale di Stato Maggiore, non mi ricordo di preciso quando ma gli
ufficiali dell’Ufficio comando della divisione Perugia lì hanno
fucilati tutti; beh … va bene. Qui è successo un po’ quello che
è successo a Cefalonia poi insomma …
Lì a Skopje, come vi dicevo, mattina e pomeriggio, facevano l’adunata
e volevano sapere chi era disposto o a optare per la Germania o per la
Repubblica Sociale Italiana come militare, il che significava una rieducazione
presso l’esercito tedesco in Germania oppure in Italia; o chi voleva optare
per il lavoro, il lavoro civile. Già parlavano allora di lavoro
civile.
Veramente ci fu qualcuno che fece questa scelta. Io avevo un carissimo
amico Sottotenente … sottocomandante della Nona batteria, lui non si fece
scrupolo di dire: “io ho prestato giuramento al Re e al Duce e continuo
ad essere fedele se non al Re che è scappato, perlomeno al Duce
sì, e io continuerò a combattere con i tedeschi” e lui lo
disse chiaramente perché voleva mantener fede a questo giuramento.
Ora, un affare di questo genere secondo me era giusto per lui, per la
sua persona, come vedeva le cose lui, però non la vedevo giusta
per chi volesse seguire un’altra strada. Cioè noi, o almeno io,
non ero un volontario della guerra, a me m’hanno chiamato, logicamente
non potevo rifiutare, ho dovuto fare il corso di Allievo Ufficiale m’hanno
detto di fare quello che dovevo fare l’ho fatto, sempre in maniera abbastanza
scrupolosa e abbastanza responsabile anche se avevo solamente venti anni
e comunque, non era una responsabilità di poco a essere lì
al comando di una batteria, soprattutto nei confronti degli uomini, non
tanto come dicevo prima del materiale o dell’altra roba, ma degli uomini
sì. Quindi ho cercato sempre di fare le cose nel mio modo, anche
se come esperienza non ne avessi avuta molta: perché giovane in
quel modo non è che si potesse avere tanta esperienza.
Quindi, dicevo che quel fatto di tener fede a un giuramento, era valido
e non era valido: in quanto quel giuramento, non è che ci fosse
stato strappato con la forza; però sicuramente di un giuramento
volontario c’aveva ben poco, perché a scuola da Balilla e Avanguardista
e giovane fascista eccetera, siccome si andava a scuola bisognava per
forza essere Balilla, Giovane fascista e Avanguardista o quello che era.
Anche se io specialmente quando ero proprio giovane giovane va bè:
sopportavo, non è che ci badassi molto, ma al momento, quando avevo
diciassette-diciotto anni che ero così chiamato Giovane fascista,
non è che fossi troppo d’accordo. Non tanto per ideologia, perché
allora nelle scuole, poi io ero stato in collegio quindi di tante cose
proprio non ne avevo neanche sentito parlare: per me allora che cosa significasse
Democrazia non lo sapevo, non lo avevo neanche trovato scritto sui libri.
Non sapevo niente! Quindi sapevo solamente quello che mi avevano detto
del fascismo, conoscevo le cose buone che il fascismo aveva fatto, conoscevo
le cose cattive che il fascismo stava facendo e tra le altre cose la guerra
e come siamo entrati in guerra con quel fatto di entrare in guerra quando
la Francia ormai era stata fatta fuori; insomma: non era stato un bel
gesto per i nostri cugini anche se i francesi sono cugini per modo di
dire no? … va bè lasciamo perdere, comunque … Comunque: come dico,
io, non è che fossi un fanatico oppositore del fascismo, però
non ero neanche nè entusiasta nè dalla parte del fascismo,
facevo quello che mi obbligavano a fare però lo facevo contro voglia;
tant’è che siccome che io stavo ancora in collegio e in collegio
era un po’ una specie di prigione anche se eravamo trattati bene non è
che fossimo … però come libertà non ne avevamo. Avevamo
la libertà d’andare a scuola, finita la scuola dovevamo tornare
in collegio a studiare, perché quello che contava era lo studio,
e praticamente eravamo liberi il sabato che era il cosiddetto “sabato
fascista”; e quella mezza giornata, a me mi seccava d’andare a fare l’adunata,
andare a fare la marcia, andare a fare l’istruzione militare e tutta quella
roba lì e quando potevo sgattaiolavo, e me ne andavo al cinema
o andavo da qualche altra parte; non per ideologia ma perché proprio
mi pesava quel modo di vivere ecco.
Allora come dico, a quel giuramento io non ho dato molto peso, perché
io adesso sono costretto a fare una scelta, la scelta la faccio a modo
mio, secondo il mio punto di vista.
Noi ci siamo opposti ai tedeschi e i tedeschi ci hanno presi, ci han fatto
prigionieri praticamente, ci han presi e adesso ci portano in Germania.
E fin che ci portano in Germania io sarò un’oppositore dei tedeschi;
perché i tedeschi qualunque cosa mi possono dire: se voglio lavorare,
dirò no! Voglio combattere ancora con loro, dirò no! Loro
dicono che sono traditore, va bene sono traditore! Tra l’altro ci chiamavano
Badogliani i traditori…eravamo i Badogliani. In contrapposizione naturalmente
con la repubblica di Salò. E così io ho dovuto tirare avanti
fino al 16 aprile del ‘45.
L’unica cosa che non ho capito è come siete arrivati su con
le armi. Poi vi hanno fermato?
Si: e le armi le abbiamo depositate a Skopje; a Skopje ce le hanno ritirate
tutte.
Eravate soltanto i vostri reparti quando vi hanno radunato o c’erano
già altri reparti?
No, era già abbastanza pieno di italiani provenienti da tutte
le parti dall’Albania, dalla Grecia, quelli che non avevano ammazzato.
C’era già parecchia gente là a Skopje.
Voi non avevate l’illusione che vi mandavano a casa?
Perché molti dopo l’8 settembre catturati anche in Grecia, il 9
il 10 settembre, avevano l’illusione, …o gli dicevano che li mandavano
a casa.
No, questo era quello che dicevano i tedeschi: “se optate
per noi, noi vi portiamo in Italia, poi farete l’istruzione eccetera eccetera,
ma in Italia. Chi vuole lo può fare in Germania ma altrimenti vi
portiamo in Italia.
Chi è venuto a farvi le offerte per la Repubblica
sociale?
No… dicevano solamente che se si optava per la Germania,
ci avrebbero poi consegnato alla Repubblica sociale, come …no non ce n’erano,
non c’era nessuno.
C’erano ancora altri ufficiali con voi?
C’erano gli ufficiali degli altri reparti e c’erano gli
ufficiali delle nostre batterie. Perché noi siamo arrivati a Skopje
tutti uniti. Tutto il Reggimento costituito da due gruppi e cioè
sei batterie, eravamo tutte e sei e abbiamo viaggiato insieme e siamo
arrivati a Skopje insieme. Naturalmente mancava il Comando perché
il Comando non c’era, eravamo solo noi ed eravamo tutti ufficiali inferiori.
C’era qualche Tenente ma il resto eravamo tutti giovani, tutti Sottotenenti.
Vi hanno radunato …
Ci hanno radunato e ci hanno lasciato lì per tre
o quattro giorni continuando a chiederci se volevamo optare per la Germania,
per la Repubblica sociale o per il lavoro. Naturalmente la massima parte
si è rifiutata perché naturalmente dicevamo che non ci fidavamo
e che essenzialmente dicevamo: “Ci avete preso siamo dei prigionieri e
perciò noi non possiamo decidere di venire con voi, di andare con
la Repubblica sociale eccetera, noi potremmo solamente decidere se ci
portate in Italia liberi; in Italia ci lasciate liberi, dopo di che, una
volta in Italia noi decideremo cosa fare: Se andare con la Repubblica
sociale, con i tedeschi o con nessuno”.
Naturalmente i tedeschi di questo non si fidavano, volevano un’opzione
sul posto, perché pensavano già “se li portiamo in Italia
questi qui poi tagliano la corda e non ne troviamo più nessuno!
Nel periodo precedente o anche dopo l’8 settembre
avete avuto qualche rapporto, qualche contatto con la Resistenza Jugoslava?
Contatti di collaborazione no. Avevamo purtroppo dei
contatti come nemici, nel senso che noi avevamo durante la nostra permanenza
specialmente in Croazia, e qualcuna anche nel Montenegro, abbiamo partecipato
a dei rastrellamenti, abbiamo effettuato dei bombardamenti, dei cannoneggiamenti
eccetera. Abbiamo assistito a quella famosa battaglia di cui non mi ricordo
il nome e comunque ci fu una grossa offensiva da parte dei partigiani
di Tito nell’interno del Montenegro, no, nell’interno della Croazia, no
sbaglio: nel Montenegro, tra i partigiani di Tito e una divisione italiana.
I partigiani di Tito stavano per sopraffare quella divisione italiana:
ci sono stati parecchi morti, parecchie perdite, e in soccorso a questa
divisione italiana arrivò una divisione di tedeschi e costrinsero
i titini a ripiegare sulle montagne, così. Ma per fortuna perché
arrivò la divisione tedesca altrimenti la divisione italiana l’avrebbero
fatta fuori tutta.
In quella circostanza, io ero ancora lì ad Antivari e ad Antivari
c’era un campo di concentramento di partigiani di Tito o simpatizzanti,
o comunque i ribelli come lì chiamavano allora, ed erano lì
in campo di concentramento.
In ritorsione a quella battaglia che si svolgeva nell’interno del Montenegro,
nell’alto Montenegro, il Comando evidentemente dall’alto, logicamente
perché non eravamo noi a disporre di certe cose, ordinarono la
fucilazione giornaliera di un partigiano ogni giorno fino a quando Tito
non si fosse ritirato con i partigiani mentre si svolgevano le battaglie
nel Montenegro.
Noi avevamo l’ordine di partecipare, assistere alle fucilazioni, io ero
in guerra ma io la faccia da guerriero non ce l’ho mai avuta. Sono sempre
stato contrario perché per me la guerra è una cosa da evitare
nella maniera più assoluta! Comunque mi faceva senso solamente
pensare di dover assistere a una fase di quel genere: per cui io o perché
con la scusa che ero di servizio o perché ero di picchetto, ero
di giornata, o che ero qui o che ero là, io non ho mai assistito
e non ho mai voluto assistere; comunque purtroppo succedevano anche queste
cose.
Un’altra cosa brutta che accadde a Salona, Salona è in prossimità
di Spalato, i primi tempi. Era nei primi di gennaio del ‘42, eravamo a
mezzogiorno ed eravamo nella sala mensa ufficiali, io mi ricordo che ero
rannicchiato dietro una stufa colossale, era un monumento: una stufa metallica,
di ghisa, perché faceva un gran freddo, e stavo acquattato dietro
a questa stufa per riscaldarmi un po’ in attesa che fosse pronto da mangiare.
Vidi entrare dalla finestra due bombe; c’erano alcuni ufficiali seduti
già al tavolo e così le bombe rotolarono sotto il tavolo,
esplosero, fecero parecchi feriti, uno in maniera grave che per fortuna
poi si è salvato.
Logicamente scattò subito una reazione alla ricerca dei colpevoli.
I colpevoli chi volevamo che fossero: erano i partigiani! Insomma noi
eravamo a casa loro c’è poco da fare, diciamo le cose come stavano:
erano loro in casa loro noi eravamo lì a fare da padrone e non
eravamo i padroni; quindi era anche logico e giusto che in qualche maniera
reagissero; però le cose si sa com’è … come sarebbero andate,
e la polizia militare riuscirono a scovare i due colpevoli che avevano
buttato le bombe. Allora Corte Marziale: fucilazione.
E lì, proprio nel nostro gruppo, dovevano fare il sorteggio dell’ufficiale
che doveva comandare il plotone d’esecuzione. Ecco io, in quel momento
lì, lì è stato uno dei momenti più brutti
di tutto il periodo.
Solamente a pensare di dover andare a comandare il plotone d’esecuzione
per ammazzare una persona che tra l’altro era dalla parte della ragione
e non dalla parte del torto, anche se aveva buttato delle bombe, era una
cosa che per me era insopportabile! E per fortuna non sono stato estratto
quindi non ho visto e non ho partecipato e … ma queste son cose della
guerra insomma no, questi albanesi, come dico se fossero partigiani o
no non lo so, comunque non si presentavano come partigiani e anche se
erano armati ci perseguitavano perché volevano i cavalli, volevano
le nostre armi, ma così con le buone maniere, senza sopraffarci,
ce li chiedevano addirittura a pagamento. Noi avevamo l’ordine, siccome
i cavalli, praticamente ne perdemmo quasi la metà; venti giorni
di trasferimento venti cavalli dovemmo abbattere perché non avevamo
più da dargli da mangiare, non avevamo tempo per farli pascolare,
non c’era fieno, non c’era foraggio, non c’era più niente, dimagrivano
continuamente e giorno per giorno ogni tanto se ne vedeva uno che non
ce l’ha faceva più a camminare e dovevamo abbatterlo; però
dopo l’abbattimento del cavallo dovevamo tagliare lo zoccolo a dimostrazione
che il cavallo non l’avevamo venduto; al che abbiamo dovuto presentare
gli zoccoli dei cavalli abbattuti durante il percorso; oltre che alle
armi, eccetera.
Come dico, l'unico contatto che avevamo con gli albanesi era questo.
Vediamo questo viaggio verso la Germania che è cominciato
…
Ecco posso aggiungere un’altra cosa a proposito dei contatti
o meno coi partigiani?
Durante il tragitto ci furono alcuni anche della mia batteria, comunque
alcuni soldati, sottufficiali ecc., che decisero di andare con i partigiani;
sperando di poter rientrare in Italia sapendo che, andando in mano ai
tedeschi e non continuando il rifiuto di lavoro o di collaborazione con
i tedeschi in Italia non ci saremmo andati, scelsero di andare con i partigiani;
però molti di questi, il giorno dopo o nei giorni successivi tornarono
indietro quasi nudi: senza pastrano, senza armi e scapparono dai partigiani,
perché i partigiani dopo averli diciamo depredati di quello che
avevano, non li han voluti perché evidentemente non si fidavano,
perché altrimenti lì avrebbero accettati.
Ma logicamente è risaputo che molti italiani andarono coi partigiani
e coi partigiani son rimasti; hanno anche combattuto coi partigiani eccetera,
quindi forse dipendeva dalla qualità del reparto dei partigiani
che si incontrava. Se uno andava in un reparto di ladroni quelli lì
gli portavano via tutto poi lo rimandavano a casa; se invece andavano
con delle formazioni partigiane serie e intenzionate a combattere, quelli
li prendevano tant’è che molti italiani son rimasti veramente coi
partigiani. Ma questi comunque sono stati casi sporadici, perché
il grosso è arrivato tutto a Skopje e poi da lì, come dico,
c’è stata la selezione di quelli che volevano collaborare o no,
e poi un bel giorno, dopo tre o quattro giorni, non ricordo più
di preciso, ci han messo sul treno, le tradotte, e ci hanno portato in
Germania.. La nostra tradotta in quella circostanza non fu un treno di
carri bestiame come invece è successo poi in seguito. Era un treno
normale, con vetture vecchie di terza classe, allora c’era la terza classe,
però erano tutte chiuse dall’esterno, perché c’era la scorta
dei tedeschi e ci hanno chiuso dentro e quindi non si poteva scendere
a piacimento; ci facevano scendere quando volevano loro, a fare dei bisogni
o quando arrivando in una stazione c’era qualcosa da mangiare.
Arrivammo in Westfalia, nella zona di Meppen, che poi era considerata
una zona di campi di concentramento. Lì scendemmo, facemmo una
marcia di una decina di chilometri e arrivammo lì al campo di Meppen.
Lì fu il primo campo di concentramento; avevamo ancora dietro qualche
scorta da mangiare e qui, avemmo una prima sorpresa quando distribuirono
il rancio. Distribuirono da mangiare a mezzogiorno, che era un mangiare
abbastanza decente diciamo rispetto a quello che poi abbiam visto in seguito.
Era un mangiare fatto di orzo, patate, con un po’ di condimento, qualche
pezzetto di carne, beh insomma una cosa abbastanza … almeno così
a vederla sembrava un qualcosa di buono; senonché a mangiarla,
si sentiva un sapore di fango e di terra perché il mangiare lo
facevano senza una dovuta pulizia delle patate; patate sbucciate sì,
ma evidentemente non le lavavano bene per cui rimaneva tanto fango: e
questa minestra sapeva fortemente di fango. Tant’è che quelli che
erano già lì da qualche giorno o da un po’ di tempo, questa
cosa la sapevano: “quando arrivano quelli nuovi questa cosa non la mangiano
perché ha un sapore di fango e non riescono a mangiarla” ed erano
lì ad aspettare che noi rifiutassimo perché non potevamo
mangiarla; e infatti così è successo: “non è buona!
Sa di fango!”
E allora dammela che la mangio io, … dalla che la mangio io” … e se la
mangiavano loro perché oramai erano assuefatti da quel sapore,
o anche perché avevano già incominciato la cura della fame.
Lì entrando in una baracca mi ricordo un fatto curioso, trovai
un ufficiale, un capitano, che io ritenevo anziano allora ma anziano per
me che avevo vent’anni quello lì avrà avuto meno di quarant’anni
sicuramente; però si sa, i giovani vedono le persone più
anziane come vecchie. Era lì che stava trafficando con un temperino
su un pezzo di legno e chiesi: “ma cosa sta facendo?” E dice: “sto preparando
le bilancine per pesare il pane quando distribuiranno il pane in modo
che tutte le fette siano divise uguale.” Ma lui dice…com’è andato
a pensare… ma quello lì stato prigioniero nell’altra guerra degli
austriaci e quindi sa già che cosa succede nei campi di concentramento
era lì e preparava la bilancina: questo è un particolare
curioso ma m’è rimasto in mente perché poi effettivamente,
ognuno di noi poi si è fatto la propria bilancina durante.
Bene: siamo stati lì a Meppen una quindicina di giorni e poi arrivò
l’ordine di trasferimento e ci portarono in un altro campo: (non mi ricordo
più); comunque, forse ho sbagliato ma io ho fatto un conto, di
aver cambiato tredici volte campo di concentramento, tredici campi di
concentramento, in poco meno di un anno! In poco meno di due anni!
Si è fatto un’idea di come mai così tanti cambiamenti?
Perché non ci tenevano molto tempo nello stesso campo in quanto
pensavano che ci si potesse organizzare sotto tanti aspetti così
e allora cercarono di smistarci in questa maniera.
Vi smistano però lei resta sempre con i giovani ufficiali?
Nei primi due o tre campi c’erano anche militari di truppa:
tant’è che io rimasi coi miei soldati per un po’ di tempo. Solamente
alla metà di dicembre decisero di concentrarci in Polonia.
Ci dica qulcosa prima di dicembre, relativa a questo
periodo in cui lei cambia già due o tre campi dopo Meppen.
Si: … la musica era sempre la stessa!
Adunata al mattino al freddo, … adunata alla sera sempre al freddo, fuori,
in fila, per la famosa conta. La conta sarebbe stata che un ufficiale
tedesco ci contava: poi faceva finta di sbagliare per tenerci lì
apposta al freddo, contava, sbagliava, ne manca uno, ricontava invece
non mancava nessuno vabè; e lì poi arrivava il comandante
di campo con la solita musica: “allora, chi vuole optare per per qui per
la, per il lavoro, per la Repubblica Sociale Italiana o per …..“.
Sempre solo i tedeschi si sono presentati?
Sempre solo i tedeschi … sempre solo i tedeschi e a seconda
dei campi c’erano ufficiali della Wehrmacht, oppure in qualche campo addirittura
SS. Solitamente c’erano ufficiali invalidi di guerra, mutilati eccetera
che li utilizzavano oramai … non più idonei per il fronte e li
tenevano lì in campo.
E lavoro coatto in questi primi campi non ve ne hanno fatto fare?
No: in questi solamente la richiesta di collaborazione: due volte al
giorno era la stessa musica!
E in questi primi campi c’erano prigionieri anche di altri paesi?
In questi campi non c’erano altri prigionieri, ma c’erano
polacchi e russi adibiti ai servizi. Erano lì da parecchio tempo
e tra l’altro si diceva che in quei campi lì una volta erano campi
di polacchi, campi di russi eccetera e che in un modo o nell’altro erano
quasi morti tutti di stenti, di fame, di epidemie, ed altri, alcuni sono
rimasti ed erano adibiti ai servizi, erano in cucina, al trasporto col
carro delle patate delle verdure che utilizzavano per fare la zuppa …
erano adibiti a questi servizi; ma altri prigionieri in questi campi no;
eravamo solo italiani.
Ad un certo punto però, la separano dai suoi soldati, ed è
quando viene inviato in Polonia?
Sì a un certo momento hanno stabilito di radunare
tutti gli ufficiali inferiori: dal Sottotenente al Capitano nella famosa
cittadella di Chelm che si trova a oriente rispetto a Varsavia, in prossimità
di Deblin Irena, una fortezza costruita dai polacchi non so quanti anni
prima, per difendersi dalle invasioni russe, non so di quale gente … Fatto
sta che era una fortezza enorme, immensa, penso che aveva oltre un chilometro
di diametro: era a forma elittica da un lato un diametro maggiore di un
chilometro, insomma era una costruzione enorme. C’erano dei muri che erano
larghi quanto questa stanza, mi ricordo che nelle finestre, sui davanzali
ci andavamo a metterci lunghi e distesi per quanto erano ampie; era una
fortezza enorme!
Comunque: ci radunarono tutti lì, divisi in scaglioni di mille
ufficiali per scaglione, separati l’uno dall’altro, c’è chi parlava
di venticinquemila, ma in effetti non eravamo in venticinquemila e comunque,
in quindicimila sicuramente Qui presero tutti gli ufficiali inferiori
di tutti i campi di concentramento e li hanno portati tutti la in questo
campo: questo a Deblin Irena. mi son sbagliato: perché il primo
campo, quello di Chelm, era un campo di concentramento di baracche, costruito
durante la prima guerra mondiale: Quindi erano delle baracche con muri
fatiscenti: con delle crepe larghe così, entrava l’aria da tutte
le parti, però devo dire anche che c’erano delle stufe enormi,
che andavano a torba, lì nelle vicinanze c’erano delle miniere
di torba, la torba non è mai mancata per cui perlomeno, anche se
entrava l’aria gelida, perché si andava sempre su 10, 15 o magari
anche 20 gradi sotto lo zero, perché lì fuori era tutta
una distesa di ghiaccio; però dentro, stando vicino alle stufe
si poteva ancora vivere. Anche se qualche volta ci facevano degli scherzi
nel senso che, la baracca dove c’erano le docce, dove c’era il posto per
la disinfestazione dei vestiti ecc., era al di fuori logicamente da queste
baracche: e allora ci costringevano ad andare in una baracca per denudarci
e lasciare lì i vestiti che passavano alla disinfestazione, e ci
facevano andare nudi, fuori, nella baracca dove c’erano le docce. Beh:
si può pensare “ma come facevate a resistere con quel freddo?”
Beh, in effetti non si faceva in tempo a sentire freddo perché
si usciva di corsa, si entrava nell’altro tempo sì, ci si raffreddava
un po’ esternamente, ma non ho mai patito il freddo per queste cose; mentre
ci facevano patire il freddo quando ci facevano uscire al mattino e alla
sera fuori in fila e ci tenevano delle ore, e lo facevano apposta proprio
per demoralizzarci, per indurci insomma ad acconsentire, ad aderire …
Qual’era il clima psicologico? e poi, c’erano delle malattie per
caso già in (corso)?
Sì, purtroppo c’era gente che come salute era
un po’ precaria, diversi tipi di malattie, e specialmente dissenterie,
malattie ai polmoni, dolori reumatici.
Quelli li ho avuti anch’io alle ginocchia: una notte mi son svegliato
e non potevo più dormire dal gran dolore che avevo alle ginocchia
non le potevo piegare, non potevo stare in piedi, non potevo far niente,
è stato un attacco alle ginocchia non so se dovuto a che cosa al
freddo, all’umidità o che, per fortuna poi, senza medicinali senza
niente poi come è venuto è andato via, poi da quella volta
non ho sentito più niente, una cosa abbastanza strana; però,
per me è stata una cosa di poco conto ma altri erano veramente
e gravemente malati; e purtroppo noi vedevamo da questa cittadella o dal
campo di Chelm, vedevamo i soliti polacchi o russi coi carretti che portavano
via quelli che durante la notte erano morti Insomma, era una cosa che
accadeva abbastanza spesso! Va bene che eravamo in tanti in quelle condizioni,
era quasi logico che molti non resistessero!
Devo dire che quello che ha aiutato me e quelli che come me, della mia
età, era appunto l’età giovanile; ma quelli che avevano
qualche anno di più hanno veramente dovuto sopportare in un’altra
maniera questo periodo; specialmente quelli che avevano la famiglia: chi
aveva moglie, chi aveva figli… Io pensavo solamente: “molto probabilmente
non tornerò a casa! Beh … va bè se non torno a casa beh
pazienza …” , io non avevo nè moglie nè figli; avevo ancora
mia madre e i fratelli però loro, vivranno lo stesso anche senza
di me, anche per il fatto che io, già da undici anni come ho detto
prima, son stato via da casa quindi, non è che fossi tanto di famiglia:
ero ormai diventato quasi un estraneo; quindi, pensavo che se mi fosse
successo qualcosa, … sì logico, specialmente per mia madre, sarebbe
stata una disperazione ma, poi sarebbe passata. Ma per chi aveva famiglia
proprio, io li vedevo; io ho visto gente piangere, piangere al pensiero
di quello che poteva succedere a tutti noi, e logicamente dei riflessi
della loro famiglia; vabè comunque, le cose andavano in questa
maniera.
Dunque lì, da quel campo di concentramento di Chelm si trasferirono
a Deblin Irena dove c’era questa fortezza, su una tradotta di carri bestiame.
Premetto anche dalla Westfalia in Polonia, carri bestiame. Però
perlomeno avemmo una fortuna: che il comandante era un capitano tedesco:
un comandante della pattuglia di scorta, evidentemente non era tanto nazista
o tanto dell’idea di chi comandava: e fece del tutto per farci fare quel
viaggio in una maniera meno pesante possibile. Io mi ricordo: l’ho sentito
dire, ma poi in effetti ho anche visto, che lui telefonava alle stazioni
dove il treno si sarebbe fermato per mangiare qualche cosa così
e diceva: “E’ in arrivo un treno di collaborazionisti italiani” in modo
che preparassero le cose un po’ migliori insomma no, invece non lo eravamo
affatto.
La stessa cosa successe quando noi arrivammo alle tre di notte a Chelm,
arrivò questo treno, questa tradotta chiamiamola così, su
un binario morto, fuori c’erano allineati i camion dei tedeschi, con i
tedeschi inquadrati, due o tre tedeschi per ogni camion, ogni camion aveva
prospicente un vagone, al vagone siamo scesi noi, i soldati ci hanno preso
quei pochi bagagli che avevamo, che avevamo uno zainetto con qualche straccetto
dentro perché non è che avessimo tanta roba, ce l’hanno
caricato loro sul camion, siamo andati tutti in fila con i camion tutti
allineati dentro il campo, dentro il campo c’erano tutte le stufe accese,
alle tre di notte, un gran freddo: tutte le stufe accese. Una cosa molto
ben organizzata! Ci fecero fare un tragitto dove ci consegnavano un pagliericcio
per metterci dentro la paglia, dove ci consegnavano un piatto, dove ci
hanno consegnato un cucchiaio, un bicchiere, un asciugamano, insomma tutta
una cosa che negli altri campi non ce l’ha siamo neanche sognati: tutta
una cosa organizzata. Forse per merito di quel capitano lì: penso
io che sia stato no, che … comunque la parte positiva poi è finita
tutta lì perché poi in quel campo lì in quanto a
mangiare, incominciò il periodo della fame.
Potevate comunicare con l’Italia?
Una volta giunti lì a Chelm, incominciarono a
distribuire quei formulari già predisposti per poter scrivere ai
familiari e allegare, anzi era unito a questo formulario, un altro formulario
per la richiesta dell’invio dei pacchi, pacchi alimentari. E logicamente
approfittammo tutti quanti scrivemmo a chiedere pacchi, a chiedere di
qui a chiedere di là e io, nel frattempo, non so se fu in quel
periodo o comunque successivamente ci fu il passaggio del fronte, la Linea
gotica che si stabilì lì tra la Romagna e la Toscana, per
cui i miei rimasero dall’altra parte. Quindi la mia corrispondenza, la
mia richiesta di pacchi, niente, non andarono a buon fine, e allora siccome
avevo dei parenti a Torino mi rivolsi a questi miei zii di Torino che
mi mandarono … mi scrissero che me ne avevano mandati tanti; in effetti
me ne era arrivato uno solo ma non perché questi pacchi venissero
trafugati o che… Ma purtroppo, con tutti i bombardamenti che c’erano,
molti di questi pacchi logicamente arrivavano via ferrovia, venivano bombardati
quindi venivano distrutti, magari qualcuno andava anche in mano ai soldati
non lo so; comunque, su dieci pacchi che spedivano in Italia se andava
bene ne arrivavano si e no due o tre; io ne ho ricevuto solamente uno
comunque.
Come dico lì incominciò il periodo della fame perché
il menu era: Acqua calda al mattino con un infuso di tiglio e basta: Acqua
insomma no pane o che, niente!.
A mezzogiorno davano una fetta di pane, era una pagnotta rotonda così,
bisognava dividerla in sei o sette o otto, adesso non mi ricordo ma so
che quando eri ultimo veniva fuori una fettina di pane grossa sarà
stato: poco più di cento grammi.
Davano una zuppa, una minestra fatta con verdure secche rinvenute nell’acqua,
patate, e dopo queste patate le mettevano dentro non sbucciate e col freddo
che faceva là, tutti questi magazzini di patate, le patate si congelavano
col freddo, e la patata congelata non si cuoce più, diventa dura
e basta; la puoi far bollire un’ora ma tale rimane!
Inoltre, e questo lo so di sicuro, perché poi a turno andavamo
in cucina con la speranza di potersi sfamare un po’, di riprendere un
po’ di energia, facevo i turni per andare lì in cucina a lavare
le patate, a aiutare in cucina e vedevo come lavavano le patate. Le patate…
C’erano un mucchio di patate per terra e con la pompa dell’acqua gli davano
una schizzata, uno andava con il badile a ribaltarle un po’, l’altro continuava
a lavare ma figuriamoci la patata , che non è tra l’altro, non
è mai liscia o che, nelle fessure, negli incavi rimane sempre terra
fango; quindi c’era da immaginare com’era questa minestra. Praticamente:
se c’era qualche patata buona, bollendo siccome lì le facevano
bollire per rinvenire l’erba, quell’erba secca, la facevamo bollire delle
ore, la patata spariva, si diluiva nell’acqua praticamente quelle buone;
quelle cattive invece rimanevano; e quelle cattive purtroppo erano immangiabili
perché, è come mangiare non solo una patata cruda, ma una
patata cruda andata a male; non si poteva mangiare!
E inoltre quelle verdure, tra le altre cose c’erano delle rape: le chiamavano
rape da foraggio; erano così amare e così cattive, che tra
l’altro non solo erano amare, ma quando si mangiavano irritavano la gola.
La gola si gonfiava, non si potevano mangiare; sia per il sapore sia perché
facevano quell’effetto lì; quindi il mangiare lì praticamente
ci dovevamo accontentare di mangiare un po’ di pane e insieme al pane
davano un giorno un po’ di margarina, un altro giorno un cucchiaio di
marmellata: poca roba insomma; e questo doveva bastare per tutto il giorno!
Questo in Polonia.
Sì questo avvenne in Polonia.
Questo avvenne a Deblin Irena: dopo Deblin Irena come mai è
stato spostato?
Dopo Deblin Irena ci fu un nuovo spostamento verso la
Westfalia nuovamente nei campi di Meppen, Oberlangen, e altri campi di
cui non mi ricordo il nome, e va bè.
Accadde che, nel frattempo, il fronte russo stava avanzando ed era arrivato
in prossimità della Polonia: noi eravamo lì ai confini praticamente,
della Polonia.
Noi pensavamo che, lì dentro a quella fortezza di Deblin, dico
una mattina, si radunano tutti, ci mettono in mezzo, piazzano un po’ di
mitragliatrici, ci fanno fuori, e arrivederci perché stanno arrivando
i russi: non credo che i tedeschi siano contenti che i russi ci prendano:
perché potremmo poi collaborare coi russi e va bè, … ci
fanno fuori tutti e arrivederci. E invece no! Insomma io, che sotto certi
aspetti, dei tedeschi devo dire certe cose, sotto altri aspetti ne devo
dire altre. Per esempio su quanto riguarda l’organizzazione, è
ineccepibile; per quanto riguarda l’onestà di molti tedeschi, anche;
per quanto riguarda la crudezza e la cattiveria di molti tedeschi, lo
devo pure dire perché se no …
Questo succede un po’, non solo ai tedeschi perché da noi italiani
ci sono i buoni, ci sono i cattivi, ci sono gli onesti, ci sono … non
è così? Invece, contrariamente a quello che pensavamo, incominciarono
dai primi di febbraio, una tradotta al giorno per mille ufficiali al giorno,
ci han portati via. Ci hanno portati appunto in Westfalia: la nei campi
dove eravamo stati praticamente prima di andare in Polonia , più
o meno la zona era quella lì.
Il mio gruppo diciamo, gli ultimi mille, prima di partire i tedeschi ci
indicarono il posto e ci dissero: “lì ci sono un gran quantitativo
di surrogato di caffè in pacchi da due chili, mi ricordo pacchi
enormi, e poi lì in una grotta accanto ci sono le rape”; ma erano
quelle rape di cui vi parlavo prima: immangiabili, dovevi andar lì
e svuotare il magazzino “portarvele dietro perché durante il viaggio,
non vi daremo da mangiare e voi vi dovrete arrangiare con quella roba
lì!”. Va bene, noi facemmo in questa maniera: prendemmo un paio
di pacchi di quel surrogato, un po’ di rape che poi dopo le buttammo via
perché erano immangiabili, e insomma per un paio di giorni abbiamo
tirato avanti con surrogato, masticavamo quella roba lì.
Io ho saputo che i tedeschi, tenevano per ciascuno di noi una contabilità:
ma era una cosa inimmaginabile, con tutti i guai che avevano, che stavano
perdendo la guerra, di qua di la, i morti i disastri, i bombardamenti,
e quelli pensavano a tenere una contabilità. Ho saputo in seguito,
che a noi spettavano 30 marchi al giorno: come loro adesso dicono che
eravamo prigionieri di guerra no: eravamo Internati Militari Italiani;
si sono rimangiati … eh, hanno ricambiato le carte in tavola come … Si
vede che hanno perso il pelo ma non il vizio, comunque, come Internati
Militari ci spettava una retribuzione giornaliera di 30 marchi e da questi
30 marchi, defalcavano vitto e alloggio: sì! In misura adeguata
a quello che ci offrivano logicamente, e quella roba che dovemmo prelevare
dietro loro invito, se la conteggiavano! Se la scalarono sui nostri conti
particolari. Insomma: non avevano nient’altro da pensare evidentemente;
beh va bene comunque, andò in questa maniera che ci rimisero dentro
dei vagoni, carri chiusi, in cinquanta per ogni vagone, e lì fu
una tribolazione indescrivibile perché eravamo chiusi: aprivano
una volta al giorno, ci facevano scendere per farci sgranchire un po’
le gambe perché dentro al vagone, di notte, bisognava fare a turno
per stendere le gambe; perché non si trovava modo di allungare
le gambe e allora avevamo escogitato un sistema e cioè quello di
mettersi a raggiera, con tutti i piedi al centro e le teste in giro, ma
poi che cosa succedeva: che con tutti questi piedi relativi a scarpe,
o scarponi o stivali uno sopra l’altro così, non si poteva resistere
più di 10 minuti più d’un quarto d’ora e poi si incominciava
tira qua tira la tira tutto uno scombussolamento, andava a finire che
nessuno dormiva, e allora ci dovevamo accontentare di metterci seduti
con la schiena appoggiata alla parete del carro, e anche lì a turno
perché non c’era posto per tutti, e … lì abbiamo affrontato
il viaggio in quelle condizioni: C’era il solito bidone in mezzo al tavolo
per bisogni e logicamente diventava uno strazio per molti perché
psicologicamente c’erano alcuni che non riuscivano a fare i loro bisogni
in presenza della gente lì vicino insomma, penso che sia una cosa
più che naturale; insomma succede anche non in quelle circostanze,
anche in altre circostanze molto più, molto meno gravi e comunque
le cose andavano in questa maniera.
Siamo arrivati dopo un viaggio disastroso, tra le altre cose facemmo una
sosta alla stazione di Berlino, sottostammo un bombardamento, per fortuna
io sono ancora qui, le bombe non son cadute sopra al treno, comunque bombardarono
la stazione, ci salvammo perché le bombe ci hanno evitato; ma comunque
ci potevano anche prendere in pieno perché le bombe cadevano lì
vicino; poi dopo lì stemmo fermi tutta la notte alla mattina poi
continuammo il viaggio finchè arrivammo nuovamente lì nella
zona di Westfalia.
Nella zona di Westfalia, fummo accolti in un campo dove evidentemente
c’era gente che non la pensava come quel capitano che ci scortò
in Polonia; perché i soldati armati, con i cani, continuavano a
urlare ordini: [finti abbaiamenti] “qua! La! Una! La! La!” che non ci
lasciavano in pace e quando vedevano qualcuno che non faceva quello che
dicevano loro, con la cassa del fucile sulla schiena, … insomma una cosa,
una cosa tremenda.
E va bene, lì entrammo nelle baracche, e furono delle baracche
che, erano state costruite per ospitare trenta persone; infatti c’era
metà della baracca, c’erano dei tavoli, delle panche, nell’altra
metà c’erano i castelli. Avevano innalzato i castelli fino al soffitto,
erano, invece di essere i soliti due posti massimo tre, erano cinque posti:
arrivavano fino al soffitto. Per cui arrivare fino a lassù in cima
nelle condizioni in cui eravamo noi era già un problema.
Ma inoltre questi castelli li avevano raggruppati, avvicinati l’uno all’altro
per cui i passaggi erano strettissimi, se passava una persona non poteva
passar l’altra, bisognava far le manovre, beh ma questo non era il peggio.
Il peggio era quello lì degli insetti, in particolar modo delle
pulci. Pidocchi ne circolavano dappertutto.
Io ho avuto una fortuna e poi ho avuto una sfortuna: la fortuna era quella
che per quanto io mi sia guardato addosso non sono mai riuscito a trovare
un pidocchio e vedevo i vicini, quelli che dormivano accanto a me, che
alla mattina tiravano via la maglia e si mettevano a caccia di questi
pidocchi, io facevo altrettanto e non vedevo niente. Evidentemente sarà
questione di sangue. Per contro con le pulci, non son riuscito a salvarmi.
Quando incominciò a far caldo verso aprile maggio, le baracche
furono invase da queste pulci: ma parliamo di miliardi, così, senza
pensare di esagerare; proprio miliardi: le trovavamo dappertutto. E, lì
dall’infermeria distribuirono una polverina a base di aglio, con un odore
pestilenziale, insopportabile; tra l’altro io già da giovane, già
da quando avevo diciotto anni, soffrivo di ulcera allo stomaco; e chi
ha sofferto di ulcera sa benissimo che gli odori forti, specialmente quelli
cattivi, sono insopportabili; fanno aumentare i dolori in maniera lancinante:
proprio non si sopportano io per esempio non sopportavo a parte quell’odore
lì: ma l’odore di acetone, l’odore di vernici, l’odore di letame,
io dovevo scappare di fronte a quegli odori lì!
Ora che cosa succedeva che mentre tutti alla sera ci mettevamo nei nostri
posti, ci cospargevano con questa polverina per non essere punti dalle
pulci. Io non lo volevo fare perché se mi mettevo quella roba addosso
io svenivo dall’odore e dai dolori allo stomaco; e allora passavo la notte
dando la caccia alle pulci. Insieme a me c’era un collega, un carissimo
amico che purtroppo è morto.
Alla mattina facevamo il conto le mettevamo tutti in fila, chi ne aveva
prese di più tanto così per fare un qualche cosa; va bè.
Anche lì, in quel campo, logicamente il mangiare era quello che
era, ……
Qui siamo a Oberlangen ?
No … no lì era un altro campo: deve essere stato
il campo di Meppen o roba di questo genere. Anche lì dopo 10-15
giorni ci trasferirono al campo di Oberlangen; anche lì, penso
che sia stato il campo dove c’erano le SS quindi, era una cosa tremenda,
non si poteva fare niente, non ci si poteva avvicinare alle reti che circondavano
il campo, c’erano le torrette con su le mitragliatrici piazzate …
Chi c’era nel campo di Oberlangen oltre a voi?
Beh … erano tutti ufficiali: ufficiali di qualsiasi provenienza
di tutte le armi, c’erano della marina, dell’aviazione … tutti italiani
comunque. Anche lì c’erano degli stranieri, russi, polacchi, ma
alcuni di noi anche quelli adibiti ai servizi.
Continuavano ancora le offerte di adesione?
Sì, sempre sempre in continuazione: due volte
al giorno c’era la conta al mattino e la conta alla sera, ed era sempre
la stessa musica.
Le richieste di lavoro?
Sì, le richieste erano quelle lì: o di
collaborare come lavoratore, o collaborare militarmente aderendo all’esercito
tedesco o all’esercito italiano della Repubblica sociale. Era sempre …
Ma poi agivano con diverse maniere; tra l’altro ad esempio, agivano sul
mangiare; le razioni ogni giorno diminuivano: ci prendevano anche per
fame oltre che per il freddo; perché, come dico ci tenevano appositamente
delle ore fuori, al freddo, in una maniera insopportabile. Comunque le
cose andavano in questo modo; poi c’erano tante altre cose: lì
i soldati avevano i cani, quando passavano gli aerei che oramai era diventata
una cosa, che giorno e notte passavano sempre; c’era l’ordine che come
si sentiva l’allarme perché suonava l’allarme, dovevamo subito
sparire nelle baracche; di notte e di sera, chiudere le finestre e spegnere
le luci, non si potevano accendere le luci eccetera. Chi tardava un momento
gli scaraventavano dietro i cani; lasciavano libero il cane per farci
entrare anche quando non era poi tanto necessario. A parte il fatto poi
che gli aerei passavano e andavano a bombardare le città della
Ruhr, della Renania, della Colonia, Dusseldorf, Dortmund, non è
che non sono lì a bombardare le baracche dei prigionieri … Non
lo so… Comunque loro guai! Come suonava l’allarme bisognava sparire nella
baracca, altrimenti c’era da fare i conti… Essere assaliti dai cani, o
addirittura da loro con le cascate sulla schiena del fucile; insomma era
una cosa insopportabile; però era così!
Verso i primi di giugno, nel frattempo c’era stato quell’accordo tra Hitler
e Mussolini di trasformare gli Internati Militari Italiani, soldati e
sottufficiali, in lavoratori civili; così per legge, senza sentire
se erano d’accordo o non d’accordo; la legge era stata stabilita in questa
maniera. Naturalmente anche chi non era d’accordo li hanno costretti perché
han detto: “Da domani siete liberi, siete dei civili, come civili dovete
lavorare, perché se non lavorate non prendete la paga e non prendete
le carte annonarie. Quindi: se volete mangiare, volete andare a comprare
qualche cosa, (quello che permetteva il mercato che era alquanto magro
e scarso) e avere i soldi per comprarlo, dovete accettare questa condizione;
dovete andare a lavorare, prendere le carte annonarie, firmare un documento”
che loro chiamavano il “pass”, una specie di passaporto o che, come documento
personale, e quindi le condizioni erano queste. Questa cosa non l’hanno
potuta fare con gli ufficiali: gli ufficiali l’accordo non lo prevedeva
e allora hanno continuato a chiedere: Volevamo lavorare, o volevamo optare
per la Germania o la Repubblica o che … continuando oramai non c’era più
nessuno che, giunto a quel punto lì, se c’era stato qualcuno in
precedenza, qualcuno oramai… Non c’era più nessuno che fosse d’accordo;
eravamo tutti… Quello che dice qui il Sommaruga: questo no ripetuto per
due anni! Se nonché arrivarono a una determinazione cioè
dissero: “Voi non volete collaborare, noi vi facciamo collaborare per
forza perché vi prendiamo a lavorare di prepotenza”.
Dopo la civilizzazione, dopo il passaggio a civili,
vi hanno chiesto se volevate optare o passare a lavoratori, avete detto
di no e allora…
A seguito del nostro rifiuto, hanno deciso di agire diversamente;
e cioè: di prendere a scaglioni o singolarmente, o a gruppi, gruppetti
eccetera e mandarli a lavorare così in maniera coatta: cioè
contro la nostra volontà.
Vorrei fare un inciso, tornare un po’ indietro per un fatto…Siccome che…
Mi avete detto che forse può servire quando andate nelle scuole,
e forse ai bambini interessano più certi particolari che non tutta
la storia vera diciamo… Volevo raccontare quando eravamo in Polonia, ci
davano da mangiare appunto quella minestra, quella zuppa con le patate
non sbucciate piene di fango e con le patate crude, siccome nel frattempo
incominciarono ad arrivare i primi pacchi, e con i primi pacchi, molti
di noi, cioè io no, ma degli altri… E incominciarono a mangiare
un po’ di roba che era una cosa da non confrontare con quello che ci davano
loro, roba mangiabile diciamo, e allora son tornati a quello che è
successo quando entrammo nel primo campo: cioè che non ci piaceva
il sapore del fango: e allora questi che erano piuttosto sazi per aver
mangiato pane secco, castagne o quello che arrivava da casa, non ce la
facevano più a mangiare la minestra che sapeva di fango, o patate
marce o che, e incominciarono a ribellarsi: “ma allora perché dobbiamo
mangiare questa roba qui, dobbiamo far sbucciare le patate, andiamo tutti
in cucina, le sbucciamo, le dobbiamo mangiare noi, ma dobbiamo mangiare
una minestra pulita e non con patate marce, congelate, piene di fango”.
D’altra parte c’era la maggioranza che invece i pacchi non li riceveva:
tutti i meridionali, (io per esempio ne ho ricevuto uno perché
avevo uno zio in Piemonte) non ricevevano niente, e avevano la fame che
avevano prima, e con la fame che avevi, giravano sì, non si sentiva
più il sapore di fango o di patate marce, non si sentiva più
niente. Si cercava solo di mettere dentro la pancia qualche cosa, e ci
opponevamo a questo fatto di volere sbucciare le patate. Cosicché
dovemmo fare una specie di referendum, e facemmo un referendum e siccome
quelli che non avevano i pacchi erano in maggioranza, continuammo a mangiare
le patate col fango e con le bucce, perché nella minestra, di patate
di quelle buone non si vedeva niente che si scioglieva nell’acqua, ma
le bucce rimanevano, però mangiavamo le bucce!. Questo, per inciso
perché è un fatto … ecco.
Un’altra cosa già che sei qui, un fatto personale ma non è
che l’abbia fatto solo io, l’han fatto anche tanti altri … Alcuni pacchi,
contenevano pane secco, ma forse per aver preso un po’ di umidità
aveva fatto la muffa, chi lo riceveva, cercava di mangiare il pane dalla
parte buona scartando la parte ammuffita ecc.; invece di dire, lì
dove eravamo “chi vuole mangiare il pane ammuffito”, non sentendosela
di fare un’offerta del genere, prendevano questi rimasugli, questi ritagli,
e l’andavano a buttare nelle latrine, fuori dalle latrine, li buttavano
li. Ebbene io sono stato uno di quelli che è andato a racimolare
pezzetti di pane ammuffito in prossimità delle latrine!
Racconto l’ultimo fatto e poi continuiamo con le cose serie, giusto così:
queste sono quasi barzellette; io stesso stento a crederci ma avendo avuto
la conferma dai libri e dai colleghi che dicono le stesse cose, mi sono
dovuto convincere, non me lo sono sognato, effettivamente è stato
così.! Lì c’era un gran mercato con i soldati tedeschi:
anelli, catenine, orologi, qualche capo di vestiario ancora in buona condizione,
in cambio di pane. Io ero rimasto senza niente, avevo solamente un orologio;
ma l’orologio a un certo momento ho detto “che me ne faccio? Tanto qui
non è che devo prendere i treni o che, l’orologio il tempo passa
così come passa, l’orologio non mi serve!” E decisi di cambiarlo
con un po’ di pane e mi accordai con un soldato tedesco di quelli che
giravano intorno, mi disse: “Sì va bene” e ci accordammo per una
pagnotta di pane; l’orologio per una pagnotta di pane!. “Ma io, non lo
posso mangiare l’orologio, la pagnotta sì!” E feci questo cambio.
Senonchè era quel pane, che non era pane: ma forse, con quelli
lì ci si poteva costruire delle case, fare dei muri, … così
ma … in quanto a mangiare era proprio un mattone di quelli fatti con un
miscuglio di segala, crusca, melassa, non so come facevano a fare questo
pane, proprio era duro come un mattone; comunque, era meglio di niente!
Feci questo cambio: lì per lì venuto in possesso di questa
pagnotta di pane, lo tagliai in tanti pezzi perché lo dovevo “Ne
devo mangiare uno al giorno”, tirare avanti il più possibile! Finito
il primo pezzo, era come se non avessi mangiato niente tanta era la fame
arretrata! Ma è meglio che ne mangio un altro pezzo va, perché
se no è inutile; se devo continuare a sentir la fame, vender l’orologio
non è servito a niente!”.
Un pezzo un pezzo un pezzo, un pezzo tira l’altro… A un certo momento
ebbi la brutta idea, dico: “Bene per rendere il pane un po’ più
saporito ci misi un po’ di sale”; mangiai il pane col sale, me lo mangiai
tutto; una cosa incredibile: una pagnotta di pane avrà pesato due
com’era, o più d’un chilo! Non so … nel giro di un pomeriggio e
alla sera, l’ho mangiato tutto! Per giunta ci misi il sale e dopo di che
mi venne una sete terribile! E allora, mi attaccai alla fontanella dove
c’era l’acqua e continuavo a bere a bere e a bere, alla notte ebbi una
colica, credevo: “questa volta, è la volta buona che me ne vado
e non se ne parli più! Credevo proprio di scoppiare!” M’ero gonfiato
tutto, perché quella roba lì, s’era gonfiata con tutta l’acqua
che avevo bevuto, perché avevo dovuto bere perché c’avevo
messo il sale, brutta idea ma ce l’avevo messo!
Com’è stato come non è stato, son riuscito a smaltirlo,
e passati i dolori mi son sgonfiato e arrivederci. Comunque, contro il
valore di un orologio ho fatto fuori in una sera per poi star male, stavo
peggio con i dolori che non con la fame! Beh insomma: sono cose che capitavano
a tutti! Poi i fatti incresciosi che succedevano: c’era chi aveva tanta
volontà da riuscire a mettere da parte di quel poco pane che si
riusciva ad avere a mezzogiorno, lo mettevano da parte un po’ per la sera
e addirittura un po’ per la mattina dopo per colazione. Se nonchè
accadeva che qualcuno se ne accorgeva, e c’erano dei furti. Gente che
andava a rubare il pane di chi l’aveva messo via per mangiarlo alla sera,
con delle conseguenze indescrivibili!: delle liti, baruffe, pugni, calci,
invettive di tutti i colori; questo tra ufficiali. Sarebbero dovuti essere
delle persone perlomeno un tantino, non dico tanto ma almeno un po’, un
tantino al di sopra del… Non so di chi, dei barboni o degli o degli scaricatori
di porto!, senza offendere nessuna categoria. Comunque succedeva anche
questo! Ma poi come dico ne succedevano tante che starne a parlare si
farebbe notte ed è gia fatto, si farebbe giorno! Va bene.
Allora torniamo lì a quel campo lì, dove c’erano le pulci,
e ci trasferirono, ci trasferirono a Oberlangen che era appunto il campo
di punizione perché oramai avevano capito che più nessuno
di quelli lì oramai avrebbe aderito alla Repubblica sociale o che
…
In quanti venite trasferiti a Oberlangen ?
Ma, a Oberlangen eravamo in tanti, perché le baracche
erano tante e fitte! Eravamo in trecento dentro a ogni baracca; baracche
da trenta persone eravamo in trecento, quindi, pieni zeppi così
…
E lì come dico, la vita era pressoché impossibile sotto
tutti gli aspetti fino al mangiare. La faccenda della salute era quella
che era: se uno si sentiva male, doveva solo aspettare di morire, perché
cure non ce n’erano, medicinali meno che meno. L’unica cosa che ci sollevava
un po’, era il fatto che tra noi c’era della gente che si dava da fare
per tirar su il morale, per non abbattersi, per … si dava veramente da
fare a sostegno di tutti gli altri: dei depressi, di quelli che stavano
male ecc. Devo dire che tra l’altro io sono stato, adesso non mi ricordo
bene in quale campo, ma son stato in un campo dove c’era Guareschi. Insieme
a lui c’erano altri che alla sera davano lezioni in parecchie materie,
davano lezioni di parecchie materie: di storia, lezioni di italiano, eccetera.
Tanto così per passare il tempo. Per il resto poi si passava il
tempo stando distesi nella branda perché forza non ne avevamo più!
Io mi ricordo in particolare, nei campi lì, non so com’era, come
fu che lì sul prato fuori dalla baracca c’era un pallone, pallone
di quelli leggeri tra l’altro, io lo vidi e così istintivamente
andai là per dare un calcio a quel pallone, ma ero talmente debole,
talmente squilibrato che il pallone è rimasto lì e io son
finito in terra a faccia avanti perché… Era un pallone non era
una pietra no … non riuscivo neanche a muovere il pallone e mi son trovato
in terra in quella maniera. Va bè … Va bene.
Le condizioni erano quelle lì, che peggiorarono appunto nel campo
di Oberlangen, per il fatto che erano decisi a portarci al punto che erano
decisi a portarci al punto di dover accettare qualunque loro decisione.
E la loro decisione era quella di smistarci in vari posti dalla Germania
a lavorare o a fare …: “andate a lavorare, se non lavorate vi diamo delle
legnate, non vi diamo da mangiare…”, per cui insomma, il lavoro coatto,
ecco.
Allora, siccome, dalle voci, dalle voci passarono poi ai fatti, incominciammo
proprio a vedere la gente che partiva. E allora, io, non mi ricordo bene
il perché e comunque, allora pensavo che partire insieme a tanti
altri, sarebbe stata una condizione sfavorevole diciamo … rispetto al
fatto di riuscire a partire da solo. Perché dico: “se parto da
solo che cosa mi fanno? Sto qui m’ammazzano ma più di tanto non
possono fare, però forse se sono solo posso gestire la cosa a mio
modo” allora chiesi di poter parlare con il comandante del campo; e lì
c’era sempre l’interprete, erano tutti altoatesini bolzanini, lì
chiamavamo noi; e non erano ben visti perché erano tutti dalla
parte dei tedeschi, chissà perché volevano fare l’interprete
anche da parte nostra! No, erano tutti dalla parte dei tedeschi o forse
per rimediare un po’: per una vita più tranquilla … non lo so …
va bene! Comunque tramite l’interprete, dico: “sì … visto che tanto
dobbiamo andare a lavorare per forza, farci mandare di qua,… farci mandare
di là …”, dico: “io, desidererei essere mandato in un posto, scegliete
voi dove, ma da solo; se sapete che qui da qualche parte c’è bisogno
di qualcuno isolato, mandatemi lì e poi dopo vedrò”; e fui
accontentato e da lì mi mandarono a Wueppertal, Wueppertalbarmen
(?) E avrei dovuto lavorare in una industria di apparecchiature per l’industria
chimica: erano delle grosse caldaie, cose enormi: industria metallurgica.
Quando arrivai lì, mi dissero subito: “e allora deve andare a lavorare
là dentro”; come entrai là dentro, sembrava un inferno:
facevano le giunture di queste caldaie con quei martelli pneumatici; con
i bulloni arroventati, che poi li ripartivano con una specie di pneumatico.
Quindi, figuriamoci il fracasso che c’era là dentro con queste
caldaie, questi recipienti che rimbombavano! Iinsomma una cosa da impazzire!
Io son rimasto lì pochi minuti poi dico: “beh, tanto!” Io dico:
“Oramai è un’anno e mezzo che dico che non voglio lavorare e questi
pretendono che io lavori qui … ma qui son tutti matti!”
Uscii da lì e andai a parlare con il padrone, il quale padrone,
aveva la casa lì dentro il recinto dello stabilimento. Però
andargli a dire… dico: “Io non sono un lavoratore volontario anzi io mi
sono sempre opposto quindi, desidero continuare a non lavorare: tanto
più là dentro, là dentro non ci resisto, così
ho deciso non ci sto e non ci vado”.
Ebbi la fortuna di trovare una persona abbastanza … tant’è che
mi disse: “se vuoi io c’ho qui il distintivo nazista ma io sono contro”,
io dico: “beh meno male”, …
E qui questo qui mi disse: “beh va bè … va bene”; allora invece
di andare a lavorare lì, andrò secondo gli ordini a lavorare
all’ufficio tecnico come disegnatore.
Dico: “Ma guardi che io non lavoro … non posso lavorare perchè
oramai io ho deciso, io non posso collaborare, non lavoro per la Germania.
Quindi qualunque cosa mi fa fare io non la faccio o la faccio malamente
quindi”. “Va bene” dice: “faccia quello che vuole”. Poi ebbi anche un’altra
fortuna che era il segretario di questo signore, era una brava persona,
perché lì, la condizione era sempre quella lì: che
se io non lavoravo, secondo gli ordini, io non dovevo neanche mangiare
perché io non avevo aderito a nessuna cosa, non avevo un documento;
dovevo star dentro ed ero sorvegliato da un sottufficiale della Wehrmacht;
perché veniva giornalmente a trovarmi e a vedere se ero lì,
perché io ero considerato sempre Internato Militare. Loro dicono
adesso prigioniero di guerra: non è vero perché noi quelle
condizioni di degenero che riguardavano i prigionieri di guerra, non ne
avevamo mai sentito parlare, non abbiamo ricevuto mai niente e nessuno,
non abbiamo mai visto nessun rappresentante della Croce Rossa; quindi
non è vero che noi eravamo prigionieri di guerra e se i tedeschi
oggi lo affermano, affermano il falso.
Affermano il falso perché non vogliono sborsare i quattrini, e
va bè. Sarà una giustificazione ma è così!
Però farebbero meglio a dire, farebbero meglio a dire “non abbiamo
i soldi; a sessant’anni di distanza ringraziate ancora che siete in vita!
Che cosa volete? Volete indennizzi?”
“Non vi diamo niente!” ditecelo!!
D’altra parte, fino quando non è saltata fuori la cosa nessuno
di noi ha cercato qualche cosa, anzi nessuno ha cercato niente! Quindi:
l’han tirata fuori per far che cosa! Per farci diventar matti? C’han fatto
mettere lì pile di carte scritte! Scritte tramite raccomandata,
lettera, tra raccomandata e lettera, tra una cosa e l’altra chissà
quante ne ho scritte, ma … poi hai detto tutto per niente; va bè,
pazienza.
Allora, come dico, questo padrone della fabbrica mi disse: “visto che
lei è ufficiale dell’esercito, eccetera perché, insomma,
c’avevo ancora qualcosa d’ufficiale: c’avevo i pantaloni, gli stivali
tutti senza fondo perché continuavo a mettere dei pezzi di cartone
dentro, avevo la giacca con i gradi, le stellette, e la bustina; non avevo
niente altro. Dissi: “mi farebbe un gran favore se tenesse d’occhio gli
italiani e tutti gli altri stranieri” che erano lì in un campo,
che erano tutti lavoratori della fabbrica, e che poi alla sera si ritiravano;
facevano anche i turni ma quando non lavoravano stavano dentro la baracca,
lì mangiavano, gli portavano da mangiare, e siccome c’erano gli
italiani, c’erano i francesi, olandesi, croati, polacchi e non so quanti
altri: erano di diverse nazionalità insomma. Gli italiani erano
ventuno o ventidue. Erano quasi tutti, forse tutti calabresi o siciliani:
molti sottufficiali di marina mi ricordo. Specialmente i siciliani: tutti
di Catania: delle brave persone, che poi tra l’altro mi hanno reso la
vita abbastanza agevole perché sapevano che io il mangiare, dovevo
rimediare in qualche maniera. Allora parte del loro mangiare me lo davano
loro! Altrimenti io, mangiare, va bè … comunque, tirammo avanti
in questa maniera se non che, lì nell’interno di questa fabbrica,
di questo campo diciamo, c’era un commissario politico nazista, e come
tutti i commissari politici, era un diavolo: una personaccia. Perché
a parte il fatto dell’ideale, del fatto di essere nazista, ma era proprio
cattivo d’animo.
Parlavo prima di gente buona e gente cattiva: ho trovato gente buona ma
ho anche trovato gente proprio da ammazzare … perché non sono degne
di vivere.
E’ arrivato questo qui a cacciarmi via dal rifugio, una notte che m’ha
trovato lì, c’era un bombardamento in atto. Disse: “ah! Raus!”
Raus!“ perchè io, lui sapeva che non volevo collaborare, che non
volevo lavorare, … “questo è per gli operai … tu via fuori!” m’ha
cacciato fuori dal rifugio sotto i bombardamenti, io, non è che
mi fossi impressionato più di tanto perché tanto se arrivavano
quelle bombe, delle “Luftminen” da quattromila chili, se arrivava una
bomba di quelle lì sul rifugio, rimanevano tutti là dentro.
Allora io di questo fatto ne parlai il giorno dopo e ne parlai con quel
sottufficiale, che era il mio guardiano, e gli dissi: “Sai è successo
così…” Non so come li chiamavano, “Dagfurer” (?) non so, c’è
l’allarme, c’è il bombardamento e non vuole che io vada al rifugio,
“ io dico dove vado? Aspetto quelle bombe che m’arrivano sulla testa!
“Vai”! dice, “Cercherò di parlarci io, ma nessuno poi c’ha parlato,
quello lì, duro!… Niente da fare! Allora chiesi io: “Senta quando
c’è l’allarme dica ai guardiani che mi lascino uscire, che io vado
in campagna, sto fuori fin che dura l’allarme e poi rientro”. “No, … ma
in campagna non si può, perché, poi lei scappa!” Ma dove
scappo! Cosa faccio? Faccio la strada a piedi per tornare in Italia? Va
bè che c’erano le ferrovie tutte distrutte, non c’era … Dico: “No
stia tranquillo che non scappo, solamente che non mi va di stare dentro
qui c’è la fabbrica, bombardano la fabbrica, io sto qua così
ad aspettare la bomba! Beh insomma! Ma io, le do la mia parola d’onore
che, torno indietro, finito l’allarme, torno indietro”.
E questo acconsentì. Andò a parlarne ai guardiani, e disse:
“sentite quando c’è l’allarme lasciatelo uscire che poi rientra;
se non dovesse rientrare mi telefonate che lo faccio ricercare e …” Insomma
… una precauzione.
E in questa maniera io riuscii a tirare avanti un po’ meglio. Nel senso
che, andavo per le campagne e lì c’era una gran produzione di patate.
Le patate, i contadini le raccoglievano, così, con mezzi meccanici
… non so come fanno, non andavano a raccoglierne una per una. Per cui
molte ne rimanevano lì sul terreno. Quando pioveva queste patate
si lavavano, e da lontano si vedevano tutte queste patate lì sul
terreno. Dico: “Ma noi siamo gli unici che moriamo di fame e qui c’è
tutto un ben di Dio, a perder tempo!”
Poi riuscii a parlare col padrone, gli chiesi: “Ma io posso prendere un
po’ di patate se lei non le raccoglie?” “Si, si, lei può prenderle
tutte, tanto noi non le raccogliamo più e quelle sono quelle che
son rimaste”.
Allora io ogni volta che c’era l’allarme uscivo, portavo il sacchetto,
e poi due sacchetti di patate, li portavo indietro, poi li davo agli altri
amici italiani, ad altri olandesi … quello che era, poi lì si cucinavano
e si mangiava tutti insieme.
Una volta, è successo che io, rientrando con questo sacchetto di
patate, incrociai quel signore lì: era il comandante politico della
fabbrica. Alcuni hanno un nome particolare non mi ricordo adesso.
Comunque: mi ha preso le patate, me le ha requisite e mi ha denunciato.
Mi ha denunciato per il fatto che io ero andato a rubare le patate, che
ero uscito dal campo senza permesso, poi ci hanno aggiunto una serie di
cose. Allora io, quando venne quel sott’ufficiale gli raccontai il fatto.
E lui disse: “Ma guardi, non si preoccupi … adesso ci penso io, per il
permesso glie l’ho dato io, lei è rientrato sempre regolarmente
quindi non hanno niente da dire! Lui piuttosto l’ha cacciato via dal rifugio,
dovrà rispondere il perché l’ha cacciato via dal rifugio.
Per quanto le patate, ci sarà la testimonianza di quel contadino
che ha avuto l’autorizzazione a prenderle fra quelle abbandonate”.
Subito mi chiamarono, c’erano lì una specie di tribunale militare,
c’erano gli ufficiali tedeschi, presero una specie di interrogatorio,
eccetera, c’era quel sottufficiale mio guardiano, c’era quell’altro per
l’accusa, per avermi visto rientrare con le patate, e avevano anche fatto
arrivare quel contadino a testimoniare che io gliel’avevo chiesto di prendere
le patate. E in questa maniera, mi salvai. Nel senso che diedero torto
a quello lì, che tutto era in regola, che io non ero perseguibile.
M’han lasciato libero di tornare là dentro, e continuare a fare
quello che facevo prima.
Un bel giorno mi mandarono a chiamare al comando militare: arrivo lì,
e c’erano lì un paio di ufficiali tedeschi, c’era l’interprete
e incominciarono a dire: “Sappiamo che lei non vuole collaborare, non
vuole lavorare”, … “Certo, dico ma non è una novità! Ormai
è un anno e mezzo che ci perseguitate con questa prova quando noi
continuavamo a dire: No! No! No! Io ebbi una decisione a vostro favore
o contro non ve l’ha posso dire, la prendo se voi mi portate in Italia,
nell’Italia del nord. Non occorre che voi mi portiate al di là
dell’Italia occupata, portatemi in Italia … in Italia del nord, mi lasciate
libero e io da persona libera deciderò: se andare con la Repubblica
sociale, venire con voi, collaborare con voi, quello lo vedremo dopo;
ma qui io continuo a dire che non lavoro, non opto né per la Germania,
non opto per la Repubblica sociale. Fate quello che volete, ma io non…”
A un certo punto è successo un fatto indescrivibile, una cosa quasi
da sogno, è quello che io molte volte ne dubito, questo ufficiale
ha tirato fuori la pistola., dice: “O lei aderisce o altrimenti io sparo”.
“No, lei spari perché tanto io non ho mai pensato di tornare vivo
in Italia, in un modo o nell’altro, tra bombardamento e quello che succede...
Spari pure! Però guardi che dopo che avrà ammazzato me dovrà
ammazzare anche i testimoni, perché questi testimoni diranno che
lei mi ha ammazzato senza nessun motivo, solamente per una questione ideologica”.
Ha messo via la pistola. “Raus! Raus!” E mi ha mandato via.
Un altro fatto che è stato molto importante ma, come dico rientra
in quelle cose, in quelle cose quasi leggendarie. Insomma io le racconto
perché effettivamente son successe però, a un certo momento
quasi quasi stento a crederci anch’io.
Quando gli alleati varcarono il Reno, formarono una testa di ponte, che
da sud, mi pare all’altezza di Colonia, a nord all’altezza di non ricordo
quale città, di Bonn forse … o una o l’altra, insomma varcarono
il Reno, fecero una grande sacca, si ricongiunsero le forze alleate a
Kassel che si trova dal Reno almeno a settanta –ottanta chilometri forse
anche più; forse anche cento chilometri; proprio una sacca enorme,
e presero un mucchio di tedeschi dentro, circondati. E poi incominciarono
a premere a premere, a premere, e a premere, finchè tutti questi
tedeschi, quelli che erano rimasti, che non erano morti o che non si erano
arresi o che erano fatti prigionieri, si raggrupparono tutti a Wueppertal,
dov’ero io, e dove erano anche gli altri logicamente. E lì per
tre giorni ci fu un bombardamento, un cannoneggiamento con i carri armati:
sparavano con le artiglierie, perché tutti questi tedeschi si erano
concentrati lì a Wueppertal.
Noi, non ci rimase altro da fare che andare negli scantinati e rimanere
lì a sorbire questi bombardamenti, questi cannoneggiamenti senza
poter uscire perché era estremamente pericoloso uscire.
Finchè il lunedì 16 aprile, alle ore sei del mattino, improvvisamente
cessarono tutti i cannoneggiamenti, le bombe, cessò tutto; silenzio
assoluto. Allora, ci guardammo in faccia e ci dicemmo: “Ma cosa è
successo? Qui è successo qualcosa di grosso! perché così
all’improvviso ha smesso …” E mettemmo fuori la testa per vedere cosa
era successo, cosa era successo. Che di lì i tedeschi s’erano arresi.
Allora abbiamo assistito a tutto un fuggi fuggi: le armi buttate, camion
incendiati, una cosa … quello che può accadere quando un esercito
è in disfatta, in rotta … Non potevano scappare perché erano
tutti circondati, arrivarono gli americani e fecero tutti prigionieri,
li incolonnarono e poi li portarono via eccetera.
Gli americani vennero anche da noi, o da una parte o dall’altra vennero
a parlare con noi, ci dissero: “Noi non possiamo stare dietro a voi perché
dobbiamo continuare la guerra”; perché la guerra … era poi aprile,
la guerra quando è finita poi … a maggio, a giugno … “dobbiamo
continuare la guerra: quindi voi, adesso i tedeschi non ci sono più:
voi siete liberi, avete tre giorni di carta bianca; fate quello che volete.
Avete delle vendette, dovete ammazzare qualcuno perché vi ha …?
Fate quello che volete”. Beh questo, questo l’hanno fatto solamente i
russi: i russi han fatto … si son vendicati contro qualcuno che gli aveva
angheriati o che …, si sono vendicati di brutto, noi, come soliti italiani
…, via il dente via il dolore, non c’abbiam più pensato, abbiamo
pensato a tutt’altre cose: abbiam pensato a racimolare un po’ di cibo
da mangiare perché gli americani c’han detto: “Vi dovete arrangiare
perché noi non vi possiamo assistere …”.
Mi sono dimenticato di un fatto: poco prima avevo cominciato con gli alleati
che avevano costituito questa testa di ponte. Nell’indietreggiare, le
truppe tedesche che indietreggiavano dal Reno verso l’interno, per tentare
a sfuggire quando la sacca non era ancora chiusa, di uscire da questa
sacca, portarono dietro, tutti i lavoratori italiani che erano al seguito
delle truppe tedesche, per la costruzione di trincee che erano, erano
… quello che dice Ciampi, è poco rispetto a quello che hanno patito
quella gente lì, che adesso i tedeschi non vogliono riconoscere!
Ora: noi eravamo tutti fuori dalle baracche, lungo tutta la rete, a vedere
tutto ‘sto passaggio delle truppe, di questa gente che passava che andava
verso l’interno. A un certo momento abbiamo riconosciuto un soldato, un
calabrese, che era uno dei nostri, uno del nostro Reggimento: non era
della mia batteria era d’un’altra batteria; che comunque noi conoscevamo:
eravamo stati i primi tempi insieme ecc. ecc. Questo qui, era niente di
meno che un reduce di Cefalonia: reduce di una nave sulla quale era stato
imbarcato e che poi era stata affondata dai tedeschi. Questo qui, a nuoto
non so come ha fatto, era riuscito poi a salvarsi e poi dopo da lì,
ha seguito la sorte di tutti gli altri. Quindi ha cominciato proprio ad
essere disgraziato già da allora! L’unica fortuna è quella
di non essere stato ammazzato come gli altri! Questo qui però a
seguito di queste disavventure, di questo naufragio, le paure che ha avuto
eccetera, era diventato un po’ … cioè non ci stava più tanto
con la testa! E allora nei vari trasferimenti che subimmo, poi lui per
conto suo insieme agli altri soldati eccetera, era uno che, non è
che se ne fregasse di quello che dicevano i tedeschi, ma era uno che non
riuscivi a starci dietro! Faceva delle cose strane perché la sua
testa gli diceva di …
I tedeschi: quando non sapevano né leggere né scrivere,
dicevano che era un sabotatore, che era qui che era là, campo di
punizione, campo qui, campo là, a lavorare nelle trincee ecc.ecc.,
insomma: fatto sta che vedemmo questo soldato passare, l’abbiamo riconosciuto
non so come perché era irriconoscibile: dimagrito, sporco, tutto
infangato! Tutta una cosa, una cosa indescrivibile anche perché
come dico, era mentalmente non più in condizioni di badare a se
stesso, anche se avrebbe avuto poco da badare … con quello che gli facevano
fare! E allora visto in questa maniera, andai a parlare con i guardiani
lì che erano proprio lì sulla porta, dico: “C’è un
mio amico lì che sta passando, non possiamo farlo entrare qui dentro?”
Quello lì m’ha guardato un po’ e dice: “ma …”.
Dico: “Guardi non c’è pericolo di tedeschi non ce ne sono in giro,
erano tutti civili”. “E beh” dice: “Va bene”.
L’abbiamo preso, è venuto dentro, lui c’ha ringraziato eccetera,
era tutto contento di averci ritrovati ecc. ecc. Quello che abbiamo dovuto
fare per ripulirlo un po’, sotto la doccia lì, con le spazzole,
era tutto incrostato, era anche ferito, si vede che gli devono aver dato
anche delle botte, non so … proprio una cosa paurosa! Poi è sorto
il problema del fatto che non potevamo tenerlo lì: allora, io pensai
“Al primo allarme, che tra l’altro c’era come dico tutti i giorni, tutte
le notti … c’era sempre l’allarme; con il fatto che io avevo sempre il
permesso di uscire, vedrò di fare qualche cosa”.
Girando per le campagne trovai lì un cascinale, una fattoria o
che, mi avvicinai, trovai lì un signore abbastanza anziano, c’era
lui, la moglie e due figlie due ragazze, tra l’altro due belle ragazze,
e io, in quei tempi lì, anche perché a scuola avevo fatto
due anni di tedesco ma non è che sapessi molto parlare tedesco
però insomma, riuscii a farmi capire a dire qualche parola, insomma:
qualcosa capivo … poi con la permanenza lì in mezzo, perché
si parlava tra noi in italiano, ma qualche volta coi tedeschi bisognava
sforzarsi di parlare il tedesco, insomma: riuscii poi a farmi capire.
Riuscii a dirgli: “Ma lei che lavoro fa qua?” dice: “E io faccio il contadino,
però faccio più che altro il carbonaio, taglio la legna
faccio il carbone”. “E non avrebbe bisogno di una persona che la aiuta?”
E dice: “Perché, lei vuol venire qui?” Dico: “no, io no … guardi
io no … però c’è una persona che…
Era un posto molto isolato di giorno, un bosco diciamo; che probabilmente
i tedeschi non sarebbero mai andati lì a cercarlo. Per cui dico:
“Logicamente deve rimanere qui nascosto”. Dico: “Lei se la sente? Dice:
“Ah sì oramai …”. Contro i tedeschi contro il nazismo: “Sì
oramai è già andata”.
“Sì, sì … se me lo porta qui…”.
Allora una sera di notte, durante un allarme, feci modo di aspettare il
momento di poter uscire senza essere insultato, e uscii con questo qui
e lo accompagnai da questo signore e lo lasciai lì.
Lo lasciai lì e … poi non ho saputo più niente.
Arrivati gli americani dopo la liberazione, mi venne in mente. Dico: “Chissà
che fine ha fatto quello … quel tizio là che ho accompagnato!”
E volli andare a trovarlo, a vedere se si è trovato bene, se è
ancora lì o che … e andammo; andai io e un altro amico, andai a
trovarlo.
Lo trovai lì, s’era rimesso a posto! Lì, … tutto bello euforico
… Lì il padrone, i ringraziamenti che dice che era un lavoratore,
che era uno che sapeva anche il mestiere si vede che faceva il carbonaio
lì in Calabria, o che…, tutto contento, ci invitò a pranzo,
ci fece fermare, ci fece una gran festa, tirò fuori delle bottiglie
che aveva in cantina, mangiare e bere, con l’invito di tornare lì
in cantina tutte le volte che volevamo … anche poi dopo quel fatto che
c’erano due ragazze ci mettemmo lì con la musica a ballare, insomma
facemmo una gran festa.
Ringraziai e dissi: “questo mio amico, che è stato qui con lei,
a meno che lui non voglia rimanere definitivamente qui in Germania, ma
se vuole tornare in Italia deve tornare con noi”.
Tornare con noi perché fa: “tra un po’ faranno le tradotte per
riportarci in Italia”. Quindi se sta qui nessuno lo viene a prendere e
rimane qui e se vuole venire in Italia deve venire con noi. Allora dice:
“Si beh va bene quando incominceranno con le tradotte, venite qui a prenderlo
e portatelo via che tanto oramai la guerra è finita e va bè
…” E così fu … fu che lo riportammo lì insieme a noi.
Tra l’altro nel frattempo cambiò l’occupazione: agli americani
subentrarono gli inglesi.
Gli inglesi vollero costituire dei campi separatati: italiani dai russi,
dai francesi o che; e noi eravamo in un campo di italiani, in una ex fabbrica
chimica: era una fabbrica di colori, quella roba lì. E questo venne
lì con noi. Per dire quanto disgraziato è stato quell’uomo,
cosa succede: un giorno, vengono di corsa a chiamarmi, dice: “c’è
stata una disgrazia!” Cosa è successo: è successo che uno
di quelli che stavano lì, perché lì avevamo tutte
le armi che avevamo prese dai tedeschi, eravamo tutti armati. Ma io mi
ero accontentato di riprendermi la pistola uguale a quella che avevo io
… ma altri addirittura con mitragliatrici … una cosa, … quello che è
successo in quel periodo è indescrivibile.
Comunque cosa è successo; stavano manovrando una pistola, questo
qui, uno aveva la pistola in mano, questo qui ha detto: “fammela vedere”;
l’ha presa dalla canna, quello lì c’aveva il dito sul grilletto,
ha tirato, c’era il colpo in canna e è partito il colpo. Di colpo
l’ha preso in pieno sulla pancia. Allora, mandai a chiamare, questo qui
era lì steso sul letto, tutto bianco, sembrava mezzo morto oramai,
comunque feci in modo di telefonare a un mio amico: un tenente medico,
che veniva spesso a trovarci per sentire poi se qualcuno stava poco bene,
o se aveva bisogno di qualche cosa, sapevo dov’era, avevo il numero di
telefono, gli telefonai di venire con urgenza perché era successo
questo fatto. E’ arrivato: lui aveva anche la macchina l’ha caricato in
macchina, l’ha portato all’ospedale; l’ha assistito all’intervento chirurgico,
fatto sta che l’han salvato. Gli aveva perforato l’intestino, non so quella
pallottola lì come sia successo.
Se non chè arrivò il tempo del rientro e non ho più
saputo niente: non ho più saputo se è rimasto in Germania,
se poi è rientrato o che. Io mi interessai e mi dissero che stava
meglio, che era in via di guarigione, ma stava ancora in ospedale.
Mancano ancora due minuti.
Ancora due minuti. Bene: lì siam stati dalla liberazione,
cioè dal 16 aprile del ‘45 fino alla fine d’agosto, sempre del
‘45.
In quel periodo lì ci portarono a Duesseldorf dove c’era la formazione
delle tradotte; ci imbarcarono con la tradotta, per l’Italia; ci fermarono
a Buchenwald per la disinfestazione: ci fecero fare la doccia di Ddt,
ammazzarono tutte le bestie, per poco ammazzavano pure noi. Il Ddt tra
l’altro era proibito che ormai …Comunque ci hanno ripulito in quella maniera,
poi abbiamo preso ancora il treno e ci siamo fermati a Pescantina, dove
c’era il centro di smistamento. Pescantina stava lì sopra a Verona,
lì c’era uno smistamento.
Lì ci diedero da mangiare, ci diedero mi pare 50 lire, per il resto
mi dovetti arrangiare a tornare a casa; per cui “trovate qualsiasi mezzo”:
treni, dove ci sono o non ci sono, 50 lire dovevano bastare per comprare
qualcosa da mangiare e tornare a casa; io passai per Ancona dove avevo
dei parenti.Con i treni un pezzo per volta arrivai a Ancona.
Arrivai ad Ancona suonai lì, in casa dei miei zii, c’era una mia
cugina, tra l’altro aveva un fratello anche lui prigioniero degli americani,
un ufficiale di marina, e quando questa mia cugina mi ha visto conciato
in quella maniera, dice: “Senti … stai fermo li e non entrare. Adesso
ti porto dei panni, spogliati che ti metti altri panni……”
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