La "Convenzione" di Ginevra e la realtà dei campi di prigionia
Ho sempre avuto il desiderio, mosso da genuina
curiosità documentaria, di mettere a confronto i contenuti della
"Convenzione Internazionale sul trattamento dei prigionieri di guerra"
(firmata a Ginevra il 27 Luglio 1929 e sottoscritta anche dalla
Germania, che non l'ha mai denunciata) con la realtà da me subita
e sperimentata nei lager di prigionia nazista, tra l'autunno del
1943 e l'estate del 1945.
L'armistizio dell'8 Settembre 1943 non colse impreparato il Reich
hitleriano. Con fulminea azione, da tempo predisposta con un "piano"
ineccepibile dal p.d.v. tattico/strategico, la Wehrmacht occupò
la Penisola, catturò e disarmò l'esercito regio e deportò in Germania
oltre seicentomila soldati e ufficiali italiani. Traditi dal re
e dal governo, dai comandi militari e dallo Stato Maggiore Generale,
abbandonati alla mercé dell'ex alleato, i prigionieri dovettero
subire angherie e ritorsioni, rappresaglie e vendette da parte degli
inferociti tedeschi. I quali, come è documentato in una sterminata
memorialistica, non soltanto non tennero conto della "Convenzione"
di Ginevra, ma si accanirono selvaggiamente contro gli incolpevoli
ex alleati. Così, il "trattamento", di cui si fa cenno nel documento
ginevrino, divenne e perdurò inumano, al limite della sopportazione,
in spregio ai più elementari diritti.
Gli stessi storici e ricercatori tedeschi oggi riconoscono denunciano
e condannano l'orrore di quel periodo. Tra i più autorevoli, merita
una doverosa citazione il dr. Gerhard Schreiber per il suo ponderoso
saggio "I SEICENTOMILA DEPORTA TI MILITARI ITALIANI NEI LAGER DI
PRIGIONIA NAZISTI: TRADITI DEPREZZATI DIMENTICATI, ed. Oldenbourg,
Monaco, 1990". Ma ora, senza rancori né sbavature, ecco il fedele
raffronto delle due posizioni: la cartacea e la reale, a conferma
di quanto è possibile recuperare dalla "memoria storica" e verificare
sulla testimonianza resa nel mio "Diario di prigionia", VIII Edizione,
1995. Ed. ANEI.
Come me, tutti i sopravvissuti alla prigionia nei lager tedeschi,
riscontrando gli articoli della "Convenzione", potranno verificare
la realtà della loro esperienza con le "buone intenzioni" del capitolato
ginevrino.
LINO MONCHIERI K.G. 158.353 Stalag XI B FALLINGBOSTEL
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Articolo 2
I prigionieri di guerra sono in potere della
Potenza nemica e non degli individui o dei corpi di truppa che li
hanno catturati. Essi devono essere trattati sempre con umanità
ed essere protetti specialmente dagli atti di violenza, dagli insulti
e dalla pubblica curiosità. Le misure di rappresaglie nei loro confronti
devono essere proibite.
Il Terzo Reich, fin dal momento della cattura,
delegò i soldati della Wehrmacht, inferociti per il presunto tradimento
badogliano in seguito all'armistizio con gli Alleati dell'8 Settembre
1943, ad un trattamento inumano e crudele, caricato di innegabili
contenuti razzistici. Nessun senso di umanità da parte dei militari
tedeschi. Disarmati e deportati, gli italiani del disciolto esercito
regio sono stati fatti oggetto dei più efferati atti di violenza
e di rappresaglia; citerò per tutti:
- il forzato digiuno dei primi giorni dopo la segregazione, in uno
stato di completo abbandono, per costringerci a collaborare, ad
aderire alle loro proposte di continuare la guerra al loro fianco
e sotto il loro comando contro gli alleati angloamericani;
- in presenza del nostro rifiuto, interventi brutali a colpi di
calcio di fucile per radunarci in vista della deportazione;
- colpi di arma da fuoco contro chi tentava non tanto e legittimamente
di fuggire, quanto solo di attingere acqua per calmare l'aspra sete;
- la chiusura dei portelloni dei carri/bestiame dopo averci stipati,
all'interno, in numero esorbitante, cinquanta/sessanta per carro;
- il calvario di restare senza assistenza per giorni e notti, per
l'intero tragitto, senza poter provvedere ai bisogni corporali.
Quanto agli insulti, un intero interminabile repertorio a base di
insolenze e offese; dal semplice e scontato "traditori badogliani"
a "merde" e "porci italiani", da "makaroni" a "vermi da schiacciare".
E non solo da parte dei soldati, ma anche dei civili, specie donne
e ragazzi, ovviamente sollecitati dalla stampa di regime. Alla pubblica
e umiliante curiosità fummo esposti sia all'arrivo che lungo i tragitti
per raggiungere, dalle stazioni di scalo, i campi di concentramento.
Come non definire vere e proprie "misure di rappresaglia", a causa
d'un presunto tradimento ad un'alleanza - comunque non imputabile
ai soldati, vittime e non colpevoli - il trattamento riservato in
quelle circostanze?
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Articolo 5
Ogni prigioniero di guerra è tenuto a dichiarare,
se richiesto, il suo vero nome e grado o il suo numero di matricola.
Qualora violasse questa norma si esporrebbe a una restrizione dei
vantaggi concessi ai prigionieri della sua categoria. I prigionieri
che si rifiutassero di rispondere sulla situazione del loro paese
non potranno essere né minacciati né insultati né esposti a molestie
e a svantaggi di qualsiasi specie.
Fui immatricolato, col mio vero nome e grado,
nel lager X B di Wietzendorf/Soltau, con il Nr. 158.353. Sul piastrino
stava incisa ben chiara la sigla K.G. (Kriegs Gefangen = Prigioniero
di Guerra).Come prigioniero, fui segregato in un campo di prigionia
cintato da due ordini di filo spinato, guardato a vista da sentinelle
incombenti su torrette munite di mitraglia; nonché maltrattato e
insultato dai soldati di guardia, caricati d'odio e di brutalità.
Soltanto verso la fine del mese di settembre 1943 mi fu fatta firmare
una cartolina prestampata in lingua tedesca e francese, con tredici
sole parole, dirette alla mia famiglia: "Mi trovo prigioniero dei
tedeschi in Germania. Godo buona salute e vi saluto." La cartolina
però non fu mai spedita e non giunse mai a casa. Per perfida volontà
di Hitler, un mese dopo la cattura fummo dichiarati Internati, per
sottrarci all'assistenza della C.R.I. e per costringerci alla schiavitù
del lavoro forzato. Quanto al secondo capoverso dell'articolo, chiamo
a testimoni tutti i sopravvissuti a conferma:
- delle continue minacce (e lusinghe fallaci) cui venimmo sottoposti,
perché aderissimo alla RSI e collaborassimo a fianco dei nazisti;
- degli insulti dettati dall'odio razziale e dal pregiudizio sociale
contro gli "uomini del sud" mangiatori di pastasciutta, falsi e
bugiardi;
- delle molestie innumerevoli messe in atto, per pura avversione
antiitaliana.
Durò a lungo una punzecchiatura insolente verso singoli prigionieri
cui veniva regolarmente rivolta la insidiosa domanda: "Tu sei per
Badoglio o per Mussolini?" Cessò soltanto quando imparammo a rispondere
con dignità : "lo sono italiano e basta."
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Articolo 6
Tutti gli effetti e gli oggetti di uso personale
resteranno in possesso dei prigionieri, come pure gli elmetti e
le maschere antigas. Le somme di denaro che i prigionieri portano
seco non potranno essere loro tolte che per ordine di un ufficiale
e dopo che ne sia stato constatato l'ammontare. Di esse sarà rilasciata
ricevuta. Le somme così tolte verranno portate a credito di ciascun
prigioniero. I documenti di identità, i distintivi del grado, le
decorazioni, gli oggetti di valore non potranno essere tolti ai
prigionieri per nessun motivo.
Le perquisizioni (col fine primario di far bottino
e secondario di umiliare con arrogante oppressione) si susseguirono
a ritmo incessante. Le somme di danaro furono confiscate subito
e senza indugio. Ovviamente senza contropartite né ricevute. "Verboten!"
Proibito..... vietato!
Era l'inevitabile ritornello, col quale i rapaci requisitori si
impossessavano di qualsiasi oggetto. Nel corso di tutte le perquisizioni
- che avvenivano senza preavviso, brutalmente, di notte e di giorno,
per tutto il tempo della prigionia - non ho mai visto un responsabile,
non dico un ufficiale, ma un qualsiasi sovrintendente all'odiosa
operazione.
Gli oggetti di valore furono, col denaro, i primi a prendere il
volo, ovviamente senza ricevute di confisca. Alle legittime rimostranze,
i tedeschi reagivano con feroci percosse, con insulti e decise ripulse,
umilianti quanto ingiustificate.
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Articolo 7
Lo sgombro a piedi dei prigionieri non potrà
farsi, di regola, che a tappe di venti kilometri al giorno, a meno
che la necessità di raggiungere depositi di acqua e di viveri imponga
di compiere tappe più lunghe.
Nei vari trasferimenti - dalle stazioni terminali
ai lager di prigionia - da Soltau a Wietzendorf, da Wietzendorf
ad Hannover e Fallingbostel, da Fallingbostel/Oerbke a Walsrode
Graesbeck, da Walsrode a Benzen, da Benzen a Bremerhaven/Weddewarden
i kilometri percorsi a piedi (o raramente in treno) si perdono nella
memoria, non nella documentazione del "diario". I tedeschi sfogarono
la loro fobia nel considerarci "untermenschen", sotto uomini. Per
loro, era prescrittivo non confondersi con gli italiani (o con gli
slavi; in genere con i popoli ritenuti "inferiori" alla loro razza
eletta). A onor del vero, ci furono momenti e occasioni in cui venivano
caricati sugli autocarri, per far prima a giungere nei depositi
militari dove venivano costretti al carico e allo scarico delle
granate e delle casse di munizioni necessari alla Wehrmacht ! Cose
proibite, ma tant'è. Una volta gabbata Ginevra, (per Hitler i patti
erano pezzi di carta straccia) chi mai poteva rifarsi sull'onnipotenza
nazista? Quanto ai viveri, nonostante le 10/12 ore giornaliere di
lavoro, ci veniva concesso di mangiare (!) una sola volta al giorno;
la sera, al rientro nel lager. Brodaglia di rape, un tozzo di pane
nero con scalcinato e miserabile companatico.
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Articolo 8
I prigionieri di guerra potranno essere internati
in una città, in fortezza o località qualsiasi con l'obbligo di
non allontanarsene oltre determinati limiti. Potranno anche essere
internati in campi cintati. Non potranno essere rinchiusi o consegnati
se non per misure indispensabili di sicurezza e di igiene, e soltanto
finché durino le circostanze che impongono questa misura.
Dall'autunno del 1943 all'estate del 1945 sono
sempre stato ristretto in campi di prigionia (detti Stammlager)
riservati ai soldati e ai sottufficiali. Cintati di reticolato,
guardati a vista da sentinelle annidate in alto su torrette munite
di mitragliatrici. Per quel che mi riguarda, l'ordine cronologico
e la durata sono i seguenti:
- lager X B di Wietzendorf/Soltau: Settembre 1943
- lager della Hagenstrasse di Hannover: Ottobre 1943
- lager XI B di Fallingbostel/Oerbke: Novembre 1943
- lager 6025 di Walsrode/Graesbeck: Dicembre 1943 Giugno 1944
- lager 6247 di W.de/Benzen: Giugno 44 - Settembre 44
- lager di Weddewarden/Bremerhaven: Ottobre 1944 -Maggio 1945 (Flugplatz-Seefliegerhorst)
I limiti erano così ristretti che era impossibile muoverci fuori
di essi; per altro, eravamo impediti. Lungo il tragitto, andata
e ritorno, dal lager al cantiere di lavoro, e viceversa, eravamo
sempre scortati da sentinelle armate e/o dai "meister" (sorveglianti)
delle Firmen (Imprese, ditte appaltatrici) che ci avevano in custodia.
Ogni sera, al calar del sole, il lager veniva chiuso, le baracche
sprangate e le singole stuben (locali in cui erano divise le baracche),
dove eravamo ammassati, serrate a doppia mandata. La qual cosa creava
non poche difficoltà in caso di allarmi aerei (piuttosto frequenti,
del resto). Ci voleva tempo e riaprire tutto e a spingerci nei rifugi;
semplici paraschegge scavati a livello del lager, dai quali si potevano
contemplare i razzi illuminanti, le traiettorie dei proiettili traccianti,
i bengala e gli scoppi della Flak (artiglieria controaerea) e ovviamente
contare gli innumerevoli bombardieri angloamericani. Nonostante
gli scoppi delle esplosioni e i colpi sempre più ravvicinati io
ho avuto fortuna, ma non pochi prigionieri perirono sotto le bombe
alleate. Delle misure igienico-sanitarie è meglio tacere. Nel corso
dei primi quattro mesi, soltanto due disinfestazioni degne di questo
nome; e, sì e no, un paio di docce. In seguito, e fino alla liberazione,
mai visti bagni adeguati alle necessità.
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Articolo 9
I belligeranti eviteranno per quanto possibile
di riunire nello stesso campo prigionieri di razze e di nazionalità
diverse. Nessun prigioniero potrà mai essere mandato in una regione
ove sia esposto al fuochi di combattimento, né utilizzato per porre
al riparo dal bombardamento, con la sua presenza, certi punti o
certe zone.
Il contrario. I tedeschi contravvenendo manifestamente
all'articolo della "Convenzione", non solo misero insieme prigionieri
di razze diverse (i "coloniali" inglesi e francesi, a Fallingbostel;
i "colored" statunitensi a Oerbke; indiani e pakistani con europei,
ecc.), ma anche di etnie differenti, notoriamente inconciliabili
tra loro e divise da secolari abissi razziali, che causavano frequenti
scontri aperti e permanenti conflittualità. Nel mio lager di Wesermünde
Nord/Weddewarden convivevano nelle stesse baracche croati e serbi,
Slovacchia e cechi/boemi; ucraini e russi, baltici e polacchi, fiamminghi
e valloni. La seconda parte dell'articolo è stata disattesa nel
modo più delittuoso (oggi si direbbe, più comprensibilmente, criminale):
i prigionieri, di fatto, sono stati sempre tenuti in zone cosiddette
ad alto rischio, adibiti a lavori in stabilimenti di produzione
bellica o d'interesse militare, frequentemente se non incessantemente
sottoposte alle incursioni aeree angloamericane. Ricordo - l'ho
pure documentato nel mio "diario" - le fabbriche di polveri di Walsrode,
le ferrovie di Benzen, il deposito militare di Una, gli obiettivi
militari di Hannover, Bremerhaven, Wesermünde, con i prigionieri
sempre sul posto.
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Articolo 11
La razione alimentare dei prigionieri guerra
sarà equivalente, per qualità e quantità, a quella delle truppe
dei depositi. I prigionieri riceveranno inoltre i mezzi per prepararsi
da se stessi i generi supplementari dei quali disponessero. Sarà
loro fornita acqua potabile in misura sufficiente. Sarà autorizzato
l'uso del tabacco. I prigionieri potranno essere adibiti alle cucine.
Sono vietati provvedimenti disciplinari collettivi che incidano
sul vitto.
Dopo il settembre 1944, allorché il passaggio
"obbligato" a lavoratori civili ci ridusse al lavoro coatto, la
razione alimentare non migliorò. Anzi, le ruberie degli addetti
tedeschi alla nostra sorveglianza decurtarono ulteriormente le provviste.
Cucinare extra? A parte il fatto che non abbondava l'extra, una
misera stufetta, scarsamente alimentata da legnetti di recupero,
non bastava a "servire" tutte le esigenze dei troppi prigionieri
accalcati nell'angusta stube (a Walsrode Graesbeck: A.K. 6025 e
Benzen 6247). Si può anche dire che i tedeschi abusarono, ricorrendovi
spesso a torto, di punizioni collettive. A Weddewarden, per esempio,
i Lgf (Lagerführer, comandanti del campo di prigionia) Hogel e Siebmann
incrudelirono più volte contro di noi, vietandoci proprio la scarsa
razione di cibo, con pretestuosi motivi disciplinari scaturiti da
cervellotiche e arbitrarie disposizioni. Non sappiamo che cosa mangiassero
i soldati tedeschi comandati alla nostra custodia. Comunque la loro
razione non era paragonabile alla nostra. A parte i giorni terribili
della fame patita a Wietzendorf, Fallingbostel e Walsrode, la regola
era: infuso di tiglio il mattino; niente a mezzodì ; fetta di pane
nero (otto prigionieri per un filone da un kilo), gamella di brodaglia
di rape la sera, con un'unghia di companatico.
IL MENU' DEL PRIGIONIERO
Mi sembra doveroso ristabilire la verità anche relativamente alle
razioni che i tedeschi fornivano per alimentare i prigionieri dei
lager. Lo faccio, mettendo a confronto ciò che scrive il cappellano
militare collaborazionista Luigi Ancillotto e ciò che hanno documentato
e testimoniato migliaia di ex prigionieri. Sull'Italia cattolica",
del 15 Gennaio 1944, - periodico veneziano edito sotto gli auspici
del Ministero fascista della cultura popolare -col titolo "Come
sono trattati i nostri internati" Ancillotto (1) scrive: "Questo
il menù degli IMI: dai tre ai quattrocento grammi di pane al giorno;
al mattino alle sette una buona tazza di thè tedesco; al mezzogiorno
un piatto caldo (che alle volte viene anche distribuito alla sera)
costituito da una zuppa discretamente condita formata di patate,
rape, carote ed altra verdura (né manca qualche pezzo di carne);
oppure un abbondante piatto di patate condite con sugo di carne;
alla sera alle 5 pasto a secco che può essere o un pezzo di burro
o del miele o della marmellata; spesso anche alla sera un'abbondante
bevanda calda di cui i tedeschi fanno largo uso. Inoltre tre sigarette
o tre grammi di tabacco al giorno". Don Ancillotto si era premurato
di condurre un'indagine circa il gradimento incontrato dal trattamento
tedesco, ed i riscontri ottenuti gli parvero decisamente positivi:
"Interrogavo spesso i nostri soldati nei campi di concentramento
per sapere da loro come mangiavano e molto spesso mi sentivo rispondere
allegramente 'Bene! Sotto la nostra naja non abbiamo mai mangiato
così bene!'". Per esperienza diretta, posso testimoniare:
- il "buon" thè tedesco del mattino era soltanto un infuso di tiglio
distribuito alle cinque non alle sette del mattino;
- il "piatto caldo" del mezzogiorno, nella tendenziosa relazione
del cappellano, è pura invenzione: nei lager X B di Wietzendorf
e XI B di Fallingbostel, così come nei successivi Arbeits Kommando
di Walsrode, Benzen e Wesermünde, non ho mai avuto pasti del genere;
- il "rancio" della sera - alle sette, non alle cinque!- consisteva
in una diluita brodaglia di rape scondite e non di "abbondanti verdure"
con "i pezzi di carne" o appetitose patate con "sugo di carne".
Quanto alle razioni di companatico (margarina, marmellata, formaggio
tenero, carne in scatola, zucchero rosso) erano microscopiche e
venivano distribuite, non sempre con regolarità, una volta alla
settimana, ora l'una ora l'altra;
- il pane era ridotto ad una razione molto al disotto dei 2/300
gr. Otto prigionieri dovevano dividersi un filone di pane scuro
del peso di 1 kg.
- le sigarette non furono mai distribuite durante la prigionia;
soltanto durante il periodo del "lavoro coatto" da "liberi lavoratori"
le Firmen, per le quali eravamo obbligati a lavorare, ci passavano
una sigaretta al giorno (sei alla distribuzione del sabato). Non
so dove il cappellano Ancillotto abbia interpellato i "suoi" prigionieri.
Se fosse venuto nei nostri lager certo non avrebbe ricevuto le risposte
che egli ha annotato con tanto zelo. Il rozzo nazionalismo, di cui
dà saggio l'ineffabile relatore, squalifica senza appello le gratuite
menzogne sul menù e sul resto. Nel nostro animo suscitano sgomento
e pietà, soprattutto pensando al male che fecero alle nostre famiglie
che, leggendo, s'illudevano di credere i lori cari internati di
riguardo.
(1) Dal volume "II riarmo dello spirito" di M. Franzinelli, edito
da Pagus di Paese (Treviso), 1991, si desume la nota relativa al
cappellano militare Luigi Ancillotto: "Dopo l'armistizio egli fu
tra i primi cappellani ad aderire alla RSI e in Germania operò tra
i costituendi reparti fascisti, trovando il tempo per visitare alcuni
campi di prigionia. Rimpatriato nell'inverno 1943-44, dopo pochi
mesi attraversò una crisi spirituale e si defilò da incombenze di
natura politica. Venutosi alfine a trovare in zona occupata dagli
alleati, il sacerdote impiegò i due ultimi mesi di guerra come e.m.
al seguito di un reparto statunitense.
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Articolo 12
Il vestiario, la biancheria, le calzature saranno
forniti ai prigionieri dalla Potenza detentrice. I lavoratori dovranno
inoltre ricevere una tenuta da lavoro, ovunque la natura stessa
del lavoro lo richieda.
Per tutto il periodo della prigionia ho sempre
indossato la mia vecchia divisa militare che portavo al momento
della cattura. Non ho mai avuto biancheria di ricambio, anzi in
ripetute perquisizioni mi fu confiscata anche quella di riserva
che avevo nello zaino. Mai sentito parlare di tenute da lavoro.
Unica concessione extra: un paio di guanti di iuta o di tela per
maneggiare d'inverno i gelidi ferri da lavoro. Michele Palmieri,
mio compagno nel lager di W.de, (Wesermünde Nord/Weddewarden) fu
ucciso dal Lgf Hermann Siebmann (cfr "Diario" marzo 1945) proprio
perché reclamava vestiti adatti e stivali di gomma per poter operare
nel pantano. Neppure nel periodo finale della deportazione, il cosidetto
"lavoro coatto", prestato a forza come lavoratori "civili", il Reich
provvide a rifornirci di vestiti adatti o di alimentazione più robusta.
Anzi, debbo registrare che ci fu requisita la seconda coperta, col
pretesto che si dovevano fornire innanzi tutto le truppe tedesche,
impegnate sul fronte delle Ardenne, nell'estremo tentativo di sopraffare
gli Alleati angloamericani con un'offensiva disperata.
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Articolo 14
I belligeranti potranno con particolari accordi
concedersi reciprocamente la facoltà di trattenere nei campi medici
e infermieri per la cura dei loro connazionali prigionieri.
Per il primo periodo di dura prigionia - dal settembre
1943 al settembre 1944 - nei lager non funzionavano né ambulatorio
medico né infermerie per l'assistenza sanitaria. I malati o i feriti
venivano costretti, accompagnati sotto scorta armata, a lunghi percorsi
a piedi per raggiungere i posti di intervento, situati nei luoghi
più disparati; nei casi più gravi, inviati, con viaggi penosi, nei
Lager-lazarett (ospedali da campo) o nelle Revier (Infermerie) riservati
ai prigionieri di ogni nazionalità (cfr. Fallingbostel e Oerbke).
Nel mio caso, per esempio, da Hannover -dopo l'incidente in cui
rimasi ferito - fui mandato al lager XI B in una squallida infermeria
da campo dove si entrava per... non uscire più. Se si moriva, toglievamo
il disturbo, per finire nelle fosse comuni; se si sopravviveva,
il Reich ci riutilizzava, vendendoci alle Firmen affamate di braccia
per la produzione bellica.
NB. Certi medici italiani e stranieri, "trattenuti" nei vari lager-lazarett
per curarci, curavano... l'abbuffata personale e la spoliazione,
in certi casi, dei prigionieri più fortunati, ancora in possesso
di "oggetti del desiderio".
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Articolo 16
I prigionieri di guerra godranno di ampia compresa
l'assistenza alla funzioni del culto, alla sola condizione di uniformarsi
alle misure d'ordine e di polizia prescritte dall'autorità militare.
I ministri di un culto, prigionieri di guerra, qualunque sia la
denominazione del culto stesso, saranno autorizzati a esercitare
pienamente il loro ministero fra i propri correligionari.
La libertà di praticare la nostra religione era
così ampiamente assicurata che, nel primo anno di detenzione, abbiamo
visto il cappellano nel baraccamento soltanto due volte:
- nel lager - lazarett di Oerbke/Fallingbostel nel novembre 1943;
- nel lager di Walsrode, A.K. 6025 Graesbeck, per il Natale 1943.
Si trattava dello stesso cappellano, don Giuseppe Camperà di Genova.
A Walsrode, i tedeschi pretesero che dicesse messa davanti al ritratto
del Führer issato sulla parete, appena sopra l'altarino da campo.
Per tutto il resto della prigionia non si vide neppure l'ombra,
non dico di un cappellano, ma di un semplice "segno" di libertà
religiosa. Il lagerführer Hans Hogel, facendo irruzione nella mia
stube, nel lager di Weddewarden, nella primavera del 1945 fece l'atto
di scagliare fuori dalla finestra il "vangelino" che avevo sul panchetto
accanto al castello/lettiera, insultandomi con un irato: "Papist,
Du schweine!" (Porco papista). Non so che cosa ricordino in prima
persona i singoli cappellani, io posso testimoniare di non aver
mai fruito di assistenza religiosa né diretta né indiretta.
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Articolo 17
I belligeranti incoraggeranno quanto più sarà
possibile le distrazioni intellettuali e sportive organizzate dai
prigionieri di guerra.
Per personale esperienza, questa, in proposito,
la mia verifica di riscontro:
- nessuna "distrazione" di carattere ricreativo/intellettuale fu
mai concessa dai lagerführung, se si eccettuano due proiezioni cinematografiche
("Ohm Kruger" in lingua tedesca, film di propaganda antiinglese
sull'eroe della guerra sudafricana dei Boeri; e "Troublante Venise",
in lingua francese), nel refettorio dell'A.K.6025 di Walsrode/ Graesbeck;
nonché di una serata di Kameradenschaft (cameratismo) in occasione
del carnevale '45, nel lager di Weddewarden/Wesermunda Nord.
- nessuna gara sportiva fu mai organizzata all'interno dei lager.
Lo squallore e la desolazione - congiuntamente alle troppe restrizioni
dei perenni "verboten" - erano tali da non consentire evasione alcuna,
a causa dell'assoluta mancanza di condizioni per fruirne.
Gli unici fogli consentiti erano "Voce della Patria", di marca fascista,
(edito a cura dei collaborazionisti della R.S.I.) e "II Camerata",
edito direttamente a Berlino, in lingua italiana, dal Ministero
della Propaganda del Reich, distribuito nei lager per far prevalere
il p.d.v. nazista.
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Articolo 18
Ogni campo di prigionia sarà sottoposto all'autorità
di un ufficiale responsabile. I prigionieri dovranno il saluto a
tutti gli ufficiali della potenza detentrice. I prigionieri saranno
trattati con i riguardi dovuti al grado e all'età.
I lager di Wietzendorf, Hagenstrasse di Hannover,
Fallingbostel, Walsrode e Benzen che mi ospitarono erano posti alle
dipendenze del Comando di Schwarmstedt, che aveva giurisdizione
sull'intera zona contrassegnata dallo Stammlager XI B. Che ci fosse
un ufficiale responsabile è possibile; noi però non l'abbiamo mai
visto né per ispezioni, né per controlli relativi al dovuto "rispetto"
della "Convenzione". Anzi, a giudicare da come sono andate le cose,
c'è da credere che lasciasse fare, e fare il peggio. Le sue ordinanze
arrivavano come piovute dall'alto. Operava e censurava su posta
e pacchi. Emanava disposizioni e divieti. Ordinava perquisizioni
e requisizioni. Adempimenti fiscali, insomma. Mai una volta s'è
fatto vivo per ascoltare lamentazioni e denunce. Mai che abbia fatto
valere le sue responsabilità. Mai e poi mai è intervenuto per stroncare,
o almeno per limitare, gli interventi feroci e inumani dei posten
(guardie dei lager), autentici mastini posti a guardia degli sventurati
prigionieri. Cito, in particolare, a solenne condanna, finché duri
la memoria: il perfido Dauff, il cinico Herrmann, il sadico Herff,
il manesco August, il pignolo incontentabile Dawidowski. Senza contare
la malvagità persecutoria dei "meister" Becker, Mezik, "Pampur"
nonché l'incontenibile odio razziale dei lagerführer Hogel e Siebmann.
Per nominare solo coloro che si sono maggiormente distinti, nell'opprimerci
e nell'umiliarci, con percosse, insulti e offese di ogni genere.
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Articolo 23
I versamenti fatti ai prigionieri a titolo
di retribuzione dovranno essere rimborsati alla fine delle ostilità
dalla Potenza presso cui i prigionieri hanno prestato servizio.
Per tutto il lavoro prestato a favore delle varie
Imprese (Firmen) di Hannover, nell'ottobre 1943 non ho percepito
neppure uno pfennig (centesimo della moneta tedesca, il marco).
A partire dal dicembre 1943 e fino al Settembre 1944 la Firma Pössnecker
und Dietrich, gestita dall'ing. Brotz di Hannover, ci ha corrisposto
un salario mensile - documentato sui cedolini che in parte io conservo
ancora - che prevedeva una retribuzione lorda di circa dieci marchi
al giorno (10 RM); dal quale, per altro, venivano detratti i due
terzi per previdenza, assistenza, cassa mutua sanitaria, vitto e
alloggio [sic].
Alla fine della prigionia, però, non fu operata nessuna restituzione/rimborso
delle spettanze maturate, né alcun risarcimento per il servizio
prestato, neppure a titolo di buona uscita "una tantum"; né da parte
delle Firmen, né da parte dei responsabili governativi militari
e/o amministrativi (Reich e RSI).
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Articolo 24
I soldi dovranno essere versati ai singoli
prigionieri alla fine della prigionia. Durante la prigionia sarà
concesso di trasferire somme alle banche o ad individui del paese
d'origine.
Forse quest'articolo ebbe vigore e beneficio per
i prigionieri di altre nazionalità, ovviamente delle Potenze più
ricche e temibili (Anglo-americani e soldati dei Dominions). Per
noi prigionieri "abbandonati" di serie B e C (a Wesermünde Nord
nei lager di Weddewarden, dipendente dalla Flugplatz, eravamo ammassati
deportati e lavoratori coatti di ben dodici nazionalità diverse)
non ebbe vigore alcun provvedimento del genere, menzionato dall'art.
24. Chi mai poteva pensare di inviare denaro alle famiglie (che
pure ne avrebbero avuto gran bisogno!) o alle banche fiduciarie?
E' da dire inoltre che, nel corso del primo anno di prigionia, fummo
pagati in "lagergeld" ( lett. soldi da campo) cioè in buoni stampigliati,
corrispondenti a 1, 2, 5, 10, 20 Reichsmark (marco del Reich), da
spendere soltanto all'interno del campo di concentramento. Il quale,
per contro, non aveva né spacci né merci da spacciare. Venivano
favoriti così lo strozzinaggio e l'usura a favore degli speculatori
che, come corvi, assediavano i lager e insidiavano i prigionieri.
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Articolo 27
I belligeranti potranno impiegare come lavoratori
i prigionieri validi, a seconda del grado e delle attitudini, ad
eccezione degli ufficiali. I sottoufficiali potranno essere costretti
al lavoro di sorveglianza, a meno che siano loro stessi a domandare
dessere adibiti a lavori remunerativi.
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Articolo 29
Nessun prigioniero sarà obbligato a lavori
ai quali sia fisicamente inadatto.
Oh, sì! Il Reich, non solo impiegò i prigionieri
a spalar macerie, a sgomberare strade, a salvare il salvabile, a
riparare tronchi ferroviari, a riattare industrie, a ripristinare
strade e ponti, ma obbligò al lavoro coatto - senza badare né alle
attitudini né al grado - tutti i militari italiani deportati. Così,
prima da prigionieri, poi da "lavoratori civili" gli I.M.I. (Italienische
Militäre Internierten = Militari italiani internati) furono costretti
a prestare la loro opera nelle fabbriche d'armi e negli stabilimenti
(esposti ai bombardamenti aerei alleati) nonché nelle miniere, nei
cantieri, sulle strade ferrate, nei campi... il tutto, senza assistenza
alcuna, sotto il ferreo controllo di "meister" oppressivi, incattiviti
e resi perfidi dall'odio razziale nei confronti dei "makaroni" untermenschen,
inferiori per razza e stile. Anche i sottufficiali, in dispregio
al predicato ginevrino, furono obbligati al lavoro, senza beneficiare
del privilegio di fungere da assistenti. Un'eccezione è da registrare
a loro favore: una cartolina postale in più al mese, da spedire
a casa; ma la cosa funzionò soltanto dal febbraio al settembre 1944.
L'articolo suona come una solenne beffa nei confronti dei molti,
dei troppi prigionieri (studenti, impiegati, malati cronici, anziani,
furieri, territoriali, debilitati, ecc.) obbligati a lavori ai quali
non erano adatti né per ragioni fisiche né per motivi di convenienza.
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Articolo 30
La durata del lavoro giornaliero, compreso
il tragitto di andata e ritorno, non sarà eccessiva e non dovrà,
in ogni caso, superare quella ammessa per gli operai civili della
zona, adibiti allo stesso lavoro. A ogni prigioniero sarà concesso
un riposo di 24 ore consecutive ogni settimana, possibilmente la
domenica.
La durata del lavoro giornaliero dipendeva dall'avidità,
dall'arbitrio e dall'urgenza dei responsabili.... degli appalti
governativi. D'inverno, l'orario era affidato al cottimo, cioè alla
"quota" assegnata dai "quantificati" delle Firmen che esigevano
la fine entro e non oltre una certa ora. Al termine della "quota"
si tornava al lager. Poiché la quota perfidamente aumentava con
gradualità, imponendo sforzi e impegno maggiori, la durata non era
mai inferiore alle dieci ore giornaliere. La durata del lavoro d'estate
consentiva, nei lunghi pomeriggi di sole, di prestare servizio "volontario"
presso le fattorie dei dintorni, per rimediare cibo in più per placare
la grande fame. I "meister" non solo chiudevano un occhio, ma riscuotevano
"prebende" preziose per integrare la penuria familiare di rifornimenti
annonari. In cambio, i responsabili della cucina del lager, viste
le "regalie" che i contadini concedevano ai prigionieri, sottraevano,
dalle razioni assegnateci dalle Firmen, vistosi quantitativi di
viveri. La domenica, gli ineffabili aguzzini, ci vendevano ai privati
per arrotondare le entrate e lucrare congrui introiti. Sicché, il
riposo festivo concesso dalle Ditte veniva di fatto cancellato dalle
prestazioni "obbligatorie" intimate dai "meister". Nei migliori
casi (è capitato a me ) si dava una mano ai privati, per sbrigare,
lavori domestici: a Benzen io vangai, potai, concimai, spezzai legna
nell'orto del maestro del villaggio: Martin Penning.
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Articolo 31
Le prestazioni d'opera dei prigionieri non
avranno alcun rapporto con le operazioni belliche. E' strettamente
proibito adibire i prigionieri alla fabbricazione e al trasporto
di armi e munizioni come pure al trasporto di materiale destinato
a unità combattenti.
Difficile affermare che le prestazioni manuali
dei prigionieri in Germania, tra il 1939 e il 1945 non abbiano mai
avuto diretti rapporti con la produzione di materiale bellico. Chi
più chi meno, chi direttamente e chi indirettamente, tutti noi abbiamo
contribuito, costretti al lavoro forzato, a prolungare la resistenza
a oltranza dei tedeschi assediati dagli eserciti alleati. Per quel
che mi riguarda (ma quanto scrivo vale anche per i gruppi di miei
compagni con i quali ho lavorato per due anni) le prestazioni sulla
linea ferroviaria Walsrode-Vorwalsro-de-Muna-Benzen, per una durata
complessiva di dieci mesi; e i lavori nei cantieri e nelle Stadtkolonnen
di Bremerhaven - per altri nove mesi - rientrano senz'al-tro nel
novero delle occupazioni lavorative direttamente collegate alla
produzione bellica. Parallelamente, i lavori di carico e scarico
di granate, casse di munizioni e materiale di guerra, all'interno
della base fortificata di Muna (presso Walsrode), nonché la costante
manutenzione del tronco ferroviario, di derivazione prettamente
militare, Vorwalsrode-Muna sono da ascrivere con certezza alla precisa
volontà dei tedeschi di considerare carta straccia la "Convenzione"
ginevrina e di eludere volutamente la specificazione menzionata
dall'articolo in verifica. La sistematica inosservanza dell'intero
corpus statutario del '29, del resto, testimonia ad abundantiam
- se pure ve ne fosse bisogno - della perversa volontà del Terzo
Reich di non tener in conto alcuno l'impegno a suo tempo sottoscritto.
Esecutori implacabili: il D.A.F. (Deutsche Arbeits Front) Fronte
Tedesco del Lavoro e la O.T. (Organisation Todt). Oltre, naturalmente
l'O.K.W. (Oberkommando, Comando supremo della Wehrmacht) e il NSDAP
(Partito nazista).
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Articolo 32
E' proibito adibire i prigionieri a lavori
insalubri e pericolosi. E' proibito ogni inasprimento delle condizioni
del lavoro come misura disciplinare.
Quante sono le proibizioni ginevrine aggirate
e/o non rispettate? Quante le violazioni apertamente provocatorie
e consapevolmente messe in atto dai responsabili del Reich nazista?
Quanti i divieti della "Convenzione" ribaltati a proprio vantaggio,
per dimostrare disprezzo nel confronto di un mondo ormai distante
anni luce dalla concezione totalitaria del Reich nazista? Nella
personale esperienza, i luoghi di lavoro nocivi alla salute e tisicamente
pericolosi sono senza numero: a cominciare dalla criminale decisione
di chiuderci all'interno di edifici esposti alla quotidiana incursione
degli aerei bombardieri alleati (Hagenstrasse e Friderickenschule
di Hannover). Oppure della decisione delittuosa di adibirci a lavori
a cielo aperto sulla linea ferroviaria costantemente sotto tiro
delle mitragliere anglo-americane nei voli degli aerei incursori
a bassa quota. O di obbligarci a lavori rischiosi nei polverifici
di Walsrode, spesso causa di bruciature e di ustioni orribili a
danno dei malcapitati prigionieri. Quanto ad inasprimento delle
condizioni di lavoro il mio "Diario" gronda di precisi riferimenti,
testimoniati a caldo. Valga per tutte la citazione, a perenne vergogna,
delle crudeltà commesse dal "meister" magiaro collaborazionista
Edvard Mezik, dal sorvegliante perfido "Pampur", del bauführer Becker
e del baumeister (Capo cantiere e responsabile d'impresa) Ubrig,
autori di vessazioni, umiliazioni , offese e percosse generate dall'inestinguibile
odio razziale nei confronti degli italiani, ritenuti di razza inferiore,
oltre che traditori badogliani. La lunga catena delle denunce è
senza fine nella realtà e nella miseria dei prigionieri.
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Articolo 34
I prigionieri non percepiranno salario per
lavori concernenti l'amministrazione e la manutenzione dei campi.
Se adibiti ad altri lavori avranno diritto ad un salario da fissarsi
mediante accordi tra belligeranti. Tali accordi specificheranno
la parte che l'amministrazione del campo potrà trattenere, la somma
spettante al prigioniero e il modo con cui questa somma sarà messa
a disposizione. Alla fine della prigionia ogni prigioniero riceverà
il relativo saldo. In caso di morte sarà rimesso per via diplomatica
agli eredi.
A giudicare dal modo brutale con cui i soldati
di guardia al lager davano la caccia ai prigionieri per procacciare
mano d'opera a buon mercato (un richiamo storico alla lettura degli
avventurosi modi con cui i nostromi reclutavano la ciurma nelle
bettole degli angiporti per l'imbarco forzato), l'articolo non fu
mai e poi mai rispettato dal sottoscrittore teutonico. Non soltanto
non venivano retribuiti i lavori di ripulitura delle latrine a cielo
aperto (un paio di volte i sadici aguzzini hanno spinto dentro il
liquame alcuni malcapitati, così, per il gusto beffardo, di umiliare....),
di magazzinaggio o di ramazza, - sempre con l'assillo delle percosse
e delle ingiurie - ma neppure quelli frequentemente prestati a favore
di privati che si procuravano braccia "gratis et amore diaboli".
Quanto al salario (non si sa bene se pattuito o convenuto con le
controparti sconfitte dalla Wehrmacht o rese arrendevoli fantocci
nelle mani del Reich) il lavoro "regolare" era lasciato alla mercé
e all'arbitrio delle Firmen. Risibili gli ultimi due capoversi dell'articolo
in riscontro: dopo l'esperienza maturata in prigionia, suonano irrisione
atroce nei confronti di tutti i deportati e/o prigionieri costretti
ad un lavoro da forzati. Infine: quanti eredi, dei cinquantamila
caduti italiani nei lager di prigionia in Germania, hanno mai ricevuto
acconti, saldi, o semplici risarcimenti per i lavori che effettivamente
il congiunto aveva prestato a beneficio del Reich e delle Imprese
che da esso avevano avuto in appalto i lavori? Per contro, si sa
che le fatture furono saldate alle imprese tedesche, anche dopo
la fine della guerra, da parte della Repubblica Federale di Bonn.
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Articolo 36
Entro il termine massimo di una settimana dal
suo arrivo al campo, come anche in caso di malattia, ogni prigioniero
sarà messo in condizione di inviare alla sua famiglia una cartolina
postale, per informarla della sua prigionia e del suo stato di salute.
Dette cartoline postali saranno trasmesse con la maggiore rapidità
possibile; e non potranno essere ritardate in alcun modo.
Ripeto quanto già risposto all'art. 5. Sul finire
del mese di Settembre del 1943 nel Lager X B di Wietzendorf, dopo
ben due/tre settimane (non una, dunque!) dalla cattura e dalla deportazione
in prigionia, fummo autorizzati a firmare una cartolina prestampata,
con un testo scritto nelle lingue tedesca e francese così concepito:
"Sono prigioniero dei tedeschi in Germania. Godo buona salute e
vi mando saluti." Pensammo che i tedeschi le avessero spedite, com'era
loro dovere. Invece le nostre famiglie non la ricevettero mai. Così
come non ricevettero nemmeno la seconda, identica, nel testo e nelle
modalità, alla prima, dataci da firmare nel lager di Walsrode/Graesbeck,
con l'Arbeits Kommando 6025, poco prima di Natale. Altro che informazione
tempestiva sulla nostra reale condizione e sul nostro "stato di
salute"! Suona perciò irridente e provocatorio rileggere l'ultimo
capoverso dell'articolo citato, dal quale par di capire che il Reich
agì di proposito per attuare l'esatto contrario di quanto veniva
sottoscritto. Non solo non ci fu "rapidità" nella trasmissione delle
urgenti notizie che avrebbero dovuto (nelle intenzioni dei sottoscrittori)
sollevare le famiglie da giustificate ansie; ma neppure fu data
mai spiegazione sui motivi che suggerirono ai tedeschi il colpevole
ritardo o, per meglio dire, il mancato inoltro. Oggi, a distanza
di anni, possiamo capire perché. Una così palese contravvenzione
al dettato capitolare ginevrino va denunciata con forza, in quanto
inammissibile coercizione morale a danno dei prigionieri, puniti
al di là di ogni ingiustificata ritorsione.
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Articolo 39
I prigionieri di guerra saranno autorizzati
ricevere individualmente libri che dovranno essere sottoposti a
censura. I rappresentanti delle Potenze protettrici e gli organismi
di soccorso riconosciuti e autorizzati potranno mandare opere e
collane di libri alle biblioteche dei campi di prigionia. La relativa
trasmissione di libri alle biblioteche non potrà essere ritardata
col pretesto di difficoltà di censura.
Per la verità, dopo l'esperienza maturata nei
lager, posso affermare che nella mia qualità di studente universitario
potei ricevere un paio di pacchi contenenti libri e quaderni dal
"Fond éuropeen de sécours aux étudiants universitaires prisonnier
de guerre en Allemagne" di Ginevra, al quale mi ero rivolto. I libri
- regolarmente verificati dalla censura tedesca di Schwarmstedt
(non so se selezionati a bella posta dagli incaricati elvetici o
da fuoriusciti italiani perseguitati dal regime fascista) - erano
di autori proscritti dalla dittatura mussoliniana; Guglielmo e Leo
Ferrero, Giuseppe Rensi, G.A. Borgese.... Per le ragioni già ripetutamente
ricordate, (status illegale di I.M.I. - Italiani Militari Internati,
impedimento all'assistenza della C.R.I., nessun rapporto col governo
legittimo del Sud, ecc.) non solo i prigionieri italiani non poterono
contare su una biblioteca di lettura all'interno dei lager, ma non
furono ammessi a godere del beneficio di ricevere libri e riviste
di cultura dagli organismi a ciò eventualmente ma inutilmente autorizzati.
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Articolo 42
I prigionieri avranno diritto di far conoscere,
alle autorità militari nel cui potere si trovano, le loro richieste
concernenti il regime di prigionia al quale sono sottoposti. Avranno
parimenti il diritto di rivolgersi ai rappresentanti delle potenze
protettrici per segnalare loro i punti sui quali avessero da prospettare
lagnanze relative al regime vigente in prigionia. Le domande e le
richieste dovranno essere trasmesse con urgenza, e non dovranno
dar luogo a punizioni, anche se riconosciute infondate.
Le nostre legittime proteste (naturalmente inoltrate
con la cautela suggerita dalle condizioni infami in cui eravamo
ridotti e imposta dal clima d'odio che ci circondava) non furono
mai prese in considerazione. Anzi, costituirono pretesto per infierire,
con brutale repressione e ripetute percosse, sugli sventurati che
osavano reclamare per lo scarso cibo, per la qualità del vitto,
per l'onerosità del lavoro, per il sudiciume del lager, per la scarsità
di sapone, per l'assenza di qualsiasi assistenza (religiosa, igienico/sanitaria,
culturale e ricreativa). Disgraziatamente, a causa dell'ambigua
condizione in cui i nazisti li tenevano (erano considerati d'imperio
"internati", per sottrarli così ad ogni interferenza come ad ogni
beneficio assistenziale da parte degli organismi internazionali
riconosciuti o delle Potenze neutrali) i prigionieri italiani dovettero
subire la brutalità imposta dal Reich nei lager e non furono mai
messi in grado di poter inoltrare lagnanze presso le competenti
autorità, il cui potere di intervento fu volutamente ignorato e
sistematicamente evitato. Inutile, allo stato dei fatti, parlare
di urgenza. Tempestive, al contrario, arrivavano le azioni repressive
contro chi avesse osato levare il minimo rilievo nei confronti del
duro regime instaurato nel lager (vero e proprio "regime di terrore"
con il gefreiter Herrmann a Walsrode e il gefr. Herff, sadico e
crudele, a Benzen). Per il duro e fitto capitolo delle punizioni
- nella stragrande maggioranza dei casi immeritate, eccessive e
ingiustificate, comunque provocate più dalle miserevoli condizioni
in cui si trovavano i prigionieri più che dalla espressa volontà
di trasgredire gli innumerevoli "verboten" - rimando ai documenti
e alle memorie giacenti presso il FONDO A.N.E.I. della Biblioteca/Archivio
"Micheletti" di Brescia; al mio "Diario di prigionia" nonché al
saggio di Gerhard Schreiber: "Traditi Disprezzati Dimenticati",
ed. Oldenbourg, Monaco, 1990.
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Articolo 43
In ogni località in cui si trovano, i prigionieri
saranno autorizzati a designare fiduciari incaricati di rappresentarli
presso le autorità militari e le potenze protettrici. La designazione
verrà sottoposta all'autorità responsabile del campo. I fiduciari
saranno incaricati di ricevere e di ripartire gli invii collettivi.
Inoltre potranno essere messi in grado di agevolare i rapporti tra
prigionieri e organismi di soccorso.
Nel lager X B di Wietzendorf, la baracca che ci
ospitò per tutto il Settembre 1943, fu retta da una cricca di sottoufficiali
modenesi, autodesignatisi "fiduciari", che fecero il bello e il
cattivo tempo (meglio dire, sempre "cattivo") approfittando insolentemente
della posizione di relativo privilegio in cui si erano venuti a
trovare, per abbuffarsi e rifarsi sulle razioni dei compagni di
sventura. Ahimè, a quali tristi memorie riporta la lettura di parole
come "ricevere e ripartire gli invii collettivi"! In realtà, i sedicenti
"fiduciari" ricevevano il monte/razioni a nome e per conto di tutti
noi, presenti in baracca; quanto a ripartirli il discorso si fa
amaro e terribile. Mancava sempre qualcosa alla resa dei conti e
c'era immancabilmente qualcuno che restava senza: ora il pane, ora
il companatico, ora le già avare spettanze che il Comando lasciava
passare... Il sovrappiù veniva mercanteggiato alla borsa nera da
quei rapaci senza cuore, per ottenere gli oggetti - che facevano
gola - sfuggiti alle precedenti rapine da parte dei tedeschi; di
fatto alleandosi con i nostri aguzzini, nelle vessazioni. Quanto
ai rapporti con gli "organismi di soccorso" il discorso va riferito
senz'ombra di dubbio ai prigionieri delle nazioni ricche e potenti,
non certo agli italiani.
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Articolo 44
Nessun fiduciario sarà trasferito senza prima
aver messo al corrente il successore degli affari in corso.
La cosa può aver funzionato, forse, con i prigionieri
delle nazioni più "temute" dal Reich. Da noi, non si è mai verificato
il caso esplicitato dall'articolo in esame. Per quel che mi riguarda,
quando lasciai l'Arbeits Kommando 6025 di Walsrode/Graesbeck per
l'A.K. 6247 di Benzen ricevetti le essenziali istruzioni dal vertreter
Mario Carminati, di fatto investendomi della "fiducia" per il nuovo
lager di Benzen. Come "vertrauensmann" o fiduciario di campo designato
dai miei compagni (una prima volta al 6247 di Walsrode/Benzen e
una seconda alla Flugplatz di Weddewarden/Wesermünde Nord), pur
lavorando come tutti, dovevo provvedere:
- a fungere da interprete, dove richiesto;
- a richiedere e a distribuire i moduli postali (e spesso a riempirli,
per aiutare i compagni analfabeti o semianalfabeti);
- a tenere i contatti con le Firmen e i meister;
- a predisporre elenchi e quant'altro richiesto dal Comando di Schwarmstedt
o dalla Direzione dei lavori di Hannover;
- a riempire gli infiniti, spesso superflui, moduli che l'inventiva
burocratica nazista non cessava di rinviare e richiedere.
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Articolo 68
I belligeranti dovranno rimpatriare al loro
paese d'origine i prigionieri di guerra gravemente ammalati, senza
riguardo al grado e al numero, dopo averli messi in grado di essere
trasportati.
Nel mio "Diario di prigionia 1943/45" risuona
la voce registrata nel lager X B di Fallingbostel Revier/Lazarett
di Oerbke, nel corso del mese di Novembre 1943 -dell'anziano maresciallo
degli alpini Colombero gravemente malato che invano aspettava di
essere rimpatriato.
Ripeteva come un ritornello: "Fra dieci anni, quando saremo in Italia,
la Croce Rossa manderà a dire: -Svelto, Colombero, è pronto il treno/ambulanza
che vi toglierà dal lager della morte! Intanto, riempiamo le fosse
comuni dei cimiteri di guerra!". Tante le promesse verbali, per
non smentire lo spirito dell'articolo, ma nessuna risposta concreta
ai reali bisogni degli sventurati. Per tutto il tempo della mia
squallida degenza nel lager della desolazione e della disperazione
ho visto molti uscire per l'ultima volta, destinati all'anonima
inumazione in terra tedesca; ma mai un solo anziano malato grave
partire per un rimpatrio umanitario. Non dimenticherò, tra i tanti,
il mio compagno di corso (aeroporto 228 Padova, allievi ufficiali
A.A.r.s.) Antonio Nardi di Vicenza, studente d'architettura, morto
consumato dall'inedia. Invano aveva invocato d'essere mandato a
morire a casa.... Quanto al gruppo dei medici (italiani, francesi,
serbi, ecc.) non mosse un dito per venire in aiuto dei malcapitati...
Organismi di soccorso? Mai sentiti nominare.
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Articolo 69
Commissioni mediche miste procederanno alla
visita dei prigionieri malati o feriti e prenderanno tutte le decisioni
utili nei loro riguardi.
Salva la parentesi della Revier di Oerbke testé
citata, nella quale ho visto all'opera (si fa per dire....) una
Commissione medica "mista" (diretta da uno stabsarzt = medico capo,
tedesco) che - per altro - si limitava a dichiarare frettolosamente:
ARBEITSFAIG (abile al servizio del lavoro) oppure A.UNFAIG (inabile):
in tutti gli altri lager, nei quali fui ristretto, non ho mai visto
agire una commissione "mista" ma solo (quando pure c'era!) il solo
medico tedesco. La mio testimonianza è diretta, perché:
- nel lager di Walsrode/Graesbeck, A.K. 6025, non esistevano né
l'infermeria né il pronto soccorso. Per qualsiasi prestazione, i
malati e i feriti dovevano raggiungere a piedi, scortati da sentinelle
armate, la Revier di Oerbke;
- dal lager di Benzen, A.K. 6247, si veniva accompagnati, sempre
a piedi, fino a Walsrode, dove il famigerato dr. Klein - delegato
dal D.A.F. - rimandava inesorabilmente tutti al lavoro;
- nel lager della Seefliegerhorst (difesa costiera) di Wesermünde,
ogni mattina ero io ad accompagnare coloro che "marcavano visita"
alla Revier della Flugplatz (base aerea) dove il dr. Rogge, stabsartz
dell'aereoporto, da solo diagnosticava e decideva il destino di
ciascun paziente; (suoi aiuti erano il feldwebel Stranghöner, il
gefreiter Busch, l'aviere Kruger e le sanitäterhelferinnen (assistenti
sanitarie) Alma Schuppel ed Erna-Sophia Mayer.
Le strombazzate "decisioni utili" nei riguardi dei prigionieri erano
prese sempre nell'interesse del Reich non dei singoli malati o feriti.
Il D.A.F. e la O.T., per le esigenze belliche del Reich, non transigevano.
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Articolo 70
Sono ammessi al rimpatrio o alla degenza in
ospedali di paesi neutrali i seguenti prigionieri:
- che abbiano fatto diretta domanda al medico del campo;
- che si siano fatti presentare dal fiduciario di campo;
- che hanno chiesto di essere affidati ad un organismo di soccorso
o ad un'associazione umanitaria, riconosciuti dalle potenze belligeranti.
Quest'articolo probabilmente ebbe un valore teorico/
dottrinario solamente perché fu formulato e sottoscritto in un periodo
di pace (il 1929 fu in effetti un anno lontano da eventi bellici:
dieci anni dopo la prima guerra mondiale; dieci anni prima della
seconda).
Al riguardo , per mia diretta conoscenza, posso testimoniare che
:
- non ci fu mai un "medico da campo" all'interno dei miei lager,
cui rivolgere direttamente la domanda di rimpatrio ;
- non fui mai ascoltato, in tal senso, nella mia veste di "vertreter".
Riuscii soltanto ad ottenere ricoveri nel sanatorium di Altenbruck/Cuxhaven
per alcuni prigionieri malati o deperiti (Coppens, Albertelli, Scuri,
Bonetti, Gamba, ecc.) del lager di Weddewarden;
- non ebbi mai né rapporti né contatti con la Croce Rossa e men
che meno con gli sbandierati e imponenti "uffici di collegamento"
che la RSI di Salò millantava di far funzionare.
(Da questi ultimi arrivavano solo i giornali della propaganda nazifascista).
Sono a conoscenza di decessi per malattia o per incidenti sul lavoro
(fra gli altri Attilio Colla di Parma, Ferruccio Sasso di Vicenza,
Michele Palmieri di Napoli, Lino Baldassarri di Brescia...).
Non vi fu mai un solo tentativo di rimpatrio per l'intervento degli
organismi fantasma.
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Articolo 71
I prigionieri vittime di infortuni sul lavoro,
fatta eccezione degli autolesionisti; beneficeranno delle medesime
condizioni di rimpatrio o di spedalizzazione in paesi neutri.
Come ho dichiarato in precedenza, al momento della
verifica dell'art. 70, i prigionieri che, a mia conoscenza, sono
rimasti vittime di infortuni sul lavoro, non solo non furono rimpatriati
"per motivi umanitari", ma non poterono neppure fruire di una speciale
"spedalizzazione" in paesi neutrali. A parte il fatto che, in un'Europa
dominata dai nazisti, i paesi neutri erano ridotti al Portogallo,
alla Spagna, alla Svezia e alla Svizzera, i tedeschi, col loro comportamento
da fuorilegge, non concepirono neanche in ipotesi di ottemperare
alle intimazioni ginevrine. Piuttosto, sempre più spesso, e via
via che la situazione militare si metteva al peggio per il Reich,
gli inferociti aguzzini accusavano i prigionieri di "sabotage" ogni
qualvolta trovavano pretesti per farlo. Il terrore dell'autolesionismo,
per sottrarsi ad un lavoro coatto, rendeva particolarmente guardinghi
e determinati i guardiani! I malati, veri o presunti, erano perseguiti
con accanimento, e le continue improvvise irruzioni nella baracche,
da parte dei gendarmi del Sicherheit Dienst (Servizio di Sicurezza)
- i famigerati gendarmi del S.D. - erano operate allo scopo di rastrellare
tutti gli uomini in grado di reggersi in piedi e da spedire subito
nei cantieri di lavoro e/o all'interno delle Stadtkolonnen (unità
lavorative).
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Articolo 74
Nessun prigioniero rimpatriato dovrà essere
adibito a servizio militare attivo.
Per quel che mi riguarda, debbo dire che nell'ottobre
del 1945, tre mesi dopo il ritorno dalla prigionia, mi giunse il
richiamo in servizio, motivato dalla opportunità di "concludere
l'avviato (e interrotto a fortiori), corso per allievi ufficiali
dell'aeronautica". Poiché ero laureando presso l'Università di Torino
(e in procinto di partire per un lavoro a Roma) mi feci premura
di chiedere il rinvio. Mi fu autorizzato, a condizione che rinunciassi
al corso. Chiesi allora di essere restituito all'arma di provenienza
(la Fanteria, corpo degli Alpini), cosa che mi fu concessa, con
il determinante aiuto d'un amico deputato alla Costituente. Ridotto
a soldato semplice, avviato alla professione, conclusi gli studi
con la laurea, non ebbi più a che fare con il servizio militare.
Molto più tardi fui chiamato dal Distretto per ricevere:
- la "Croce al merito di guerra" con il riconoscimento giuridico
delle tre campagne '43, '44, '45 (cfr Foglio matricolare);
- il "Diploma di combattente della Liberà" con la qualifica di 'resistente'
per non aver collaborato con i nazifascisti';
- il Diploma con autorizzazione a fregiarmi del distintivo di "Volontario
della Libertà".
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Articolo 78
Le associazioni di soccorso per prigionieri
di guerra riceveranno dai belligeranti ogni facilitazione entro
i limiti segnati dalle esigenze militari per assolvere efficacemente
la loro missione umanitaria.
Nel mio "Diario di prigionia", VII Edizione, prefazione
di Vittorio Emanuele Giuntella, registro parole dure contro l'incolpevole
Croce Rossa, ignaro di quanto le fosse impedito da parte del Reich
e della RSI di Salò. A Hitler risale la responsabilità di:
- considerare "internati" e alla sua mercé i soldati italiani catturati
e disarmati dopo l'armistizio dell'8 Settembre 1943;
- non riconoscere per legittimo il governo del re, fuggito al Sud,
in territorio occupato dagli Alleati;
- pretendere che fosse lo stato fantoccio di Salò a "prendere interesse
e tutela dei prigionieri in Germania".
Così agendo, Hitler impedì di fatto ogni intervento da parte della
Croce Rossa, sia italiana sia Internazionale, a nostro favore. Ripeto
qui che l'unico organismo umanitario internazionale di cui potei
usufruire l'assistenza è stato il "Fond éuropeen de sécours aux
étudiants prisonnier de guerre en Allemagne", di Ginevra. Tutti
gli altri, Vaticano compreso, non ebbero mai libero accesso nei
lager della mia esperienza di prigionia.
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