Il progetto,
avviato alla fine del 1999 insegue le seguenti di finalità:
- raccolta e conservazione della memoria
storica della nazione
- studio di fenomeni storiografici
- elaborazione di materiali a carattere didattico, educativo
- consultabilità del materiale.
L’attenzione storiografica è
rivolta ai seguenti specifici temi:
- L’educazione scolastica primaria
durante il fascismo e la preparazione alla guerra
- La guerra italiana e l’otto settembre 1943
- La deportazione dei civili e l’internamento dei militari
- Il lavoro coatto e schiavistico nel Terzo Reich
Tali temi discendono da filoni di ricerca
avviati dall’Istituto di Storia Contemporanea di Como.
L’attenzione alle molteplici forme di Resistenza degli
individui al nazifascismo e alla guerra trae origine dalla
storia di Istituti come il nostro (circa una settantina distribuiti
in tutta Italia) che alla raccolta di documenti sulla lotta
di Liberazione dei popoli europei hanno dedicato le loro attenzioni,
costituendo un piccolo miracolo italiano, figlio della volontà
di fare società e costruire senso storico nel presente,
mai sufficientemente sostenuti da istituzioni e cultura accademica,
soggetti ai quali a volte si sono trovati a fare da supplenza.
Nello specifico il progetto si inserisce
nel più ampio ambito di ricerca avviato alla fine del
1999 sul lavoro coatto nella Germania nazista sotto la spinta
del compianto Ricciotti Lazzero che ha portato a significativi
risultati:
- La nascita del centro di ricerche “Schiavi
di Hitler”
- La raccolta di oltre dodicimila schede personali di internati
militari e deportati civili, corredate di documenti, memorie,
immagini.
- La creazione del sito www.schiavidihitler.it che contiene
l’elaborazione di questi materiali e li mette a disposizione
della rete degli studiosi e dei cittadini e che raccoglie
tra l’altro 4.500 schede di deportati, 450 memorie,
immagini, documenti, strumenti per la ricerca.
- L’acquisizione dell’archivio IMI Claudio Sommaruga
e dell’archivio del GuisCo (Gruppo Ufficiali internati
allo Straflager di Colonia),
- La raccolta di oltre 200 ore di videointerviste su supporto
digitale e la realizzazione del video “Sessant’anni
fa l’armistizio”
- La realizzazione del volume: “Nelle fabbriche di Hitler”
a cura di G. Cavalleri.
- La collaborazione con enti di ricerca italiani e tedeschi.
- L’organizzazione di mostre, la produzione di materiale
divulgativo e didattico.
- L’assistenza gratuita agli ex internati e deportati
nella richiesta di indennizzo a partire dall’anno 2000
e nei successivi ricorsi che prosegue tuttora e si arricchisce
di nuovi contatti e che ha comportato la partecipazione all’attività
del “Coordinamento nazionale degli Enti, Associazioni,
Istituti per il risarcimento del lavoro coatto nella Germania
nazista”, la promozione e il sostegno ad iniziative
pubbliche e verso Enti ed Istituzioni.
Tutto questo è stato possibile attraverso
la realizzazione di progetti specifici con Comunità
Europea, Regione Lombardia, Fondazione Cariplo, Fondazione
Provinciale della Comunità Comasca ma innazitutto per
il grande contributo in termini di lavoro volontario da parte
del gruppo di ricerca che si è costituito sotto la
presidenza di Ricciotti Lazzero e che, dopo la sua morte,
ha proseguito con passione e attenzione questo complesso progetto.
La ricerca storica è strettamente connessa al sostegno
della richiesta di indennizzo rivolta al sistema industriale
e alle istituzioni tedesche per lo sfruttamento schiavistico
della forza lavoro dei deportati e internati militari italiani.
Il tema della memoria è centrale in
quest’epoca di debole comune senso storico e risulta
determinante per disegnare un comune orizzonte europeo e planetario.
Si tratta di una partita difficile da vincere perché
non basta più raccogliere le memorie per dar loro un
senso. Il problema non è solo conservare, l’Italia
è piena di reperti archeologici dimenticati nelle cantine
e di archivi colpevolmente abbandonati quando non occultati.
Questo non basta di fronte alle difficoltà della conservazione,
alla frustrazione della consultabilità delle fonti,
alla mercificazione della cultura e degli strumenti della
comunicazione collettiva, alle difficoltà del sistema
educativo e scolastico.
Per sessant'anni quello della deportazione
e dell’internamento di quasi un milione di italiani
è stato considerato un fenomeno scomodo, "minore"
rispetto agli altri drammi della guerra, una storia su cui
gettare, al più, un fugace sguardo "pietoso".
Una memoria completamente rimossa dalla coscienza storica
del paese, vittima non del tempo ma di decisioni di uomini,
di ceti e di governi maturate in epoca di guerra fredda, una
memoria occultata come le stragi tedesche sugli Appennini,
la partecipazione della Repubblica Sociale nelle deportazioni,
i crimini del fascismo e dell’esercito nelle colonie
e in Slovenia, le reponsabilità della monarchia.
I deportati italiani sono stati sacrificati sull’altare
della real politik, ma la loro rimane una ferita aperta. Una
memoria difficile da trattare senza l’emozione di toccare
sentimenti profondi degli individui e della nazione. Tutto
questo non può non influenzare il nostro lavoro e dobbiamo
tenerne conto. Si tratta di una generazione longeva, ancora
combattiva, desiderosa di essere acoltata, com-presa, che
pretende di connettere la propria esperienza a quella comune
dei popoli contro la guerra, la violenza, lo sfruttamento,
la protervia. E’ indubbiamente un dato significativo
che un fenomeno di così vaste proporzioni sia così
assente dalla coscienza storica del paese.
Alla rimozione della politica in questo caso si accompagna
la disattenzione del mondo accademico e anche della pubblicistica
di mercato.
L'isolamento del ricercatore ha una rispondenza nell'isolamento
della memoria dei protagonisti, abbandonata e chiusa nel silenzio
individuale.
Ricollegare le memorie individuali ci è sembrato quindi
uno dei pochi strumenti a disposizione degli individui per
rivendicare, prima ancora che marchi (il denaro non può
comunque risarcire il furto di vita e di lavoro), il proprio
ruolo nella storia d'Europa.
Nel caso degli schiavi di Hitler ci troviamo
alla presenza di una memoria di massa (oltre 700.00 persone),
un fenomeno che attraversa un numero estremamente significativo
di famiglie italiane di tutte le classi sociali e le regioni.
Una generazione che ha fatto una scelta di resistenza, subendo
il lager che avrebbe potuto sfuggire arruolandosi nelle nere
armate, che nel lager ebbe la sua maturazione personale e
civile, che nel lager ricostruì, in sintonia col movimento
di liberazione in Italia, i principi della democrazia e della
partecipazione calpestati dalla dittatura.
La richiesta che ci siamo sentiti fare migliaia
di volte in questi cinque anni non è quella di un risarcimento
economico, ma di un riconoscimento morale e storico del loro
percorso. Il percorso di operai, contadini, manovali, artigiani
che, tornati a casa, hanno ricostruito il paese circondati
dal silenzio delle istituzioni, dalla voglia del dopoguerra
di gettarsi dietro le spalle le rovine della tragedia e dall’incredulità
di chi quell’esperienza non aveva vissuto nelle sue
drammatiche sfaccettature. Un silenzio che ha pervaso anche
la scuola e la cultura del nostro paese.
Ma c’è un altro elemento importante
strettamente connesso all’uso della memoria come testimonianza.
In questo caso siamo alla presenza di una testimonianza di
massa, cui un diritto piegato dalla convenienza politica ed
economica dell’oggi non riconosce peso e dignità.
Una tale situazione del presente porta alla rimozione del
problema, porta addirittura alla falsificazione storica, fa
strame del diritto internazionale e umanitario, riapre ferite
senza dare nessuna risposta dal punto di vista morale, non
ricorda e calpesta i circa 50.000 deceduti nei lager e non
è certo un viatico per un‘Europa di valori condivisi.
Bastava un riconoscimento simbolico a tutti che non è
ancora arrivato, ma a tutti devono essere riconosciute la
sofferenza, la fame, la costrizione al lavoro coatto e schiavistico.
Battaglia di fondo dunque sui valori condivisi, non più
solo rinchiusi nei confini nazionali, banco di prova sul quale
misurare la capacità di tenuta culturale e mentale
collettiva dei popoli di fronte agli inquietanti scenari che
appaiono agli sguardi.
E chiarezza su una memoria che non può essere solo
retorica della ricorrenza, sguardo di un giorno ai destini
individuali o fideistica speranza nella sua capacità
educativa.
Far pesare questa memoria è prima di tutto dal punto
di vista personale misurare la coerenza della propria professione
con i propri principi, valori e orientamenti.
Lo storico al servizio dei diritti degli individui. Avvocato
e perito di parte in un processo per furto di vita e di lavoro,
la storia come meccanismo di redenzione non postuma ma come
agente del presente.
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